L?Italia è quasi priva di fonti autoctone di energia: nel 2007 le nostre importazioni hanno raggiunto complessivamente l?86% del fabbisogno.
Tra i Paesi europei più industrializzati il nostro è quello nelle peggiori condizioni: tra tutti gli Stati della UE 27 peggio di noi stanno solamente Malta, Lussemburgo, Cipro e Irlanda.
All?inizio del 2007 un decreto governativo ha favorito una certa espansione del solare fotovoltaico. L?apporto delle nuove installazioni solari è sinora complessivamente molto ridotto e, anche se gli incentivi sono stati rinnovati dal governo in carica, le scarse risorse disponibili e le complicazioni procedurali non permettono di sperare in una grande espansione di questa fonte rinnovabile.
La novità più importante nel medio periodo è rappresentata dalla volontà del governo di procedere alla costruzione di alcune centrali nucleari. Un?inversione di tendenza, testimone di nuova disponibilità del Paese a riesaminare la questione nucleare, ha già avuto concrete conseguenze negli ultimi anni con l?acquisizione da parte di ENEL della proprietà o di quote di partecipazione di alcune centrali nucleari collocate in vari Paesi europei. L?atteggiamento favorevole che sta emergendo tra i cittadini deriva in buona parte dai costi, considerati elevati, dell?energia elettrica e dalle recenti vicende del petrolio il cui prezzo, altamente volatile (massimo 147 $/barile nel luglio 2008 ), denuncia la presenza di una fase di crisi e spinge la popolazione a ritenere valida ogni tipo di alternativa. Va però detto che in Italia il collegamento che viene fatto tra il petrolio e la fonte nucleare è largamente ingiustificato in quanto la quota di elettricità prodotta con l?uso del greggio è inferiore al 13%.
L?orientamento del Governo ha già assunto la forma di una ?lettera d?intenti?, sottoscritta tra Enel e EDF, e un Protocollo di Accordo, firmato da Berlusconi e Sarkozy, dove sostanzialmente si concorda di creare le premesse in vista di costruire 4 centrali EPR (European Pressurized water Reactor) da 1.600 MW ciascuna.
Subito si è accesa a livello politico e mediatico la discussione su dove collocare gli impianti, poiché la vicinanza di questo tipo di infrastrutture non è per nulla gradita. È fuor di dubbio che questo sia un problema da risolvere pregiudizialmente, ma la strada per realizzare l?obiettivo finale presenta numerose asperità:
- individuazione del sito. Un impianto nucleare ha assoluta necessità di grandi quantità d?acqua. I fiumi italiani con portata sufficientemente alta durante tutto l?anno sono da tempo sfruttati per scopi analoghi. Il loro percorso è disseminato d?impianti termoelettrici che, a causa di lunghi periodi di siccità, della riduzione della portata media e delle temperature elevate che si registrano per lunghi periodi, hanno a volte dovuto arrestare o ridurre drasticamente la produzione per impossibilità di procedere al raffreddamento del vapore. E? quindi plausibile che la scelta cada o:
--su qualche tratto in riva al mare. Quasi tutte le coste del Centro e del Nord sono occupate, praticamente senza interruzione, da città, agglomerati urbani o infrastrutture turistiche. Analoga situazione si ritrova in molte località del meridione mentre altre coste del Sud italiano sperano in uguale destino. Il Sud offre comunque maggiori possibilità di scelta: peccato che da quelle parti la richiesta di elettricità sia nettamente inferiore.
-- sui siti delle centrali nucleari da tempo dismesse (Trino Vercellese, Caorso, Garigliano, Latina) o che avrebbero dovuto accogliere un impianto nucleare (Montalto di Castro). In questo caso sarebbe quasi certamente necessario smantellare le strutture tuttora esistenti prima di procedere alle nuove costruzioni. Ciò significherebbe anticipare da subito tutti gli oneri (che nelle previsioni sono da affrontare gradualmente entro il 2020) per lo smantellamento, lo smaltimento e lo stoccaggio di scorie e materiali radioattivi. Va sottolineato che Trino, Garigliano, Latina e Caorso un tempo erano siti isolati e ora non lo sono più e che solo Trino e Caorso sono localizzate nel settentrione. Inoltre entrambi gli impianti raffreddavano il vapore con l?acqua del Po. Le nuove centrali avrebbero una taglia da 3 (Caorso) a 8 (Trino) volte più grande delle loro antenate.
