SZ. ha scritto:
All'ultima fiera di Padova lo scorso autunno ero in compagnia degli amici fpaol, loopo e 75turboTP.
Una segnalazione dell'amico 75turboTP mi fu provvidenziale, per cogliere l'occasione di acquistare un bel libro di memorie di G.Busso: Nel cuore dell'Alfa.
Qualche giorno fa, riprendendo la lettura di questo filetto, l'ho ripreso in mano nel capitolo dove si parlava del progetto dell'Alfetta, con il nuovo schema di trasmissioni e sospensioni. Cercavo qualche eventuale riferimento nei racconti di Busso, alle ragioni della scelta di portare il cambio al retrotreno.
Su questo punto, in effetti, non ho ritrovato alcun riferimento utile.
In riferimento allo schema sospensivo, il Busso invece accenna al fatto che per il retrotreno il ponte De-Dion lo si fosse preferito ai quadrilateri, in quanto capace di mantenere un assetto migliore.
Nel capitolo successivo, quello in cui racconta l'ultimo perido di lavoro in Alfa Romeo, Busso racconta poi del progetto 152, relativo allo studio di una piattaforma con schema 128 per modelli di segmento medio-grande, vale a dire al limite fino a quello dell'Alfetta. Egli ricevette il benestare di Satta Puliga all'avvio di questo studio, che prevedeva l'utilizzo del Bialbero ammodernato, col cambio in blocco, e messo di traverso proprio come le fiat-Alfa attuali, ma, accenna lui, fatto in modo da poter essere messo anche dritto per trazione posteriore. Da quello che ho capito questo accadeva circa nel 1973. Quindi vuol dire che lo schema dell'Alfetta, appena presentata e a sua volta diverso dalla sostituita Giulia, era già pronto per essere rimesso in discussione con nuove ed altre formule (TA o ritorno alla TP con cambio in blocco?).
Più avanti, alla conclusione del racconto, Busso illustra -io credo- con efficacia il clima esistente in Alfa Romeo, nel momento in cui rassegnò le dimissioni, cioè nella seconda metà degli anni '70. In pratica si facevano tanti progetti, ma pochi prototipi, e non si prendevano decisioni. Si discuteva più di dettagli, anzichè testare e decidere seriamente tra varie soluzioni, quella migliore come compromesso tra economicità e prestazioni.
Rileggendo quei passaggi, mi è venuta una considerazione un po' dissacrante (e sconcertante per me), ma forse non così distante dalla realtà: il fatto che forse per Busso, e i progettisti dell'Alfa Romeo Nord di quegli anni, la TP non fosse un diktat, quanto più pragmaticamente una possibile soluzione, come altre, su cui lavorare, rispetto all'obiettivo del miglior rapporto costi/prestazioni.
La conseguenza di questa considerazione sarebbe quella di ammettere l'ipotesi che se l'Alfa avesse potuto sopravvivere il autonomia, un giorno avrebbe potuto scegliere anch'essa di passare allo schema "128".
E' un pensiero che mi dà un pò i brividi, ma che nel bene e nel male i fatti non potranno mai più smentire nè confermare.
Di sicuro i racconti di Busso, testimoniano la qualità e la quantità di progetti sviluppati nonostante le difficoltà dell'azienda dovute al particolare contesto economico, politico e sociale, e quindi il valore dell'attività di ricerca che si faceva in Alfa Romeo.