Leggete questo articolo molto interessante.
La sfida è lunga e dura ma .... Alfa in America ha un forte alleato in Chrysler a differenza di altri costruttori.
http://blog.panorama.it/economia/2010/11/24/queste-le-auto-del-futuro-fiat/
Si chiamerà Lancia 300 C, vedrà la luce nella seconda metà del 2011 e nelle speranze di Sergio Marchionne dovrà cancellare la memoria della Thesis, ultima ammiraglia tentata dal gruppo Fiat, senza successo. Ma soprattutto la Lancia 300 C sarà il primo innesto di un modello Chrysler negli stabilimenti e nel mercato italiani. Il primo di una serie che il líder máximo del Lingotto vuole sia molto lunga. Già, perché a parte la calandra e un po? di altri particolari, la futura Lancia 300 C sarà in tutto e per tutto il clone della Chrysler 300 C, berlinona americana, neanche troppo grande per i gusti yankee con i suoi 5 metri di lunghezza, ma bella grossa per le strade italiane.
Nel frattempo la Fiat Cinquecento prodotta in Messico, con tanto di nome scritto nel logo per esteso, in modo da dissuadere gli americani dal chiamarla «Five hundreds», è da venerdì 19 novembre la piccola star della fiera dell?auto di Los Angeles, a simboleggiare il ritorno dopo 27 anni del marchio Fiat sul mercato Usa, sotto gli occhi benedicenti di Marchionne. Il «trailer» su internet è andato benissimo, due mesi fa, con i 500 esemplari della vettura venduti online nel giro di un?ora.
Ma è vera gloria? Di sicuro, è vera scommessa. Di quelle da grande giocatore di poker, come Sergio Marchionne ha dimostrato di essere. O la va o la spacca. «Se la spacca, a rimetterci sono i lavoratori» dicono alla Fiom. In borsa però gli analisti prevedono che andrà bene. Certo, le vendite del gruppo sono tracollate a ottobre, scendendo del 32 per cento sul 2009, contro una media europea del 16. Ma il titolo Fiat in Piazza Affari continua a salire e dai 13,4 euro di metà novembre è visto dalle banche d?affari svettare fino a quota 15 (Deutsche Bank e Royal Bank of Scotland) o addirittura 17 euro (Morgan Stanley). Scontando grandi successi futuri. Roba da etilometro o accorto calcolo delle probabilità?
La vera scommessa che sta giocando Marchionne è rivoluzionaria per il gruppo: lanciare una gamma completa di 30 nuovi modelli tra il 2011 e il 2014 sui quattro marchi principali, Fiat, Alfa, Lancia e Chrysler (con Dodge e Jeep). Ma metterli in produzione investendo il minimo dei soldi possibile per le linee produttive. In che modo? Semplice a dirsi, mai fatto prima dalla Fiat: investimento industriale unico, prodotti gemelli ma vestiti diversamente, mercati incrociati. Insomma, Marchionne vuole vendere negli Usa le auto piccole e medie in cui eccelle la Fiat, americanizzando l?estetica e la sicurezza; e produrre in Italia, su linee industriali clonate, stilizzandole all?italiana, le Chrysler grandi, quel genere d?auto che la Fiat non ha quasi mai saputo fare bene. Torino dunque vuole concentrare gli sforzi su solo tre grandi piattaforme produttive (da circa 1,5 miliardi di investimenti infrastrutturali totali) capaci di sfornare ciascuna più di 1 milione di pezzi entro la fine del 2014. Perché solo facendo così Marchionne pensa di ottenere le economie di scala capaci di restituire redditività all?auto.
Small, compact, large: i tecnici chiamano banalmente in questo modo le tre piattaforme su cui costruire le nuove vetture. Un sistema produttivo adottato da più di dieci anni sia in Volkswagen sia in Toyota. Dal milione di pezzi in su una piattaforma rende bene. Le differenze tra i modelli si introducono a valle, nelle finiture, quelle che vedono i clienti. Stessa logica per i motori (il nuovo Multiair, per esempio, tra poco anche a 6 cilindri) e per i cambi, due aree di eccellenza Fiat, che stanno nel cuore di Marchionne e possono essere anche venduti ai concorrenti. Le componenti costose prodotte dai fornitori vanno acquistate al miglior prezzo, quello che solo la grande dimensione di un ordine può garantire: per esempio la vetreria. Quando i fornitori paramonopolisti, come la Saint-Gobain, si vedono arrivare ordini da milioni di pezzi uguali, abbassano le pretese.
In quali stabilimenti nel mondo sarà meglio montare le nuove piattaforme dipenderà dai fattori di vantaggio competitivo, primi fra tutti il rapporto con i sindacati italiani e la collegata efficienza del piano Fabbrica Italia. Ma se uno come Giorgio Airaudo, capo storico dei metalmeccanici torinesi della Fiom-Cgil, che sta a Marchionne come Joker sta a Batman, dice che avere posticipato il lancio dei nuovi modelli al 2011 e 2012 è stato come «giocare al catenaccio: difesa strenua preparando il contropiede, a rischio di essere squalificati», altri, come Raffaele Bonanni, leader della Cisl, puntano tutto su Marchionne, come gli analisti della Morgan Stanley.