- convincimento delle popolazioni interessate. In complesso l?atteggiamento verso il nucleare è molto cambiato in senso possibilista. Buona parte dell?industria, dell?establishment e del personale politico è disponibile a un ritorno del nostro Paese al nucleare. Anche l?opinione pubblica è più favorevole, ma ?basta che si faccia lontano da casa mia?. D?altronde sembra del tutto improbabile che un politico, anche il più acceso sostenitore di questo tipo di scelta, scelga di costruire casa propria a qualche chilometro da una centrale nucleare. Non sarà facile convincere un?amministrazione locale, né una collettività a dare il proprio consenso alla costruzione di una centrale nucleare sul territorio di propria competenza. Con le procedure attuali questo significherebbe allungare i tempi per un periodo imprecisato. Forse si modificherà la legislazione e quasi certamente si deciderà di riequilibrare lo svantaggio che l?impianto rappresenta con vantaggi di altra natura per le popolazioni locali, soprattutto di carattere economico, portando l?onere sul prezzo finale del kWh.
- reperimento delle risorse finanziarie. Serve un impegno finanziario molto consistente. Dati recenti a cui poter fare riferimento scarseggiano, in quanto pochi sono gli impianti in via di realizzazione nel mondo e quasi tutti in realtà scarsamente trasparenti da tutti i punti di vista. Per un impianto da 1.500 MW si passa da oltre 3 miliardi a quella attuale di più di 5-5,5 miliardi di euro. Si discute quindi di un investimento complessivo compreso tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Sembra del tutto improbabile che tale massa di risorse economiche possa essere messa a disposizione, dal settore privato in una prospettiva congiunturale di lunga e profonda recessione economica. Ma proprio in questa direzione si sono mossi alcuni commenti vicini a fonti governative. Pare però quasi inevitabile che debba essere lo Stato a farsi carico in buona parte di questa operazione: il che ridimensiona il problema ma non lo risolve definitivamente.
- tempi per l?avvio della produzione. Una semplificazione normativa avrebbe sicuramente positivi effetti sulla durata dell?iter autorizzativo e permetterebbe una più veloce apertura dei cantieri. Tuttavia è difficile pensare che tra discussione preliminare in sede politica e nel Paese, selezione del sito, autorizzazioni, scelte sulla tipologia e sulla commessa, si possano chiudere i cantieri entro una decina d?anni dalla prima decisione. Infatti si traguarda già la data del 2020.
- garanzia del combustibile. Le ultime ricerche portano a stimare che sia già estratto circa un terzo di tutto il minerale d?uranio disponibile sul pianeta, a qualunque ordine di prezzo. Nel contesto italiano ci si può limitare a ricordare che il reperimento del combustibile per far funzionare sino a fine vita quattro nuove centrali non dovrebbe presentare problemi irrisolvibili. Non altrettanto tranquilli si potrebbe restare nel caso in cui l?industria elettronucleare fosse oggetto di un?improvvisa (ma del tutto improbabile) forte espansione nel mondo.
- stoccaggio di rifiuti e scorie radioattive. Non è stato ancora individuato in Italia alcun sito per lo stoccaggio a lungo periodo dei materiali a bassa o alta radioattività. Gli attuali numerosi e variamente organizzati stoccaggi ?provvisori? presentano livelli di sicurezza non certo ottimali sia dal punto di vista ambientale che da quello di potenziali attività delittuose o peggio terroristiche. Non sarà per nulla semplice ma in futuro non dovrebbe essere molto difficile fare un po? meglio di quanto si è fatto finora.
smantellamento (a fine vita) dell?impianto. Problema spinoso che, oltre alle complicazioni finali appena affrontate, pone il dilemma se caricare, sin dall?avvio dell?impianto, sui costi di produzione del chilowattora la quota afferente gli oneri di smantellamento. Entità non facile da quantificare, ma in grado comunque di ridurre significativamente la competitività economica dell?energia nucleare. Lo stanziamento per smantellare le quattro piccole centrali italiane, chiuse da decenni, è di circa 2,6 miliardi di euro in 20 anni. Per mettere in sicurezza tutte le scorie esistenti, è stato previsto un costo di circa 4,3 miliardi di euro. Solo per la sistemazione provvisoria delle scorie delle quattro vecchie centrali, l?Italia sta spendendo 300 milioni di euro.
