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Poesia

Per rimaner nel musicale e nel &quot;leggero &quot e nell'auto;:

Andavo a cento all?ora
per trovar la bimba mia
ye ye ye ye
ye ye ye ye
Andavo a cento all?ora
per cantar la serenata
blen blen blen blen
blen blen blen blen

E non vedevo l?ora
di baciar la bocca sua
ye ye ye ye
ye ye ye ye
Ma si bruciò il motore
nel bel mezzo della via
blen blen blen blen
blen blen blen blen

Amore aspettami
corro a piedi da te
son cento chilometri
che io faccio per te
Andavo a cento all?ora
per trovar la bimba mia
ye ye ye ye
ye ye ye ye
Andavo a cento all?ora
per cantar la serenata
blen blen blen blen
blen blen blen blen

Ciunga ciunga ciù
ciunga ciunga ciù
la la la la la
la la la la

Testo Andavo A 100 All'ora
Home &gt G &gt Gianni Morandi &gt Gianni Morandi (1963) &gt Andavo A 100 All'ora
 
Un "po'" più impegnata ma non seriosa perchè l'Autore si voleva "divertire" scrivendo e poetando e come dargli torto :?: :

Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello: rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma però...
c'è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un dipresso...
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l'ha
una grande città.

Tipo: Poesie d'Autore
Autore: Aldo PalazzeschiTitolo: Rio Bo
 
Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!

Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.

Cucù rurù,
rurù cucù,
cuccuccurucù!

Cosa sono queste indecenze?
Queste strofe bisbetiche?
Licenze, licenze,
licenze poetiche!
Sono la mia passione.

Farafarafarafa,
tarataratarata,
paraparaparapa,
laralaralarala!

Sapete cosa sono?
Sono robe avanzate,
non sono grullerie,
sono la spazzatura
delle altre poesie

Bubububu,
fufufufu.
Friu!
Friu!

Ma se d'un qualunque nesso
son prive,
perché le scrive
quel fesso?

bilobilobilobilobilo
blum!
Filofilofilofilofilo
flum!
Bilolù. Filolù.
U.

Non è vero che non voglion dire,
voglion dire qualcosa.
Voglion dire...
come quando uno
si mette a cantare

senza saper le parole.
Una cosa molto volgare.
Ebbene, così mi piace di fare.

Aaaaa!
Eeeee!
Iiiii!
Ooooo!
Uuuuu!
A! E! I! O! U!

Ma giovanotto,
ditemi un poco una cosa,
non è la vostra una posa,
di voler con così poco
tenere alimentato
un sì gran foco?

Huisc...Huiusc...
Sciu sciu sciu,
koku koku koku.

Ma come si deve fare a capire?
Avete delle belle pretese,
sembra ormai che scriviate in giapponese.

Abì, alì, alarì.
Riririri!
Ri.

Lasciate pure che si sbizzarrisca,
anzi è bene che non la finisca.
Il divertimento gli costerà caro,
gli daranno del somaro.

Labala
falala
falala
eppoi lala.
Lalala lalala.

Certo è un azzardo un po' forte,
scrivere delle cose così,
che ci son professori oggidì
a tutte le porte.

Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!
Ahahahahahahah!

Infine io ò pienamente ragione,
i tempi sono molto cambiati,
gli uomini non dimandano
più nulla dai poeti,
e lasciatemi divertire!

Lasciatemi divertire di Aldo Palazzeschi
Questi versi sono un esempio eloquente dell?atteggiamento dei futuristi nei confronti della poesia tradizionale. In modo polemico e provocatorio il poeta prende in giro chi, in passato, ha composto poesie serie, rispettando ogni regola. Palazzeschi rivendica la libertà di trasgredire tutte le norme. La poesia, dice, non ha più nulla da offrire agli uomini; i tempi sono cambiati, la vecchia poesia è morta: lasciatemi divertire!
Commento di Valeria Nunziata
 
Ancora Palazzeschi e la sua fontana ,che con i suoi suoni mette alla berlina la poesia pomposa e quella seriosa e quella guerrafondaia e di regime

La fontana malata di Aldo Palazzeschi

Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchette,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
Tossisce,
tossisce,
un poco
si tace...
di nuovo.
tossisce.
Mia povera
fontana,
il male
che hai
il cuore
mi preme.
Si tace,
non getta
più nulla.
Si tace,
non s'ode
rumore
di sorta
che forse...
che forse
sia morta?
Orrore
Ah! no.
Rieccola,
ancora
tossisce,
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
chchch...
La tisi
l'uccide.
Dio santo,
quel suo
eterno
tossire
mi fa
morire,
un poco
va bene,
ma tanto...
Che lagno!
Ma Habel!
Vittoria!
Andate,
correte,
chiudete
la fonte,
mi uccide
quel suo
eterno tossire!
Andate,
mettete
qualcosa
per farla
finire,
magari...
magari
morire.
Madonna!
Gesù!
Non più!
Non più.
Mia povera
fontana,
col male
che hai,
finisci
vedrai,
che uccidi
me pure.
Clof, clop, cloch,
cloffete,
cloppete,
clocchete,
chchch...

