un contributo audio dell' ing. Brencich, professore del corso di cemento armato dell'Università di Genova:
http://stream24.ilsole24ore.com/vid...onte-morandi-e-stato-progettato-male/AEVXG4aF
personalmente e da ignorante in materia mi sento di concordare su quanto dice.
Un'opera di quella portata non può richiedere la manutenzione che ha richiesto se non avesse intrinsecamente delle lacune progettuali.
Partendo da questo assunto la vera mancanza non è stata nella manutenzione straordinaria, ma nel non prevederne la sostituzione in tempi rapidi
Cosa vuol dire progettato male? Morandi era uomo del suo tempo, un ingegnere che progettava sulla base delle teorie e dei metodi di scienza e tecnica delle costruzioni disponibili all'epoca; il calcolo veniva fatto a mano o graficamente, la modellizzazione delle strutture era semplice, lontana anni luce da come ora viene comunemente effettuata con l'ausilio dei computer e di software sofisticati.
La conoscenza dei materiali e del comportamento "al limite" soprattutto del calcestruzzo era scarsa, trattandosi di un materiale relativamente giovane come impiego rispetto all'acciaio, usato sin dagli inizi dell'Ottocento e di cui si aveva più esperienza (che nella scienza delle costruzioni spesso si fa dopo crolli, purtroppo).
Motivi quindi di ordine tecnico-culturale ma anche di economicità indirizzavano quindi i progettisti del secondo dopoguerra a scegliere proprio le strutture in cemento armato, certi di poterlo dominare sia dal punto di vista architettonico che strutturale, arrivando a operare scelte decisamente ardite, se non proprio controcorrente.
E tutti erano sicuri che fosse un materiale praticamente "eterno" ed indistruttibile, capace di proteggere le barre (o i trefoli di precompressione) contenuti al suo interno senza mai presentare problemi.
Se il cemento armato si usa per fare bunker resistenti ai colpi di obice o alle bombe di aereo, si ragionava allora, cosa c'è di meglio?
Attacchi ambientali di tipo chimico come la carbonatazione, i cicli gelo/disgelo, l'uso del sale antighiaccio, tanto per limitarci ad alcuni aspetti influenzanti la durabilità non venivano presi più di tanto in considerazione in fase progettuale/realizzativa.
Che poi un ponte più che opera statica sia una vera e propria "macchina" i cui componenti sono soggetti a continui movimenti, vibrazioni, forze in movimento, anche se ai quei tempi lo si poteva intuire, era difficile valutarne gli effetti e tutte le combinazioni più gravose con i metodi di calcolo disponibili all'epoca. Quindi spesso si utilizzavano metodi semplificati ed empirici, ma era normale prassi, non c'era malafede.
Non voglio mettermi a fare l'avvocato difensore dei progettisti di quell'epoca, ma solo sottolineare il fatto che giudicare oggi il loro operato e le loro convinzioni e scelte tecniche, sulla base delle nuove conoscenze e tecnologie che abbiamo a disposizione, lo trovo sterile e senza senso.
Anzi su di noi oggi, soprattutto su chi ha in gestione tali opere ingegneristiche, proprio per questa migliore conoscenza, per i mezzi di indagine che abbiamo a disposizione, ricade la responsabilità di non aver saputo sia prevedere oggettivamente i potenziali rischi di quel tipo di strutture, in maniera realistica, sia mettere in atto interventi risolutivi, e non di facciata.