<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=1500520490268011&amp;ev=PageView&amp;noscript=1"> Poesia | Page 18 | Il Forum di Quattroruote

Poesia

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Anacreonte.

Amo e non amo,
sono folle e non sono folle.
 
Ancora Anacreonte :

Cenai con un piccolo pezzo di focaccia,
ma bevvi avidamente un'anfora di vino;
ora l'amata cetra tocco con dolcezza
e canto amore alla mia tenera fanciulla. (traduzione di Salvatore Quasimodo)
 
birillo21 ha scritto:
Un'anfora di Vino ....

bè ,caro Brillo proprio tu dovresti sapere che tutto dipende dalle ..........dimensioni dell'anfora :D
E comunque, beccati :lol: questa :

LA CATTIVA STRADA

Alla parata militare

sputò negli occhi a un innocente

e quando lui chiese "Perché "

lui gli rispose "Questo è niente

e adesso è ora che io vada"

e l'innocente lo seguì,

senza le armi lo seguì

sulla sua cattiva strada.

Sui viali dietro la stazione

rubò l'incasso a una regina

e quando lei gli disse "Come "

lui le risposte "Forse è meglio è come prima

forse è ora che io vada "

e la regina lo seguì

col suo dolore lo seguì

sulla sua cattiva strada.

E in una notte senza luna

truccò le stelle ad un pilota

quando l'aeroplano cadde

lui disse "È colpa di chi muore

comunque è meglio che io vada "

ed il pilota lo seguì

senza le stelle lo seguì

sulla sua cattiva strada.

A un diciottenne alcolizzato

versò da bere ancora un poco

e mentre quello lo guardava

lui disse "Amico ci scommetto stai per dirmi

adesso è ora che io vada"

l'alcolizzato lo capì

non disse niente e lo seguì

sulla sua cattiva strada
.

Ad un processo per amore

baciò le bocche dei giurati

e ai loro sguardi imbarazzati

rispose "Adesso è più normale

adesso è meglio, adesso è giusto, giusto, è giusto

che io vada "

ed i giurati lo seguirono

a bocca aperta lo seguirono

sulla sua cattiva strada,

sulla sua cattiva strada.

E quando poi sparì del tutto

a chi diceva "È stato un male"

a chi diceva "È stato un bene "

raccomandò "Non vi conviene

venir con me dovunque vada,

ma c'è amore un po' per tutti

e tutti quanti hanno un amore

sulla cattiva strada

sulla cattiva strada.

La cattiva strada (De Andrè, De Gregori) 1975
 
E già che siamo nei cantautori ,ecco Mesopotamia di Franco Battiato e le sue meditazioni sull'esistenza ,il destino ,la memoria................

Lo sai che più si invecchia
più affiorano ricordi lontanissimi
come se fosse ieri
mi vedo a volte in braccio a mia madre
e sento ancora i teneri commenti di mio padre
i pranzi, le domeniche dai nonni
le voglie e le esplosioni irrazionali
i primi passi, gioie e dispiaceri.
La prima goccia bianca che spavento
e che piacere strano
e un innamoramento senza senso
per legge naturale a quell'età
i primi accordi su di un organo da chiesa in sacrestia
ed un dogmatico rispetto
verso le istituzioni.
Che cosa resterà di me? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?
Mi piacciono le scelte radicali
la morte consapevole che si autoimpose Socrate
e la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
la vita cinica ed interessante di Landolfi
opposto ma vicino a un monaco birmano
o la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli.
Anch'io a guardarmi bene vivo da millenni
e vengo dritto dalla civiltà più alta dei Sumeri
dall'arte cuneiforme degli Scribi
e dormo spesso dentro un sacco a pelo
perché non voglio perdere i contatti con la terra.
La valle tra i due fiumi della Mesopotamia
che vide alle sue rive Isacco di Ninive.
Che cosa resterà di noi? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che abbiamo in questa vita?


