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Conseguenze del conflitto in Ucraina (e di altre guerre) sui prezzi dei carburanti

Stato
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Russia o non Russia, se impongo le sanzioni all'esportazione di un bene di cui io sono importatore (e ne dipendo primariamente), ho qualche disturbo mentale. Esattamente come il marito che si taglia gli zebedei per far dispetto alla moglie. End O/T anche se O/T non è e il risultato lo vediamo al distributore (e al supermercato).
Due violazioni riscontrate, politica e linguaggio scurrile. Alla prossima passiamo alla pausa di riflessione. Forumista avvisato...
 
Due violazioni riscontrate, politica e linguaggio scurrile. Alla prossima passiamo alla pausa di riflessione. Forumista avvisato...
Un moderatore ha aperto il topic citando un articolo di 4R che parlava appunto di sanzioni: non sapevo che parlare di sanzioni (il nocciolo del senso di partenza del topic) significasse parlare di politica, e ne prendo atto.

La parola "zebedei" compare, senza segnalazioni da parte di nessuno della moderazione, in 195 messaggi. Anzi, è un termine utilizzato anche dai moderatori:

https://forum.quattroruote.it/threads/unipolmove.141278/#post-2782359

Prendo atto anche di questo e da oggi la considererò "linguaggio scurrile" come suggerito. Grazie delle segnalazioni.
 
Ultima modifica:
... se impongo le sanzioni all'esportazione di un bene di cui io sono importatore (e ne dipendo primariamente), ho qualche disturbo mentale...

Ci sono situazioni in cui, se si scende a compromessi, il prezzo da pagare nel medio termine è decisamente troppo alto

Per riprendere il tuo esempio, il marito fa meglio a divorziare e/o a trovare una nuova compagna

Nel caso dell'aggressore russo occorre cambiare fornitore (evitando triangolazioni ipocrite) e modificare, per quanto possibile e senza scelte estreme, stile di vita (= riscaldamento a legna, girare in bicicletta, alimentari a km -quasi- zero ecc...)

L'inquinamento immesso in atmosfera in 2 anni di guerra è paragonabile alle minori emissioni ottenute in 30 anni passando da automobili euro "zero" ad euro6?
 
Russia o non Russia, se impongo le sanzioni all'esportazione di un bene di cui io sono importatore (e ne dipendo primariamente), ho qualche disturbo mentale. Esattamente come il marito che si taglia gli zebedei per far dispetto alla moglie. End O/T anche se O/T non è e il risultato lo vediamo al distributore (e al supermercato).
ammetto la mia ignoranza!
ma le sanzioni, chi le incassa?
chi le paga è ovvio, i cittadini, come sempre...
:(
 
L'inquinamento immesso in atmosfera in 2 anni di guerra è paragonabile alle minori emissioni ottenute in 30 anni passando da automobili euro "zero" ad euro6?
Di questo se ne parla pochissimo, ma la situazione deve essere terribile quanto a metalli pesanti sul suolo ucraino (che è il granaio d'Europa e non solo) per quanto concerne tutto quello è stato disperso in atmosfera, dalle polveri sottili a chissà quanti veleni per finire con il metano rilasciato libero sia dal sabotaggio al North Stream sia soprattutto (se ne parla pochissimo) dai pozzi russi a causa dei minori flussi verso Ovets (da quanto ho capito, è molto complesso chiudere completamente un pozzo di metano)
 
ammetto la mia ignoranza!
ma le sanzioni, chi le incassa?
chi le paga è ovvio, i cittadini, come sempre...
:(
Nel caso del petrolio le sanzioni le incassa chi è stato sanzionato perchè costretto a vendere con sconto. Gli altri (noi) comprano sempre a mercato visto le sanzioni non bloccano la vendita ad altri perciò l'offerta globale di petrolio non è alterata dalle sanzioni. Semplicemente cambiamo fornitore.
India e Cina sono quelli che ci guadagnano di più, India in particolare visto che pagava pure in rupie che sono rimaste tutte in India.
 
Io avevo azzeccato la previsione fatta quando è scoppiata la guerra in Ucraina sul futuro prezzo del metano per autotrazione.
Dopo che era schizzato alle stelle avevo ipotizzato che sarebbe calato senza però tornare ai prezzi preconflitto e che si sarebbe assestato intorno a 1,20-1,30 al kg.
Almeno nella mia zona è successo proprio questo.
Mi domando però per quanto esisteranno ancora i distributori di metano.
Già prima le auto a metano erano poche, tra i prezzi folli e il fatto che le case hanno abbandonato quella strada in favore dell'elettrico ne sono rimaste ancora meno.
In famiglia ne abbiamo rottamate 2.
Temo che i distributori inizieranno a chiudere perché con un bacino di clienti sempre più ristretto non ha più senso rimanere sul mercato.
 
