Perdonami ma un discorso è la precarieta portata a sistema che crea tutti i risvolti negativi che tu elenchi, un altro è un mondo del lavoro che di per se è in continua evoluzione e per cui occorre stargli dietro, ovviamente non è così per tutte le professioni, ma per quelle tra virgolette moderne si. Io ti faccio l'esempio del informatico, di solito è una figura che ogni tot di anni deve studiare nuove tecnologie perché è normale che le vecchie sono obsolete e vengono pian pianino dismesse, di solito poi cambia spesso sede di lavoro e colleghi perché passa da un cliente al altro, ma questa è la normalità e ti ci abitui, nella mentalità nostrana del lavoratore medio di altre categorie queste invece sono cose intollerabili, anche il solo cambiare sede lavorativa viene vissuto come un dramma, io trovo questa un modo ormai non più possibile di concepire il lavoro.
Condivido il ragionamento, e dal punto di vista del mondo del lavoro e delle mutate (e continuamente mutanti) modalità con cui è necessario approcciarsi diciamo "operativamente", la Tua analisi è molto realistica.
Io ho iniziato a progettare usando tecnigrafo, carta da lucido, matita e rapidograph.
Poi è arrivato il cad, prima 2D poi 3D, adesso si parte con il BIM (building information modeling), ai quali non ho mai opposto resistenza, anzi la mia educazione lavorativa e mentalità mi ha sempre spinto ad usarli da subito, per acquisire un vantaggio professionale, ritenendoli delle opportunità da sfruttare.
Ci sono settori in cui è necessario aggiornarsi più frequentemente, altri meno, ma questa necessità deve rimanere relegata all’ambito lavorativo, ed essere considerata un aspetto del lavoro, il saper “come” fare” deve essere parte integrante del “fare”, l’ uno in funzione dell’altro.
Col lavoro, oltre che sostentarci, possiamo inoltre aspirare anche ad una crescita personale, essendo obbligati a confrontarci continuamente con gli altri, e gli altri con noi, ed ad una crescita culturale in senso generale del termine, inteso come miglioramento della persona.
Ma non siamo tutti uguali, non è possibile immaginare una società che pretenda da tutti elasticità, adattabilità, senso di sfida, competitività.
E’ assurdo pretendere “o sei un Einstein o non sei nessuno” e diffondere messaggi di questo tono.
Ci stiamo scordando che il mondo è fatto di persone “normali”, non in senso diminutivo o dispregiativo, ma che vogliono vivere condividendo il fatto che il lavoro è parte della vita, non la vita, e non necessariamente si deve ogni giorno inventare qualcosa, accettare una nuova sfida, far fuori (metaforicamente) un concorrente e rivelarsi dei “vincenti”.
E che “normali” sono le aspettative, che IMHO sono “biologicamente” inserite nella nostra dotazione genetica: desiderio di stabilità, di certezza di un futuro, aspetti a cui sono automaticamente collegati il desiderio di mettere su famiglia, di avere ed educare dei figli, di potersi permettere una casa ( propria o di pagarsi l’ affitto), di avere delle tutele sociali, di una vecchiaia serena.
Si parla tanto di decrescita in termini economici, ma se non diamo ascolto ai segnali di decadenza che tutti i giorni riceviamo, sarà la nostra stessa natura umana a ritorcersi contro di noi.
Pretendere di adattare forzatamente con mezzi economici l’uomo per piegarlo, costringerlo ad adattarsi alle esigenze di certi modelli di sviluppo è semplicemente una follia, messa in atto in nome di una crescita contro natura.