Mesopotamia 1989
Testo di Franco Battiato
 
La guerra di Piero
Fabrizio de André

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi
lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce
ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera
e mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue
e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore
e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia
cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato
cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno
Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno

e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
 
Pioggia

Cantava al buio d'aia in aia il gallo.

E gracidò nel bosco la cornacchia:
il sole si mostrava a finestrelle.
Il sol dorò la nebbia della macchia,
poi si nascose; e piovve a catinelle.
Poi tra il cantare delle raganelle
guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.

Stupìano i rondinotti dell'estate
di quel sottile scendere di spille:
era un brusìo con languide sorsate
e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
di stille d'oro in coppe di cristallo.

Giovanni Pascoli
Giovanni Placido Agostino Pascoli (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 ? Bologna, 6 aprile 1912) poeta italiano, è stato una delle figure maggiori della letteratura italiana di fine Ottocento.

Di fronte alle nuvole nere e all'inquietudini del secolo - e che secolo!- che si affacciava , Lui almeno poteva ripiegare ,ma non da ingenuotto come i detrattori vorrebbero,bensì consapevolmente ,volontariamente ,da vero intellettuale- nel secolo che se ne andava , nel mondo agricolo , nel premoderno e preindustriale ,nei sentimenti semplici del lavoro nei campi,della famiglia e degli affetti ,pur sapendo che il mondo intorno si sviluppava turbinoso con denari ,industrie,armi e motori e grandi masse popolari per cui sempre parteggiò e che sarebbero -ahimè- state macellate nelle due orrende guerre di cui già i poeti annusavano
il sulfureo e mefitico alone.
Oggi ci è preclusa questa strada ,anche perchè il mondo contadino è ormai romantico dipinto e la stessa natura ha perso il suo mistero di inviolabilità e di immensità -che tanto ispirò Goethe- e sopravvive solo in pezzature parziali e cintate , esili aiuolette ,minacciate dal postmoderno e le sue manie ,persino violentata dai falsi amici propinatori dell''eolico -e le mostruose pale che Don Chisciotte avrebbe subito assalite per liberar Dulcinea- e del solare a oltranza -in zone di pregio-con la sua terra bruciata.
 
Per ripidi scalini
salivano
verso il baratro
la morte in attesa
piangeva allegra
il loro
triste eroico
destino.

Messaggeri ed eroi
in olocausto
a dei umani
simili a bestie.
 
Myricae

LA CUCITRICE

L'alba per la valle nera
sparpagliò le greggi bianche:
tornano ora nella sera
e s'arrampicano stanche:
una stella le conduce.

Torna via dalla maestra
la covata, e passa lenta:
c'è del biondo alla finestra
tra un basilico e una menta:
è Maria che cuce e cuce.

Per chi cuci e per che cosa?
un lenzuolo ? un bianco velo ?
Tutto il cielo è color rosa,
rosa e oro, e tutto il cielo
sulla testa le riluce.

Alza gli occhi dal lavoro:
una lagrima? un sorriso?
Sotto il cielo rosa e oro,
chini gli occhi, chino il viso,
ella cuce, cuce, cuce.

Giovanni Pascoli

Maria perchè cuci e cuci ,
guarda il rosa del tramonto.
alza la testa sopra la tua vita
che pur semplice non ha
meno valore
Io ,sembra dire Pascoli,
posso farne solo lirica,
a te tocca sollevarti dal
lavoro e prendere coscienza
 
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t'illuse, che oggi m'illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitio che dura
e varia nell'aria secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immensi
noi siam nello spirito
silvestre,
d'arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, Ascolta. L'accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall'umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s'ode su tutta la fronda
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta: ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alveoli
son come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
( e il verde vigor rude
ci allaccia i melleoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani

ignude,
su i nostri vestimenti
leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m'illuse, che oggi t'illude,
o Ermione.
 
Non ci sono occasioni multiple
solo questa vita e nient'altro.
La Risurezzione alla fine dei tempi per il Giudizio finale
per chi è Cristiano, o Israelita, o Mussulmano.
La perpetua rinascita per gli Indù e quant'altri.
 
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