Io avevo azzeccato la previsione fatta quando è scoppiata la guerra in Ucraina sul futuro prezzo del metano per autotrazione.
Dopo che era schizzato alle stelle avevo ipotizzato che sarebbe calato senza però tornare ai prezzi preconflitto e che si sarebbe assestato intorno a 1,20-1,30 al kg.
L'inflazione...è aumentato tutto
 
Io avevo azzeccato la previsione fatta quando è scoppiata la guerra in Ucraina sul futuro prezzo del metano per autotrazione.
Dopo che era schizzato alle stelle avevo ipotizzato che sarebbe calato senza però tornare ai prezzi preconflitto e che si sarebbe assestato intorno a 1,20-1,30 al kg.
Almeno nella mia zona è successo proprio questo.
Mi domando però per quanto esisteranno ancora i distributori di metano.
Già prima le auto a metano erano poche, tra i prezzi folli e il fatto che le case hanno abbandonato quella strada in favore dell'elettrico ne sono rimaste ancora meno.
In famiglia ne abbiamo rottamate 2.
Temo che i distributori inizieranno a chiudere perché con un bacino di clienti sempre più ristretto non ha più senso rimanere sul mercato.
Le case ci hanno già pensato, io ricordo tanti modelli (anche ben più che "popolari") VW, Audi, Seat, Skoda, Fiat e non solo con alimentazione a metano, ormai la scelta è ridotta al lumicino, per cui credo che anche industrialmente ne sia stata decretata la fine.

Certo, rimane l'aftermarket ma i numeri sembrano in regressione e "spostati" verso il GPL.
 
https://www.corriere.it/economia/en...na-55f37525-cb45-4e60-be58-aba27f15cxlk.shtml

"Secondo Goldman Sachs il picco della domanda di petrolio non arriverà prima del 2040 in ragione della bassa adozione delle auto elettriche. E per T-Commodity il prezzo potrà arrivare a 3 euro


Un ginepraio da cui è difficile districarsi. In cui la geopolitica (e la domanda di petrolio) la fa da padrona. A valle della filiera l’automobilista (o il camionista) che subisce il pesante rincaro della benzina. A monte i grandi Paesi produttori di materia prima che fanno i soldi a palate. Un esempio lampante è la Russia, secondo produttore al mondo, che nonostante l’embargo al petrolio deciso dalla Ue con un sofisticato sistema di triangolazione di navi petroliere (e cargo-fantasma con bandiere di comodo) ha evitato di subire il contraccolpo per le proprie casse pubbliche.


Una filiera lunghissima
In mezzo una filiera lunghissima, che va dai petrolieri ai raffinatori di greggio, fino alla rete di distribuzione del carburante. E il governo che prova a metterci una pezza per evitare i rincari alla pompa, perché sa perfettamente che si tratta di uno dei termometri principali della fiammata dell’inflazione e può tramutarsi in un pesante colpo per il consenso sociale e per il patto con i cittadini sottoposto al test ricorrente delle elezioni.


Le critiche al governo dei benzinai
Ecco perché conviene registrare l’intemerata delle associazioni sindacali di rappresentanza dei benzinai che attaccano la riforma del ministro Adolfo Urso, ritenendo di essere loro, l’ultimo anello della filiera, ad essere veramente vessati, con margini di guadagno ormai risicatissimi. «Quella del ministro Urso è una controriforma persino peggiore dell’ormai famigerato cartello del prezzo medio che, nel frattempo, si riduce alle dimensioni di un QR code (pur sempre inutile ma meno dannoso), giusto per provare inutilmente a salvare la faccia», denunciano in una nota Faib, Fegica e Figisc/Anisa commentando le modifiche al settore carburanti annunciata dal Mimit, definendo «gravissimo e intollerabile che il provvedimento che doveva finalmente occuparsi dei problemi incancreniti del settore nasconda nella sua pancia una serie di regalie per i furbetti di ogni risma, primi fra tutti i soliti petrolieri». In pratica «un liberi tutti».


Una rete di distributori troppo ingente
I sindacati parlano di «vuoto pneumatico sulla razionalizzazione della rete più pletorica d’Europa: chiuderemo 8 mila impianti - dice Urso - 3 mila perché sono fuorilegge (ma allora perché sono ancora aperti?) e gli altri 5 mila come? Boh!». Nella riforma non c’è «niente per accompagnare la
transizione energetica: i nuovi impianti dovranno avere un nuovo prodotto non fossile - dice Urso - ma quanti saranno gli impianti nuovi se la rete va ridotta e, comunque, i 15 mila che rimangono che faranno? Mah, si vedrà».


