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Per chi vede nello smart working un modello da espandere e generalizzare nel nome della sostenibilità:
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Nel corso della pandemia, la narrazione mainstream ha spesso dipinto lo smartworking come un’opportunità. Ma per molti, soprattutto tra i senior, è stato una sfida: l’assenza di interazioni quotidiane, la difficoltà nell’adattarsi alla tecnologia, la separazione sottile tra lavoro e vita privata.
«Non si può parlare di un’esperienza universale del lavoro da remoto – aggiunge Marco Bertoni, professore di Economia a Padova. «Ci sono state differenze nette basate sul genere, sulla struttura familiare e sulla condizione sociale».
Ecco perché i ricercatori invitano ora aziende e istituzioni a non ripetere gli stessi errori: il lavoro da remoto può funzionare, ma deve essere su misura. Serve flessibilità, serve ascolto, servono strumenti che tutelino il benessere mentale tanto quanto la produttività.
Lo smartworking non è una moda passeggera: è ormai parte integrante della vita lavorativa contemporanea. Ma questo studio dimostra che se vogliamo renderlo davvero sostenibile, serve più consapevolezza.
Non bastano le call su Zoom o i team virtuali. Bisogna guardare oltre: ai vissuti personali, ai bisogni emotivi, ai carichi familiari.
Perché il lavoro non è solo ciò che facciamo, ma anche come ci fa sentire.

Smartworking e salute mentale: cosa ci ha insegnato davvero la pandemia?
Uno studio europeo condotto dalle università Ca’ Foscari, l’0università di Padova e l’Ifo Institute di Monaco, svela gli effetti nascosti del lavoro da casa sugli over 50. Le più colpite? Donne, single e genitori con figli conviventi: ecco i risultati della ricerca
Quando il lavoro da casa diventa una trappola
Nel corso della pandemia, la narrazione mainstream ha spesso dipinto lo smartworking come un’opportunità. Ma per molti, soprattutto tra i senior, è stato una sfida: l’assenza di interazioni quotidiane, la difficoltà nell’adattarsi alla tecnologia, la separazione sottile tra lavoro e vita privata.
«Non si può parlare di un’esperienza universale del lavoro da remoto – aggiunge Marco Bertoni, professore di Economia a Padova. «Ci sono state differenze nette basate sul genere, sulla struttura familiare e sulla condizione sociale».
Ecco perché i ricercatori invitano ora aziende e istituzioni a non ripetere gli stessi errori: il lavoro da remoto può funzionare, ma deve essere su misura. Serve flessibilità, serve ascolto, servono strumenti che tutelino il benessere mentale tanto quanto la produttività.
Verso un futuro (più) umano del lavoro
Lo smartworking non è una moda passeggera: è ormai parte integrante della vita lavorativa contemporanea. Ma questo studio dimostra che se vogliamo renderlo davvero sostenibile, serve più consapevolezza.
Non bastano le call su Zoom o i team virtuali. Bisogna guardare oltre: ai vissuti personali, ai bisogni emotivi, ai carichi familiari.
Perché il lavoro non è solo ciò che facciamo, ma anche come ci fa sentire.