Del resto il manager nasconde più di un asso nelle maniche del maglioncino nero. Innanzitutto i primi, imminenti, modelli congiunti. Nel 2011, oltre alla Lancia 300 C, arriveranno il monovolume Grand Voyager ritargato Lancia, la nuova Lancia Y che sarà prodotta a Tichy in Polonia, un suv marchiato Fiat sulla scocca del Dodge Journey e soprattutto, a fine anno, sindacati permettendo, la nuova Panda a Pomigliano, un?auto su cui il Lingotto si gioca molti dei suoi volumi di vendite. Poi nel 2012 sarà la volta dell?Alfa, malconcia dopo i modesti successi di Mito e Giulietta: dovrebbe nascere la nuova Giulia. E ancora tra il 2012 e il 2013 la nuova Lancia Flavia, gemella rimarchiata della Chrysler 200 e certamente la Grande Punto, altra bestseller da mantenere fresca.
I lanci successivi al 2012-2013, dei 30 promessi, sfumano un po? nella nebbia: due anni, nell?auto, sono ormai diventati lunghissimi e tante cose possono cambiare. Per esempio, Marchionne potrebbe cedere alle continue lusinghe di Ferdinand Piech, capo del gruppo Volkswagen-Porsche, il quale vuole a tutti i costi comprare l?Alfa, per farne l?undicesimo marchio del suo colosso. Del resto, ha 12 figli, forse punta alla simmetria. Marchionne smentisce di volere vendere, se non a un prezzo da favola, che però difficilmente Piech accetterà. Poco probabile anche la vendita di Magneti Marelli, pur non smentita in assoluto dal Lingotto: con i suoi 4,5 miliardi di ricavi, il fornitore di apparati elettronici è un pezzo troppo grande del gruppo per essere fatto fuori a cuor leggero. Molto più logico quotare la Ferrari, magari con in pancia la Maserati, ricavando circa 1 miliardo di dollari dalla cessione del 40 per cento. Ma mentre Marchionne sia su Magneti sia su Ferrari fa l?occhiolino agli analisti, la linea ufficiale del Lingotto resta il no comment.
I veri assi nella manica del manager abruzzo-canadese sono però altri due, forse più sostanziosi. Innanzitutto, nel giro di un anno andranno a scadere i contratti di fornitura e montaggio che la Chrysler ha da sempre in Europa con la Magna Steyr, gruppo russo-tedesco dove lavora, tra gli altri, quell?Hebert Demel che Marchionne licenziò tre mesi dopo essere arrivato a Torino. Impensabile che la Chrysler dell?era Fiat rinnovi alla Magna quei contratti. Li trasferirà a Torino, nell?ex stabilimento Bertone di Grugliasco e negli altri impianti italiani (sempre sindacati permettendo), risparmiando.
L?altro asso sta nel contratto con l?amministrazione americana sul risanamento della Chrysler. Si sa che la Fiat salirà, gratis, al 35 per cento del capitale del gruppo Usa. Ma pochi ricordano che se poi la Chrysler riuscirà a rimborsare i debiti che ha verso la Casa Bianca e il Canada, circa 7 miliardi di dollari, la Fiat salirà al 51. Ebbene, dopo i risultati della Chrysler nel terzo trimestre 2010 gli analisti vedono rosa. Secondo loro, già nel 2012 la Chrysler potrebbe quotarsi, o direttamente o fondendosi con la controllante quotata Fiat Auto, e chiudere i conti con Barack Obama. Questo significherebbe per Torino essere azionista con almeno il 35-40 per cento di una Fiat Auto unificata senza avere sborsato un soldo. C?è anche questo calcolo dietro il rialzo del titolo.
«Tanto di cappello a Marchionne, sta facendo il massimo che può nelle sue condizioni» commenta Gian Mario Rossignolo, nuovo patron della De Tomaso, pretendente di Termini Imerese e antico amministratore delegato della Lancia. «L?unica strada per restare competitivi è questa di costruire più modelli con le stesse piattaforme». Come cominciò a fare lui a metà anni Settanta, con l?Alfa ancora dell?Iri, guidata da Ettore Massacesi, delineando il pianale comune di Lancia Thema, Fiat Croma, Alfa 164, Saab 9000.
Dov?è allora il vero azzardo di Marchionne? Nella risposta del mercato. «I produttori giapponesi sono nelle concessionarie Usa da quarant?anni e non sono mai riusciti a vendere le loro utilitarie, non certo peggiori delle nostre» ricorda un top manager italiano di una casa tedesca, che non vuole essere citato. «Perfino la Mercedes, per vendere la Smart negli Usa, ha dovuto stringere un accordo con la Penske Corporation che gliela distribuisce, ottenendo modesti risultati».
L?altro problema è quello dei prezzi: «Un?auto che in Europa costa 10 mila euro negli Usa costa 10 mila dollari, il 30
per cento in meno. Quindi anche la futura sfida dell?Alfa, se Marchionne arriverà a giocarla, partirà in salita. Quanto a riverniciare come Lancia o Alfa le grandi berline Chrysler e venderle in Italia, auguri. Dovranno vedersela con Mercedes e Bmw. Non è che Iacocca non ci avesse provato».