Berlino: su Opel giochi ancora aperti
MILANO ? Lo spazio di un weekend. Il tempo di arrivare al primo impegno da onorare: quei 300 milioni, spuntati all?ultimo, che Sergio Marchionne si era rifiutato di «bruciare» e Frank Stronach, invece, aveva promesso a scatola chiusa. «Un nuovo buco Opel? Nessun problema. Copriamo noi». Già. Peccato che il versamento fosse urgente. E che se ne siano perse le tracce. Magari si materializzerà, prima o poi. Ma quel cash, a Berlino erano stati chiari, era questione di sopravvivenza: a Rüsselsheim serviva «subito», fallimento di Gm o no. Morale: l?assegno ? così almeno si legge tra le righe di comunicati sempre più imbarazzati ? l?ha dovuto staccare il governo tedesco. È lì che Angela Merkel ha toccato con mano quello che in Germania molti, a partire dal titolare dell?Economia Karl-Theodor zu Guttenberg, sospettavano dall?inizio della saga. Che cioè l?offerta di Magna-Sberbank non fosse solo «molto meno chiara del piano Fiat» (definizione del ministro inglese Peter Mandelson, parte in causa per via di Vauxhall), ma nascondesse anche qualche sorpresa.
Voilà. Forse i giochi si riapriranno davvero, forse no, forse sul serio l?affaire terrà banco fin dopo le elezioni. Di sicuro è già tornato tutto in discussione. Con ulteriori, pesanti grattacapi arrivati per Frau Merkel in largo anticipo rispetto a quanto lei stessa, in fondo, temeva. L?intesa con i russo-canadesi e con Gm è stata firmata venerdì, dopo una decisiva telefonata tra la cancelliera e Barack Obama e insieme al via libera di Berlino al prestito-ponte da 1,5 miliardi. Passano solo tre giorni, e Merkel comincia a esternare i dubbi: l?operazione comporta «molti rischi». Almeno però, aggiunge, l?intesa con Magna-Sberbank «non è vincolante». Ieri, altra botta: quei colloqui sono ancora in fase preliminare, «il processo è ancora aperto a tutti i candidati». Modo scontatamente diplomatico con cui Ulrich Wilhelm, portavoce del governo, ribadisce che no, i contatti con Fiat (e con la cinese Baic) non sono ripresi, ma le porte restano spalancate. Ne approfitterà, la Beijing Automotive? Probabile. Ma tutto sommato secondario. Perché l?altro candidato «vero» era il Lingotto, e dunque la domanda riguarda in prima battuta Torino. Rientrerà? Altrettanto probabile, se davvero si ricomincerà da dove il «piatto» era saltato giovedì. Ovvio però che intanto osservino e basta, in Fiat. Marchionne è a Detroit (rientra oggi) e il suo messaggio è chiaro: per ora di concreto c?è Chrysler, e lì ci concentriamo. Il resto sono ipotesi, voci, «aperture», sì, che però dal gruppo scelgono di non commentare. O dovrebbero riparlare di soap opera, e adesso non è proprio il caso. Meglio godersi le vendite raddoppiate, in Germania, anche a maggio.
Gli ingredienti, tuttavia, a una soap assomigliano sempre più. Non c?è solo il nuovo giallo intorno ai 300 milioni, i soliti: quelli che prima hanno fatto volare insulti tra governo americano e governo tedesco e che, alla fine, hanno visto Fiat sfilarsi da un?asta diventata «rischio irragionevole ». Ci sono, in parallelo, i russi che esultano: «Porteremo qui parte della produzione Opel». C?è Stronach che butta lì: «Gli accordi con Gm ci precludono i mercati di Usa e Cina». Il suo vice che annuncia la firma per settembre mentre il capo di Opel smorza: «Ancora molto da chiarire». E poi Volkswagen, sullo sfondo, che avverte: «L?operazione con Magna crea conflitti d?interesse. Vigileremo». Insomma: caos totale. Anche per la Merkel e il suo governo. I quali, ironia, ieri si sono visti omaggiare da una pagina di pubblicità sui principali quotidiani: «Opel ringrazia!». Sarà ritirata?