dubbioso80 ha scritto:
... che poi c'è da vedere se il risparmio sarà per te o per il capo della ditta...
Appunto.
Inoltre è praticamente
impossibile, a parte forse sporadici casi particolari, sapere se e quando e quanto la differenza di prezzo tra un prodotto e l'altro vada
effettivamente a beneficio della realtà economica e sociale
nostrana (quella vera, fatta non di nomi o loghi ma di lavoro, persone e famiglie italiane).
Quindi il mio discorso rimane in sostanza valido:
se si volesse applicare quel principio (
pago volontariamente di più perché così faccio del bene anche a me stesso) bisognerebbe per forza applicarlo
a tutto tondo, comprando (
"per principio", appunto) sempre e comunque la merce che costa di più nella speranza che ecc. ecc.
Con il rischio (certezza?) di alimentare e premiare intrallazzi e speculazioni che nulla hanno a che fare con il nobile intento di partenza.
Anche perché, fino a prova contraria, le aziende mirano al massimo profitto: quelle calze, una volta trasferita la produzione, potrebbero essere vendute ancora a 2? (magari con qualche slogan e logo relativo alla loro
"italianità") oppure a 1.80?.
Per non parlare di tutti quei prodotti "nazionali" (italiani, tedeschi, inglesi, olandesi, americani ecc.) che, più o meno onestamente, sono già stati fatti "emigrare" in misura più o meno consistente SENZA dare particolare pubblicità alla cosa e, anzi, continuando a proporli come prodotti di grande patriottica qualità e con prezzi analoghi a prima (proprio per avvalorare tale scenario).
Un meccanismo la cui nascita, a casa nostra, risale ad almeno 15 anni fa; già negli anni 90, infatti, moltissime aziende italiane avevano "scoperto" che acquistando manufatti all'estero si poteva risparmiare parecchio, specie se poi su quei manufatti, grazie a nostrane normative molto... illuminate, si poteva continuare ad apporre il marchio "made in Italy", che infatti in seguito è diventato (piano piano, però...) sempre più ridicolo e insignificante.
...non sono quelli made in italy a costare DI PIÙ ... sono quelli made in serbia a costare meno...
Questo fa poca differenza agli occhi del compratore: un prodotto costa X e l'altro, apparentemente (o anche no) analogo, costa meno.
Inoltre io parlavo di aumenti riferendomi proprio agli aumenti, che potrebbero sempre essere attribuiti alla necessità di sostenere i posti di lavoro nostrani e rientrare quindi nel discorso precedente.
Per quanto riguarda gli
"scansafatiche", faccio notare che si tratta di un concetto
relativo. Da giovane ebbi modo di lavorare (non in nero) per un'estate all'estero, con un orario sulle dodici ore al giorno a partire dalle 5 di mattina, sei giorni e mezzo su sette, guadagnando tanto quanto avevo guadagnato l'estate prima lavorando come operaio in una fabbrica vicino a casa mia (addetto alla pressa regolarmente assunto, "normale" orario di 40 ore, tredicesima e ferie ecc.). Ad essere sincero devo ammettere che quando, DOPO quell'esperienza, sentivo qualcuno degli ex colleghi del reparto presse che si lamentava per la durezza del lavoro, percepivo le sue lamentele in maniera ben diversa da come le avrei percepite prima. Il che ovviamente non faceva di lui una persona cattiva e nemmeno faceva di me uno schiavo masochista, ma altrettanto ovviamente NON eliminava le oggettive differenze esistenti tra le due esperienze di lavoro e le due percezioni del concetto di durezza e pesantezza.
In effetti un grosso problema (forse il più grosso) sta proprio nella soggettività e contestualità (geografica, culturale, economica...) di concetti come dovere, diritto, privilegio ecc. e nella onnipresente
difficoltà che TUTTI incontriamo nel momento in cui dobbiamo ammettere/accettare l'esistenza di
punti di vista diversi dal nostro, specie quando questi ultimi ci danneggiano in qualche maniera.