Una precisa e risoluta volontà politica, che caratterizzasse il potere esecutivo per un tempo sufficientemente lungo, potrebbe comunque rimuovere tutti questi ostacoli e l?Italia a partire dal 2020 potrebbe disporre di una prima quota dei complessivi 6.400 MW di potenza elettronucleare (Il ragionamento che si sta per sviluppare presuppone che nel 2020 siano già disponibili tutti i 6.400 MW). Dato che il funzionamento medio degli impianti nucleari è di circa 7.500 ore l?anno la produzione attesa sarebbe pari a 48.000 GWh, che corrispondono al 14% dell?elettricità richiesta sulla rete nel 2007 (339.928 GWh).
A questo punto s?impone una considerazione: se i consumi elettrici del nostro Paese aumenteranno a un tasso medio del 2% annuo (inferiore al tasso medio degli ultimi 10 anni che è stato del 2,3%) nel 2020 saranno pari a circa 440.000 GWh. In sostanza, 4 centrali nucleari da 1.600 MW nel 2020 sarebbero in grado di coprire meno del 50% dell?incremento di domanda di elettricità che si sarebbe verificato nel frattempo.
Nell?ipotesi che la recessione in atto facesse ancora sentire per qualche tempo i suoi effetti sui consumi dell?intero sistema e così riducesse l?incremento al 1,5% medio nel periodo, i consumi si assesterebbero nel 2020 attorno a 410.000 GWh e l?apporto nucleare in questo caso soddisferebbe meno del 70% dell?incremento.
48.000 GWh non sono un quantitativo di energia trascurabile. Rappresenterebbero un contributo decisivo nel soddisfare esigenze crescenti di energia elettrica ma una scelta come quella su cui il Paese si sta confrontando non può essere presentata e interpretata come la panacea dei mali energetici di questo Paese.
Il ritorno al nucleare in Italia potrebbe rappresentare oggi una scelta, che deve però misurarsi seriamente con le preoccupazioni, in gran parte fondate, di chi resta contrario, con tutti i problemi appena elencati e, infine, con i limiti netti che la caratterizzano rispetto alla ben più ampia e complicata prospettiva energetica.
Non si può inoltre ignorare il fatto che decidere di destinare una così cospicua quantità di risorse in direzione del nucleare comporta per l?Italia la scelta di penalizzare irrimediabilmente le fonti rinnovabili (eolico e fotovoltaico) che, a lungo termine, sono le sole ? allo stato attuale delle conoscenze ? in grado di garantire almeno una certa quantità di energia elettrica. Bisogna ricordare che l?uranio, come le fonti fossili, è presente in quantità finita sulla terra e che, anche se non ne conosciamo con precisione le quantità, è certo che non potrà essere estratto per un tempo indefinito. La stessa IEA (International Energy Agency, la più qualificata agenzia del mondo in merito alle analisi della situazione energetica) non prevede un particolare sviluppo della fonte nucleare nei prossimi decenni.
Purtroppo vi è un?ultima importante considerazione da fare. La discussione sui media e il confronto politico si concentrano quasi esclusivamente su nucleare e, di contro, sul fotovoltaico. Due tecnologie che sanno produrre solo elettricità. Quindi il confronto nel Paese non prende in esame la questione energetica ma resta confinato al solo aspetto elettrico che viene affrontato con tale impeto e fervore di parte da farlo diventare ?Il Problema Energetico?, mentre invece rappresenta solo il 35% della questione energetica nazionale.
Il restante 65% riguarda i comparti del trasporto, della chimica, della metallurgia, del vetro, del domestico, del cemento, della farmaceutica, ecc. dove i vari combustibili fossili e i loro derivati, oltre che essere determinanti in quanto fonti energetiche non elettriche, rappresentano anche una quota importante di materia prima di processo. Un dibattito ?nucleare sì ? nucleare no? non sfiora nemmeno questi contesti che restano esposti, ancor più dell?elettricità, al pericolo di un?insufficiente disponibilità di risorse.
La dimensione della questione energetica nazionale che ci vede sempre più dipendenti dall?esterno (siamo ormai prossimi al 90%, che probabilmente supereremo con l?acquisto dell?uranio !!) richiederebbe quindi un disegno strategico ampio e articolato, capace di affrontare non solo gli aspetti riguardanti la disponibilità delle fonti, gli approvvigionamenti di energia ma, ancor più seriamente e drasticamente, l?intero versante dei consumi. Altrimenti anche le positività (ancora solo potenziali) legate ad alcuni accordi internazionali o allo sviluppo di qualche (limitata) fonte interna non possono che produrre effetti modesti, incapaci d?invertire una tendenza in cui non si intravvede alcun possibile miglioramento strutturale.
Rischiano invece di diffondere un pericoloso senso di sicurezza sul futuro che, a un esame appena più attento, non ha alcuna ragione d?essere.
Mirco Rossi