Se avete LinkedIn, vi segnalo il post dell’ex direttore della rivista che da vita a questo forum:
Un sabato mattina, in un centro commerciale di Torino che dispone di migliaia di parcheggi vuoti, un automobilista sceglie deliberatamente di occupare non uno, ma due stalli di ricarica HPC con una vettura a motore termico.
Qualche giorno dopo, in centro a Milano, torno alla colonnina per riprendere l’auto e la trovo mutilata: lo sportellino che copre la prese di ricarica della Volvo EX 90 è stato strappato via, giace a terra, staccato con violenza dalla carrozzeria.
Entrambi sono gesti, e come tutti i gesti si fanno segno; o, se si preferisce, messaggio.
Da tempo, la transizione ecologica è diventata terreno di identità, appartenenza, sfida simbolica. Come in ogni conflitto che si colora di tratti religiosi, l’atto individuale si carica di un valore di affermazione e di negazione: occupa uno spazio fisico per sottrarlo a un avversario, mette in scena una dimostrazione di forza, ricerca nello sguardo altrui il riconoscimento di una provocazione.
La polarizzazione, in questo senso, non è un effetto collaterale della transizione: ne è ormai il linguaggio dominante. L’elettrico e il termico non vengono percepiti come soluzioni tecniche diverse, rispondenti a esigenze differenti, ma come bandiere opposte. Lo scontro si alimenta di simboli e di atti rituali, come in ogni guerra di religione: il parcheggiare di traverso per impedire la ricarica, il vandalismo vigliacco, il disprezzo ostentato verso chi fa una scelta diversa. Sono gesti minimi, quotidiani, e proprio per questo rivelatori. Ogni stallo di ricarica diventa un altare profanato o difeso. Così, come accade nei conflitti religiosi, si smarrisce il senso del fine per concentrarsi esclusivamente sui segni del contendere.
Quell’auto parcheggiata a impedire l’utilizzo di due colonnine e quello sportellino divelto non sono, in sé, il problema. Sono il sintomo. Il sintomo di un tempo in cui le scelte tecnologiche vengono piegate a strumenti di provocazione, e in cui il bisogno di appartenere prevale sul bisogno di capire