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Poesia

Dicono che la Speranza sia felicità,
ma il vero Amore deve amare il passato,
e il Ricordo risveglia i pensieri felici
che primi sorgono e ultimi svaniscono.

E tutto ciò che il Ricordo ama di più
un tempo fu Speranza solamente;
e quel che amò e perse la Speranza
oramai è circonfuso nel Ricordo.

È triste! È tutto un'illusione:
il futuro ci inganna da lontano,
non siamo più quel che ricordiamo,
né osiamo pensare a ciò che siamo.

Lord Byron George Gordon Noel

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Non si può vivere con lo sguardo volto al passato,
è uno struggente consumarsi nei ricordi,
dimenticando il presente ed il futuro.
 
George Herbert (1593-1633)

Love (III)

1Love bade me welcome, yet my soul drew back,
2 Guilty of dust and sin.
3But quick-ey'd Love, observing me grow slack
4 From my first entrance in,
5Drew nearer to me, sweetly questioning
6 If I lack'd anything.

7"A guest," I answer'd, "worthy to be here";
8 Love said, "You shall be he."
9"I, the unkind, the ungrateful? ah my dear,
10 I cannot look on thee."
11Love took my hand and smiling did reply,
12 "Who made the eyes but I?"

13"Truth, Lord, but I have marr'd them; let my shame
14 Go where it doth deserve."
15"And know you not," says Love, "who bore the blame?"
16 "My dear, then I will serve."
17"You must sit down," says Love, "and taste my meat."
18 So I did sit and eat.
 
To Thomas Moore

My boat is on the shore,
And my bark is on the sea;
But, before I go, Tom Moore,
Here's a double health to thee!

Here's a sigh to those who love me,
And a smile to those who hate;
And, whatever sky's above me,
Here's a heart for every fate.

Though the ocean roar around me,
Yet it still shall bear me on;
Though a desert should surround me,
It hath springs that may be won.

Were't the last drop in the well,
As I gasp'd upon the brink,
Ere my fainting spirit fell,
'Tis to thee that I would drink.

With that water, as this wine,
The libation I would pour
Should be -peace with thine and mine,
And a health to thee, Tom Moore!

Lord George Gordon Noel Byron
 
Stanzas Written on the Road Between Florence and Pisa

Oh, talk not to me of a name great in story;
The days of our youth are the days of our glory;
And the myrtle and ivy of sweet two-and-twenty
Are worth all your laurels, though ever so plenty.

What are garlands and crowns to the brow that is wrinkled?
'Tis but as a dead flower with May-dew besprinkled:
Then away with all such from the head that is hoary!
What care I for the wreaths that can only give glory?

O Fame! -if I e'er took delight in thy praises,
'Twas less for the sake of thy high-sounding phrases,
Than to see the bright eyes of the dear one discover
She thought that I was not unworthy to love her.

There chiefly I sought thee, there only I found thee;
Her glance was the best of the rays that surround thee;
When it sparkled o'er aught that was bright in my story,
I knew it was love, and I felt it was glory.

Lord Byron
 
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Ondeggia, Oceano nella tua cupa
e azzurra immensità.
A migliaia le navi ti percorrono invano;
L'uomo traccia sulla terra i confini,
apportatori di sventure,
Ma il suo potere ha termine sulle coste,
Sulla distesa marina
I naufragi sono tutti opera tua,
è l'uomo da te vinto,
Simile ad una goccia di pioggia,
S'inabissa con un gorgoglio lamentoso,
Senza tomba, senza bara,
senza rintocco funebre, ignoto.
Sui tuoi lidi sorsero imperi,
contesi da tutti a te solo indifferenti
Che cosa resta di Assiria, Grecia, Roma,
Cartagine?
Bagnavi le loro terre quando erano libere
e potenti.
Poi vennero parecchi tiranni stranieri,
La loro rovina ridusse i regni in deserti;
Non così avvenne, per te, immortale e
mutevole solo nel gioco selvaggio delle onde;
Il tempo non lascia traccia
sulla tua fronte azzurra.
Come ti ha visto l'alba della Creazione,
così continui a essere mosso dal vento.
E io ti ho amato, Oceano,
e la gioia dei miei svaghi giovanili,
era di farmi trasportare dalle onde
come la tua schiuma;
fin da ragazzo mi sbizzarrivo con i tuoi flutti,
una vera delizia per me.
E se il mare freddo faceva paura agli altri,
a me dava gioia,
Perché ero come un figlio suo,
E mi fidavo delle sue onde, lontane e vicine,
E giuravo sul suo nome, come ora...

Lord Byron (George Gordon Noel Byron)
 
Il mare è bello col suo inarrestabile continuo movimento.

Genova per noi.

(1974 - Paolo Conte)

I. Con quella faccia un po'così
quell'espressione un po'così
che abbiamo noi prima andare a Genova
che ben sicuri mai non siamo
che quel posto dove andiamo
non c'inghiotte e non torniamo più.