Commento

Nella poesia "La fontana malata", Aldo Palazzeschi riproduce il suono dell'acqua con tante onomatopee; la loro ripetizione ricorda il respiro affannoso di un malato. In questo caso l'acqua è immagine di angoscia e sofferenza. Per Palazzeschi quello che conta è la musicalità dell'onomatopea. Cioè Palazzeschi usa l'onomatopea per creare strofe di suoni bizzarri, senza un nesso semantico fra di loro, semplicemente, come egli dichiara esplicitamente, per divertirsi. Oltre alle onomatopee sono presenti anche delle personificazioni: la fontana è malata e tossisce come se fosse una persona. Questa rinviene giù nel cortile e continua a perdere acqua mettendo ansia all'autore, infatti a volte sembra che smetta, ma poi rincomincia, aumentando sempre di più l'ansia del cantore. Ad un tratto sembra che non si riprenda più e per il poeta è come se fosse morta, ma dopo una lunga esitazione riprende il suo dolore e quindi anche quello del poeta. L'autore è così stanco che decide di chiamare due servi e li manda a chiudere definitivamente la fonte, anche perché lui stesso si sente morire, ed è come se sente dentro di se lo stesso dolore che lei "prova". Palazzeschi obbedisce ad un naturale desiderio di nutrire con elementi selvaggi di vita la sua ispirazione poetica, liberandola da ogni solennità scolastica. Infatti la poesia è scritta con un italiano molto facile, anche se talvolta troviamo termini letterari come " romori" anziché "rumori". Nella poesia troviamo anche l'uso di espressioni fono-simboliche, cioè la riproduzione di un suono con termini "alf-ok". I suoni scritti in corsivo, mettono in evidenza i toni dell'acqua (fonosimbolismo), con parole molto simili e presenti nel "La pioggia del pineto" di D'Annunzio. La fontana malata di Palazzeschi può leggersi come un pensiero di ironismo della situazione dannunziana. la poesia di Palazzeschi può essere presa in considerazione come un rimpicciolimento del componimento dannunziano e nel stesso tempo come una aumento che conduce agli ultimi, le risorse foniche e la musicalità dell'originale. Comunque ritengo che Pascoli, prima di Palazzeschi abbia fatto un gran lavoro nell'inserimento di alcune risorse foniche, in quanto Pascoli usa spesso il suono delle parole per evocare il rumore o il ritmo della situazione raccontata dai versi. Per Pascoli, in ogni caso, le onomatopee sono usate in modo significativo, a contrario di Palazzeschi, o per descrivere in modo più realistico il verso di un animale come ad esempio nell'assiuolo.
 
1947

Da quella volta
non l?ho rivista più,
cosa sarà
della mia città.

Ho visto il mondo
e mi domando se
sarei lo stesso
se fossi ancora là.

Non so perché
stasera penso a te,
strada fiorita
della gioventù.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà.

È troppo tardi
per ritornare ormai,
nessuno più
mi riconoscerà.

La sera è un sogno
che non si avvera mai,
essere un altro
e, invece, sono io.

Da quella volta
non ti ho trovato più,
strada fiorita
della gioventù.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà.

Come vorrei
essere un albero, che sa
dove nasce
e dove morirà!

Sergio Endrigo
 
molto struggente sergio endrigo, mi ricorda...

(LIJ)
« U l'ëa partiu sensa ûn-a palanca,
l'ëa zà trent'anni, forse anche ciû.
U l'aia luttou pe mette i dinæ a-a banca
e poèisene ancun ûn giurnu turna in zû
e fäse a palassinn-a e o giardinettu,
cu-o rampicante, cu-a cantinn-a e o vin,
a branda attaccâ a-i ærboui, a ûsu lettu,
pe daghe 'na schenâ séia e mattin.
Ma u figgiu ghe dixeiva: "Nu ghe pensâ
a Zena cöse ti ghe vêu turnâ?!"

Ma se ghe pensu allua mi veddu u mâ,
veddu i mæ munti e a ciassa da Nunsiâ,
riveddu u Righi e me s'astrenze o chêu,
veddu a lanterna, a cava, lazzû o mêu...
Riveddu a séia Zena illûminâ,
veddu là a Föxe e sentu franze o mâ
e allua mi pensu ancun de riturnâ
a pösâ e osse duve'òu mæ madunnâ.

