FurettoS
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Mah, alla fine è andata come dicevo io. Il CEO c'ha girato intorno e la presa alla larga ma il risultato è sempre lo stesso, parlare de sordi. O arrivano direttamente come fondi o arrivano come forti sgravi o in qualunque altro modo ma l'obiettivo è sempre quello, EuRi! Li si aspetta come l'anticicole delle azzorre oppure in Italia resta tutto fermo.
Che i problemi cronici se condivisi con quelli di altri possano a volte apparire un male comune può erroneamente sembrare vero, una parentesi che dura però dal tramonto all'alba poichè quando essa risorgerà chi i problemi nella notte gli ha risolti sarà pronto a ripartire chi invece dei problemi continua a parlarne senza agire rimarrà a contemplare l'alba fermo dove era prima.
E' curiso vedere come spesso industria reale e virtuale (quella delle azioni) non vadano di pari passo o di comune accordo, come se alla fine uno scontento debba uscirci per forza, ma stupiscono le dichiarazioni fatte dal Gruppo per bocca del suo CEO che sembravano smentirsi tra loro, quasi contrastanti.
Così sentiamo parlare di "gruppo di lavoro" (un altro?) che studierà per incrementare l'export di Fiat dal suolo italiano.
Oibò, argomento interessante e nuovo, sono solo poco più di 10 anni che il problema del Gruppo è che non esporta abbastanza e che trova nell'Italia la sua maggior fonte di approvvigionamento nella vendita di modelli.
Ma la cosa più interessante è che in questi lunghi anni il comun denominatore è stato sempre lo stesso, la macanza di modelli! Quindi in quale modo incrementare l'export se non hai modelli da vendere e non ne vuoi fare di nuovi? Bel rompicapo per il gruppo di lavoro!
Il CEO garibaldino sferza l'Italia patriottica affermando "...è che noi in questo Paese abbiamo perso ogni barlume di orgoglio nazionale" e lesto propone il frutto del nazionalismo più radicato; Freemont, Thema, Flavia e Voyager, massima espressione del vero Made in Italy... almeno sul cofano.
Ci si gongola per i successi d'oltre oceano dimenticando però in quali condizioni era Chrysler, marchio che visse una fase di rinnovamento solo nel 2001 sotto Daimler dopo di che il vuoto. Modelli rimasti uguali per 10 anni e che hanno portato in America allo stesso risultato, ovvero che Chrysler non vendeva più.
Aggiornati e cambiati i modelli è tornata a vendere anche con la benedizione di un mercato più in ripresa. Paesi diversi ricetta comune!
Eppure l'apertura allo straniero sembra che ci sia ma confusa come tutto il resto. Si parla allora di VAG come investitore in Italia ma non si capisce di che visto che Alfa rimane nelle salde mani del Gruppo. Cos'è, un invito a venire a produrre automobili tedesche in Italia prendendosi gli stabilimenti del Gruppo, magari in affitto, magari rinnovandoli in modo da ritrovarli belli e pronti e poi magari vendere auto tedesche in Italia anche a prezzi più bassi? Oppure aumentare l'export delle case tedesche?
Lamborghini e Ducati produconon nei propri stabilimenti, la prima è risorta da una crisi nera ed oggi è tornata ad essere una delle vetture più ambite.
A VAG gli stabilimenti Italiani non interessano se non vi produce vetture dal marchio Italiano e si sa che ciò che gli interessa è Alfa, gli interessa il suo potenziale ancora forte, il suo marchio e la sua storia.
Quello che mi sarei aspettato da questo incontro era una discussione più seria, uno step by step che impegnasse il Gruppo quanto il governo a rimettere in sesto la situazione. Da un lato con un piano industriale multilivello che consentisse prima nel breve e poi nel medio-lungo il restart della produzione (magari con una redistribuzione delle produzioni Fiat in Europa) in Italia, dall'altro un governo che studiasse investimenti infrastrutturali di breve termine ed apposite defiscalizzazione per le produzioni sempre nel breve periodo. Un piano che si basasse su qualcosa di concreto e non su quello che non c'è.