II. Eppur parenti siamo in po'
di quella gente che c'è lì
che in fondo in fondo è come noi selvatica
ma che paura che ci fa quel mare scuro
che si muove anche di notte
e non sta fermo mai.
Genova per noi
che stiamo in fondo alla campagna
e abbiamo il sole in piazza rare volte
e il resto è pioggia che ci bagna.
Genova, dicevo, è un'idea come un'altra
Ah... la la la la

III. Ma quella faccia un po'così
quell'espressione un po'così
che abbiamo noi mentre guardiamo Genova
ed ogni volta l'annusiamo
e circospetti ci muoviamo
un po'randagi ci sentiamo noi.
Macaia, scimmia di luce e di follia,
foschia, pesci, Africa, sonno, nausea, fantasia.
E intanto nell'ombra dei loro armadi
tengono lini e vecchie lavande
lasciaci tornare ai nostri temporali
Genova ha i giorni tutti uguali.
In un'immobile campagna
con la pioggia che ci bagna
e i gamberoni rossi sono un sogno
e il sole è un lampo giallo al parabrise.
Ma quella faccia un po'così
quell'espressione un po'così
che abbiamo noi che abbiamo visto Genova...
 
Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio.
Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l?avarizia.


Don Milani (Lettera a una professoressa)
 
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Ndjock Ngana - Poeta camerunense che vive a Roma,
autore della raccolta di poesie Nhindo nero.

AFRICA

Africa, Africa mia
Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane
Africa che la mia ava canta
In riva al fiume lontano
Mai t?ho veduta
Ma del sangue tuo colmo ho lo sguardo
Il tuo bel sangue nero sui campi versato
Sangue del tuo sudore
Sudore del tuo lavoro
Lavoro di schiavi
Schiavitù dei tuoi figli

Africa dimmi Africa
Sei dunque tu quel dorso che si piega
E si prostra al peso dell?umiltà
Dorso tremante striato di rosso
Che acconsente alla frusta sulle vie del Sud
Allora mi rispose grave una voce
Figlio impetuoso il forte giovane albero
Quell?albero laggiù
Splendidamente solo fra i bianchi fiori appassiti
E? l?Africa l?Africa tua che di nuovo germoglia
Pazientemente ostinatamente
E i cui frutti a poco a poco acquistano
L?amaro sapore della libertà.

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Non sono mai andato in Africa,
meglio così,
non ho partecipato alla violenza
che colpisce quei paesi.

Forse anch'io sono colpevole
delle disgrazie di quel continente.
Consumo troppo e ciò che consumo
viene rapinato anche all'Africa.
 
BAR MARINO

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L'ora in cui il nocchiero picchia sul suo bastardo
Marinai perduti in un sogno di bruma
Fanno rosseggiare la loro pipa sulla soglia del piccolo bar.
I panettieri stanno infornando pani di luna
E io, sotto la rugiada che cade dalla coffa,
Dal grande soffitto imbottito di onischi aspiro
Tutto un carico di stelle in ritardo.
E quella di Gaspard,
Gaspard che si è installato sul fondo della conchiglia,
Ha preso l'ultimo treno, dormito fino al mattino,
E tutto il porto è vagato tra le sue mani.
La regina che voleva salvarmi dal naufragio
Tendeva le sue orecchie al canto di una conchiglia
Quando il brigantino cannoneggiò di primo mattino.

~ Antonin Artaud ~
(da Artaud, Poesie della crudeltà
 
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A Silvia

Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.

- Giacomo Leopardi

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Silvia intravista alla finestra
quante speranze e promesse
nel soggetto guardato e guardante
quanta disillusione nella morte
dell'una e nello spleen dell'altro
E le nostre Silvie saranno davvero
state salvate da sora Penicillina ?

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John Keats ? "Fulgida stella"

Fulgida stella, come tu lo sei
fermo foss'io, però non in solingo
splendore alto sospeso nella notte
con rimosse le palpebre in eterno
a sorvegliare come paziente
ed insonne Romito di natura
le mobili acque in loro puro ufficio
sacerdotale di lavacro intorno
ai lidi umani della terra, oppure
guardar la molle maschera di neve
quando appena coprì monti e pianure.

No, eppure sempre fermo, sempre senza
mutamento sul vago seno in fiore
dell'amor mio, come guanciale; sempre
sentirne il su e giù soave d'onda, sempre
desto in un dolce eccitamento
a udire sempre sempre il suo respiro
attenuato, e così viver sempre,
o se no, venir meno nella morte.
 
Che cosa c'è
Ornella Vanoni - Gino Paoli
G. Paoli

Che cosa c'è
c'è che mi sono innamorato di te
c'è che ora non mi importa niente
di tutta l'altra gente
di tutta quella gente che non sei tu

che cosa c'è
c'è che mi sono innamorato di te
c'è che ti voglio tanto bene
e il mondo mi appartiene
il mondo mio che è fatto solo di te

come ti amo
non posso spiegarti
non so cosa sento per te
ma se tu mi guardi
negli occhi un momento
puoi capire anche da te

che cosa c'è
c'è che mi sono innamorato di te
c'è che io ora vivo bene
se solo stiamo insieme
se solo ti ho vicino:
ecco che c'è.
 
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