U l'ëa passou du tempu, forse troppu,
u figgiu u ghe disceiva: "Stemmu ben,
duve ti vêu andâ, papá?.. pensiemmu doppu,
u viäggio, u má, t'é vëgio, nu cunven!"
"Oh nu, oh nu! me sentu ancun in gamba,
son stûffu e nu ne possu pròpriu ciû,
son stancu de sentî señor caramba,
mi vêuggiu ritornamene ancun in zû...
Ti t'ê nasciûo e t'æ parlou spagnollu,
mi son nasciûo zeneize e... nu ghe mollu!"

Ma se ghe penso allua mi veddo u mâ,
veddu i mæ monti e a ciassa da Nunsiâ,
riveddu u Righi e me s'astrenze u chêu,
veddu a lanterna, a cava e lazzû o mêu...
Riveddo a séia Zena illûminâ,
veddo là a Föxe e sento franze u mâ,
allua mi pensu ancun de riturnâ
a pösâ e osse dove'òu mæ madunnâ.

E sensa tante cöse u l'è partïu
e a Zena u gh'à furmóu turna u so nïu. » (IT)
« Era partito senza un soldo,
erano già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per risparmiare
e potersene un giorno tornare giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per coricarcisi sera e mattina.
ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova cosa ci vuoi tornare?!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo il Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dov'è mia nonna.

Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?.. penseremo dopo,
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!"
"Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stufo e non ne posso proprio più,
sono stanco di sentire señor carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non ci mollo!"

Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare,
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dov'è la mia nonna.

E senza tante cose è partito
e a Genova ha formato di nuovo il suo nido. »
 
Teresa

Sergio Endrigo

Teresa
quando ti ho datto quella rosa
rosa rossa, mi hai detto
prima di te io non ho amato mai.

Teresa
quando ti ho datto il primo bacio
sulla bocca, mi hai detto
adesso cosa penserai di me.

Teresa
non sono mica nato ieri
per te non sono stato il primo
nemmeno l'ultimo lo sai, lo so.

Teresa
di te non penso proprio niente
proprio niente
proprio niente, mi basta,
restare un poco accanto a te, a te
amare come sai tu non sa nessuna
non devo perdonarti niente
mi basta quello che mi dai

Teresa, Teresa

Grande ,vecchio Endrigo. L'amore -nonostante la rosa rossa- non è sempre rose e fiori e a volte smette di far rima con cuore. Ma tant'è sempre intorno giriamo ,come le api sui fiori ,ma quella è un'altra canzone.

.
 
Eccola :

Le cose di ogni giorno raccontano segreti
A chi le sa guardare ed ascoltare
Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole un fiore

Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare un tavolo ci vuole un fiore

Per fare un fiore ci vuole un ramo
Per fare il ramo ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il bosco
Per fare il bosco ci vuole il monte
Per fare il monte ci vuol la terra
Per far la terra ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore

Per fare un fiore ci vuole un ramo
Per fare il ramo ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il bosco
Per fare il bosco ci vuole il monte
Per fare il monte ci vuol la terra
Per far la terra ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore

Per fare un tavolo ci vuole il legno
Per fare il legno ci vuole l'albero
Per fare l'albero ci vuole il seme
Per fare il seme ci vuole il frutto
Per fare il frutto ci vuole il fiore
Ci vuole un fiore, ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore
Per fare tutto ci vuole un fiore...

Testo Ci Vuole Un Fiore (1974)

Sergio Endrigo
 
Ci vuole un fiore

interpretata da sergio endrigo

musica di sergio endrigo e vinicius de moraes

ma le parole sono di quel poeta infinito che si chiamava:

GIANNI RODARI
 
pi_greco ha scritto:
Ci vuole un fiore

interpretata da sergio endrigo

musica di sergio endrigo e vinicius de moraes

ma le parole sono di quel poeta infinito che si chiamava:

GIANNI RODARI
Sì, è così.Mi scuso della svista e con il "poeta" Rodari.
 
Gaio Valerio Catullo - Le poesie

Godiamo, o Lesbia, mia Lesbia, amiamo,
E de' più rigidi vecchi i rimproveri
Meno d'un misero asse stimiamo.

Tramontar possono gli astri e redire:
Noi, quando il tenue raggio dileguasi,
Dobbiam perpetua notte dormire.

Baciami, baciami, vuo' che mi baci;
A cento scocchino, a mille piovano
Qui su quest'avida bocca i tuoi baci.

E poi che il numero sfugge a noi stessi,
Baciami, baciami, sì che l'invidia
Non frema al còmputo de' nostri amplessi.

Gaio Valerio Catullo
Traduzione di Mario Rapisardi (1889)
I secolo a.c

E già Catullo come poi Lorenzo il Magnifico lodava i piaceri della carne -solo con l'amata Lesbia- e come in seguito Cecco Angiolieri ...dobbiam perpetua notte dormire...sentiva l'incertezza del domani.
E oggi a quale Musa ispirarsi?
 
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