Anche perchè rimane veramente difficile credere a campagne contro la sovraproduzione europea nel momento in cui il gruppo apre un nuovo stabilimento in Serbia ed in Italia si sta fermi. Le campagne servono a poco quando mancano gli argomenti per avvalorarle.
Che i problemi cronici se condivisi con quelli di altri possano a volte apparire un male comune può erroneamente sembrare vero, una parentesi che dura però dal tramonto all'alba poichè quando essa risorgerà chi i problemi nella notte gli ha risolti sarà pronto a ripartire chi invece dei problemi continua a parlarne senza agire rimarrà a contemplare l'alba fermo dove era prima.
E' curiso vedere come spesso industria reale e virtuale (quella delle azioni) non vadano di pari passo o di comune accordo, come se alla fine uno scontento debba uscirci per forza, ma stupiscono le dichiarazioni fatte dal Gruppo per bocca del suo CEO che sembravano smentirsi tra loro, quasi contrastanti.
Così sentiamo parlare di "gruppo di lavoro" (un altro?) che studierà per incrementare l'export di Fiat dal suolo italiano.
Oibò, argomento interessante e nuovo, sono solo poco più di 10 anni che il problema del Gruppo è che non esporta abbastanza e che trova nell'Italia la sua maggior fonte di approvvigionamento nella vendita di modelli.
Ma la cosa più interessante è che in questi lunghi anni il comun denominatore è stato sempre lo stesso, la macanza di modelli! Quindi in quale modo incrementare l'export se non hai modelli da vendere e non ne vuoi fare di nuovi? Bel rompicapo per il gruppo di lavoro!
Il CEO garibaldino sferza l'Italia patriottica affermando "...è che noi in questo Paese abbiamo perso ogni barlume di orgoglio nazionale" e lesto propone il frutto del nazionalismo più radicato; Freemont, Thema, Flavia e Voyager, massima espressione del vero Made in Italy... almeno sul cofano.
Ci si gongola per i successi d'oltre oceano dimenticando però in quali condizioni era Chrysler, marchio che visse una fase di rinnovamento solo nel 2001 sotto Daimler dopo di che il vuoto. Modelli rimasti uguali per 10 anni e che hanno portato in America allo stesso risultato, ovvero che Chrysler non vendeva più.
Aggiornati e cambiati i modelli è tornata a vendere anche con la benedizione di un mercato più in ripresa. Paesi diversi ricetta comune!
Eppure l'apertura allo straniero sembra che ci sia ma confusa come tutto il resto. Si parla allora di VAG come investitore in Italia ma non si capisce di che visto che Alfa rimane nelle salde mani del Gruppo. Cos'è, un invito a venire a produrre automobili tedesche in Italia prendendosi gli stabilimenti del Gruppo, magari in affitto, magari rinnovandoli in modo da ritrovarli belli e pronti e poi magari vendere auto tedesche in Italia anche a prezzi più bassi? Oppure aumentare l'export delle case tedesche?
Lamborghini e Ducati produconon nei propri stabilimenti, la prima è risorta da una crisi nera ed oggi è tornata ad essere una delle vetture più ambite.
A VAG gli stabilimenti Italiani non interessano se non vi produce vetture dal marchio Italiano e si sa che ciò che gli interessa è Alfa, gli interessa il suo potenziale ancora forte, il suo marchio e la sua storia.
Quello che mi sarei aspettato da questo incontro era una discussione più seria, uno step by step che impegnasse il Gruppo quanto il governo a rimettere in sesto la situazione. Da un lato con un piano industriale multilivello che consentisse prima nel breve e poi nel medio-lungo il restart della produzione (magari con una redistribuzione delle produzioni Fiat in Europa) in Italia, dall'altro un governo che studiasse investimenti infrastrutturali di breve termine ed apposite defiscalizzazione per le produzioni sempre nel breve periodo. Un piano che si basasse su qualcosa di concreto e non su quello che non c'è.
Anche perchè rimane veramente difficile credere a campagne contro la sovraproduzione europea nel momento in cui il gruppo apre un nuovo stabilimento in Serbia ed in Italia si sta fermi. Le campagne servono a poco quando mancano gli argomenti per avvalorarle.