Il report di Goldman Sachs che sposta al 2040 il picco della domanda di petrolio
Ma quello che sta avvenendo è più complesso. In un report sul mercato petrolifero di Goldman Sachs viene inserito uno scenario secondo cui il «peak oil», cioè il picco della domanda di petrolio, non arriverà prima del 2040 in ragione della bassa adozione delle auto elettriche. Un bel colpo ai bei propositi di decarbonizzazione che assumono contorni politici ma non di mercato, denuncia Gianclaudio Torlizzi, analista di materie prime (e consulente del ministro della Difesa Guido Crosetto) fondatore di T-Commodity, osservatorio sull’andamento dei prezzi dei beni necessari alla transizione energetica.


La transizione procede a rilento
Ha scritto Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera pcoo tempo fa che «il passaggio all’energia pulita procede a rilento per colpa delle varie crisi, i suoi sponsor finanziari e politici sono un po’ meno convinti. E il carburante di origine fossile, ancora indispensabile, diventa sempre più caro». La domanda mondiale di petrolio supera i 100 milioni di barili al giorno. L’offerta dei Paesi produttori è limitata per tenere alti i prezzi. In Italia il petrolio è tornato ad essere, nel 2023, la principale fonte d’energia, superando il gas. Non male per un prodotto in declino. Per non parlare del carbone che conosce, a livello mondiale, un nuovo boom.

Il collo di bottiglia nella capacità di raffinazione
Torlizzi spiega il motivo e rileva come lo scenario-choc di 3 euro al litro da qui ai prossimi anni sia tutt’altro che fantasioso, con pesanti ricadute per tutti. «C’è un problema enorme di capacità di raffinazione di petrolio, per questo bisognerebbe ripensare completamente le politiche climatiche. Siamo di fronte ad uno scenario che prevede una possibile condizione di carenza dell’offerta nel comparto dei prodotti raffinati, soprattutto benzina e diesel, a causa della carenza di investimenti nella parte upstream, cioè di estrazione dai pozzi, nonostante anche Goldman Sachs preveda ormai che il picco di consumo sia traslato nel 2040», spiega l’analista.

L’industria va a scartamento ridotto
E a poco giova un contesto industriale di domanda bassa di petrolio a causa della guerra in Ucraina. «Le economie europee si sono condannate ad essere stagnanti riducendo la domanda di petrolio e gas. Basta vedere il prezzo degli acciai al carbonio che sono tornati giù in maniera importante. Stanno salendo invece i prezzi dei metalli per le batterie e per la transizione ecologica. Ad esempio il prezzo del rame sta volando perché la Cina continua ad investire e adesso anche gli americani hanno ripreso a ristoccarlo. Una novità storica visto che Pechino controlla più del 95% delle scorte mondiali e ha quindi una grossa leva geopolitica», denuncia Torlizzi.


Frena la spinta alla transizione energetica
Per cui ormai ci si chiede sempre più se non si stia scivolando, più o meno inconsapevolmente, dalla mitigazione, cioè il contrasto, all’adattamento al riscaldamento climatico. «Senza dirlo. O meglio dicendolo a mezza voce. Quello che un po’ accade nelle discussioni riservate e nei report dei grandi fondi d’investimento internazionali. Anche Blackrock — che con il suo chief executive officer Larry Fink diede il via al grande ciclo etico degli investimenti sostenibili — suggerisce prudenza nel considerare credibili scenari di decarbonizzazione spinta. Ora parla di transition investing, che suona meno deciso e allarmato di un tempo», scrive de Bortoli.


Gli incentivi sotto la lente per chiudere gli impianti
I sindacati criticano anche i «60mila euro a fondo perduto per i proprietari di ogni impianto che, per chiudere, potrà limitarsi ad una bonifica light, vale a dire gettare nei serbatoi interrati un po' di sabbia e brecciolino e il gioco è
fatto», scelta operata dal governo. Non piace nemmeno l'eliminazione del cartello che indica ai consumatori la differenza di prezzo tra servito e self service e la «completa deregolamentazione dei rapporti di lavoro nel settore» con il via libera all'introduzione dei contratti di appalto. E certo non sono così lontani quelle invettive lanciate dall’allora ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che denunciò una «colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini» quella che avviene nella filiera della benzina.

La filiera della benzina scarica in anticipo sull’utenza gli aumenti di prezzo
Un comparto in cui in termini puramente industriali il carburante che si paga alla stazione di rifornimento dovrebbe riflettere i prezzi del petrolio di un mese prima circa, perché questo è un lasso di tempo che di solito separa l’acquisto del greggio da parte delle società di raffinazione e la vendita della benzina o del gasolio al dettaglio. Nella realtà però l’intera filiera tende a scaricare ai consumatori gli aumenti delle quotazioni del barile prima di subirli: vende il carburante da greggio comprato ai vecchi prezzi più bassi come se lo avesse pagato alle nuove quotazioni aumentate. Un ginepraio, appunto (qui l’accurata ricostruzione di Federico Fubini sul Corriere di qualche anno fa sulle storture di questo mercato).
 
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