TRIONFO DELL'IBRIDO CHI L'AVREBBE DETTO?
La soluzione inventata da Takeshi Uchiyamada e lanciata con la Toyota Prius pareva una bizzarria, o quasi. E invece, a distanza di trent'anni, le auto a doppia propulsione sono diventate le regine del mercato. In attesa della sempre più nebulosa rivoluzione elettrica.
Dieci anni fa, con una scelta molto azzeccata, Quattroruote assegnò il Premio Gianni Mazzocchi a Takeshi Uchiyamada, che era da poco diventato presidente della Toyota, ma è più conosciuto nel mondo dell'auto come il padre dell'ibrido. Fu lui, trent'anni fa esatti, a dar vita a quello che divenne il leggendario Progetto G21, dove la G stava per Globo e 21 per il nuovo secolo. L'obiettivo era creare automobili rispettose dell'ambiente e il costruttore giapponese gli mise a disposizione un esercito di 1.700 ingegneri che resero praticabile l'idea di abbinare un motore elettrico a uno termico. Pareva a tutti noi che c'eravamo, e mangiavamo pane e automobili dalla mattina alla sera, una soluzione più bislacca che visionaria, impressione peggiorata dalla vista della prima Prius (anno 1997), che era una vettura probabilmente intelligente (e che si sarebbe rivelato peraltro intelligentissima), ma senz'altro indigeribile dal punto di vista estetico; questo soprattutto per gli italiani che dello stile hanno sempre fatto una missione e una bandiera. Al riguardo ricordo benissimo l'imbarazzo degli uomini della portineria alla Ferrari quando la parcheggiavo davanti all'ingresso e poi la loro corsa, seguita dalla preghiera di spostarla, perché, se poi arrivava il presidente Montezemolo e la vedeva in bella (si fa per dire) mostra, sarebbero stati cavoli amari per loro. Ecco, tutto questo mi è tornato in mente guardando i numeri del mercato nazionale, dove le ibride tradizionali – non contando quelle alla spina, cioè le plugin che, al pari delle elettriche, proprio non sfondano e lo dicono i dati, non le opinioni – oggi valgono quasi il 40% del venduto, roba da auto a gasolio dei tempi migliori. È tutto oro quel che luccica? Sì, lo è, anche se le vere full hybrid sono molte meno delle mild hybrid, che servono a migliorare l'efficienza dei motori ma restano, gira e rigira, motorizzazioni tradizionali. Quella che conta, però, è l'accettazione del grande pubblico, ormai convinto, in attesa di un futuro che appare ancora piuttosto nebuloso, che la soluzione termico più elettrico sia la più conveniente o, comunque, la meno dolorosa possibile. Lo stesso termine "ibrido" è stato digerito dopo le grandi paure iniziali dei dirigenti di Toyota Italia, che avevano timore di usarlo, a differenza delle altre filiali europee. Sì, perché se ibrido al di là delle Alpi sta per qualcosa che significa "questo e quello", da noi poteva essere inteso negativamente, cioè come "né questo né quello". Qualcuno potrebbe sorprendersi, ma per mesi e mesi gli uomini del marketing e i creativi delle più rinomate agenzie di pubblicità si sforzarono per trovare un sinonimo meno rischioso: senza successo, così, alla fine si accettò con molta preoccupazione la soluzione universale, con l'accortezza di scriverla sempre all'inglese, "hybrid", perché pareva che facesse meno danni. Altri tempi: si parla di oltre 20 anni fa, che – con la velocità con cui sta cambiando il mondo – sembrano un'eternità. Da un anno, comunque, Takeshi Uchiyamada non è più il chairman della Toyota, probabilmente perché, a 77 anni compiuti, persino un giapponese può accettare l'idea di lavorare di meno. È rimasto in azienda, sia pure con minori responsabilità, e continua a sostenere che chi ha scommesso forte sul passaggio alla transizione elettrica pura si sia preso grossi rischi: una soluzione che la Toyota non rinnega, ma percorre con prudenza estrema, inquietando peraltro la concorrenza con i tanti dubbi al riguardo continuamente espressi.
(Carlo Cavicchi)