Finito di leggere "Le sette morti di Evelyn Hardcastle", romanzo d'esordio del giornalista
Stuart Turton.
Si tratta di un giallo in stile Agatha Christie, ma con una componente fantastica (nel senso di fantasia). Il libro è infatti ambientato dentro una residenza di campagna - un tempo lussuosa, ma ora in decadenza - all'interno della quale ci sarà un assassinio e il protagonista dovrà scoprire chi è l'assassino.
La componente fantasy consiste nel fatto che il protagonista ha otto giorni di tempo per svelare il mistero, ma ogni mattina si sveglia vivendo sempre lo stesso giorno, ogni volta dentro il corpo di una persona diversa. Allo scadere degli otto giorni (cioè otto volte lo stesso giorno in corpi diversi, ricordando ciò che gli è accaduto), si ricomincia da capo azzerando i ricordi degli ultimi 8 giorni.
Sebbene le premesse siano intriganti, è facile intuire come l'intreccio narrativo, se non perfettamente calibrato e controllato, potrebbe presto sfuggire di mano. E infatti è quello che succede.
La giornata, senza interventi esterni, dovrebbe secondo logica svolgersi sempre identica a sé stessa, ma le interazioni del protagonista con gli altri personaggi altera il flusso degli eventi, ma - e qui sta la difficoltà - poiché lui rivive la giornata in corpi diversi per otto giorni (cioè lo stesso giorno per otto volte), significa che lui esiste ogni giorno contemporaneamente in otto corpi diversi, ognuno sfasato di una giornata rispetto al precedente.
E non basta: per complicare un po' le cose, non leggeremo gli eventi in ordine cronologico, ma in ordine sparso, cosicché dovremo leggere dello stesso protagonista che vive in corpi diversi la stessa giornata, ma in cicli diversi e raccontati con molti salti in avanti e indietro di cicli della giornata.
Ne risulta che il libro diventa illeggibile per chiunque e inevitabilmente ci si perderà, a meno che non ci si munisca di carta e penna e si traccino tutti gli eventi per ricostruirli in ordine cronologico, segnandosi ogni singolo evento per non perdersi i vari indizi sparsi per il libro. Lo dico subito: fatica sprecata, perché si scopre alla fine che tutto l'intreccio non sta in piedi e lo scrittore si perde lui stesso dentro il suo racconto e gli eventi che capitano diventano incoerenti e incompatibili tra loro. Inoltre nel finale, e questo è proprio in stile Agatha Christie, si scopre che la fatica fatta per raccogliere indizi è stata vana, perché la soluzione era ovviamente impredicibile, a causa dell'ormai onnipresente e (pare) necessario twist ending.
Mia moglie l'aveva letto prima di me; quando mi aveva spiegato la sua peculiarità, ho iniziato a leggerlo molto dubbioso, perché percepivo già il ginepraio in cui si poteva cacciare l'autore. E infatti ci avevo visto lungo. Le regole di un giallo sono codificate in modo molto preciso: deve essere un puzzle, una sfida intellettuale con il lettore, dove, se lavora bene, può arrivare alla soluzione, o almeno avvicinarcisi; ma che senso ha costruire un puzzle enorme quando poi alla fine scopri che mancano dei pezzi e tanti altri non si incastrano fra loro? E' tempo perso ed è esattamente quello che ho percepito leggendo questo libro: tempo perso.