Peró in tanti (me compreso) in quei due mesi e piú, chiusi in casa, abbiamo sperato (magari pure sognato) chissà, magari "dopo" un pochino migliore tutto sarà.
Un ritorno sí alla normalità auspicata che non fosse piú quella di "prima", quella piena di anormalità piú o meno gravi o assurde, peggio ancora accettate o pure pretese (per non dire difese).
Pia illusione.
Un virus ci fa ammalare, soffrire, piangere, ci ammazza, ci allontana e sospettare gli uni dagli altri, ci terrorizza, specie quando non lo conosciamo.
Ma ha i suoi limiti, ed uno é che non può cambiarci.
Se ne deduce che la natura non puó cambiare la natura umana (che alla fine é un aspetto di se stessa), a quanto pare.
Ai piú piace quella normalità a cui ci eravamo (hanno?) abituati, piena di contraddizioni (economiche, sociali e culturali) i cui aspetti positivi ce li auguriamo a noi, mentre i negativi, "le rogne" le lasciamo (in modo ipocrita e farisaico) sempre agli altri.
Ma gli "altri", nel pensiero degli altri, siamo noi, sarebbe il caso di rifletterci.
Ma ahimé questa consapevolezza é labile, non ci vogliamo soffermare su di essa se non pochi attimi perché ci fa stare male, avvertiamo il limite dell'umana debolezza, proprio come il rivolgere il pensiero alla morte (chi non l'ha mai fatto), di come sarà, quando sarà, e al dopo se ci sarà.