Acciaio e calcestruzzo nel cemento armato si aiutano a vicenda, dato che sono compatibili, soprattutto il coefficiente di dilatazione termica è praticamente uguale, quindi al variare della temperatura si allungano o accorciano insieme.
Semplificando:
- il calcestruzzo lavora a compressione e lo si sceglie (oggi) in base alla resistenza che serve e alla classe di esposizione (le normeUNI 11104 e UNI EN 206-1c consentono di individuare la corretta combinazione di classi di esposizione dell’opera e di ogni sua componente, in funzione dei singoli meccanismi di degrado dell’ambiente sulle strutture), e inoltre protegge l' acciaio (copriferro).
- l' acciaio ( che di suo può lavorare in trazione ma pure in compressione), passami il termine "aiuta" il calcestruzzo dove è debole, ovvero quando è sollecitato a trazione;
- tutti e due sono contenti: l' acciaio è al sicuro dalla corrosione ed il calcestruzzo ha trovato uno che in cambio lavora a trazione al suo posto.
Una struttura correttamente progettata vuol dire che non solo le resistenze del materiali sono idonee e nei limiti ammessi, ma pure le deformazioni non superano determinati valori, anzi il dimensionamento viene eseguito in modo da rimanere in "campo elastico", tipo quello che succede in un materasso: se mi sdraio si deforma, se mi alzo da letto ritorna come prima , perché è elastico (lasciamo stare poi i discorsi sulla fatica che piano piano deforma in modo permanente - effetto che si trova anche nelle strutture ed è dovuto al passare del tempo e in funzione del numero di cicli di carico-scarico).
Se le deformazioni vanno fuori controllo, si presentano segni premonitori (crepe e fessurazioni nel cls, distacchi di copriferro) e cosa succede poi è tristemente noto, se nessuno corre ai ripari.
Quindi concludendo l' acciaio, se il calcestruzzo viene poi mantenuto in condizioni ottimali, non necessita di interventi particolari, almeno quello interno avvolto dal cls, cosa diversa sono le partenze, le teste delle strutture dove magari in certi casi parti in acciaio vanno ad ancorarsi uscendo dal calcestruzzo esponendosi quindi alle condizioni ambientali.
Passami il termine: la mortalità infantile delle strutture è causata o da errori di progettazione clamorosi o da costruzione sbagliata (lasciamo stare la buona o la cattiva fede del costruttore).
Dopo cinquanta anni è solo un problema di manutenzione fatta malamente o peggio non eseguita.
In ogni caso per le strutture è prevista una specie di data di scadenza, si chiama "vita utile" che può arrivare a 100 anni per le opere di classe II, secondo le Norme tecniche per le costruzioni. Non che poi si devono demolire, ma ciò obbliga a tenere in considerazione nella progettazione che per 100 anni devono funzionare con i carichi e le sollecitazioni di progetto, i cicli di carico/scarico (per un ponte, per una diga ad esempio) e le azioni sismiche.
In questi 100 anni però è obbligo dell' utilizzatore della struttura, sempre prescritto dalle Norme tecniche, quello di rispettare il piano di manutenzione del' opera stessa, documento oggi (che si è capito l' importanza, o almeno ce lo hanno imposto gli EuroCodici) da redigere obbligatoriamente e contestualmente al progetto.