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Alla fine, la battuta più azzeccata - come spesso succede, peraltro - è stata di Sergio Marchionne: "Credo che molti di voi usciranno da questa sala incredibilmente scettici o incredibilmente increduli". Con queste parole, il top manager italo-canadese ha riassunto alla perfezione i sentimenti più diffusi tra gli astanti della "extravaganza" (altra definizione di Marchionne) tenutasi alla sede Chrysler di Auburn Hills per illustrare il business plan destinato a rimettere in piedi la Casa Americana entro il 2014.
Senza dubbio, al termine della full immersion, in cui il management ha spiegato a stampa (quasi tutta americana) e analisti (quasi tutti europei) come intende riportare a galla l'azienda fallita in luglio, non c'è stata l'apoteosi riservata a Marchionne quando, a Torino nel 2006, presentò in analogo convegno il piano di recupero della Fiat. Ed è altrettanto probabile che a chi non è uso ai tremendi ritmi di lavoro del gran capo nove ore di meeting praticamente non-stop possono essere una prova fisica non indifferente.
In ogni caso, c'era da aspettarsi un certo qual sconcerto nel pubblico, vista l'ambizione degli obiettivi dichiarati. Ritorno al pareggio già l'anno prossimo; 23 miliardi di investimenti in cinque anni; 25% in meno di consumi medi. Restituzione di tutti i prestiti ricevuti dai governi americano e canadese entro il 2014. Sempre entro quella data, vendite sul mercato mondiale più che raddoppiate, arrivando a 2,8 milioni di unità. Anche il più ottimista degli osservatori fatica a capire come si possano centrare tali risultati, specie partendo da una situazione disastrata come l'attuale (in ottobre le immatricolazioni del Gruppo in Usa hanno fatto registrare un terrificante -30%). Marchionne però è sicuro di sé: l'alleanza con la Fiat farà risparmiare tempo e risorse agli americani, offrendo nel contempo un'ideale complementarietà fra le rispettive gamme.
Ed ecco infine svelato il piano di prodotto, quello su cui si basa tutto il rilancio. In pratica, la Chrysler diventa una Casa Fiat-dipendente, in cui alla fine del ciclo di ristrutturazione il 50% dei prodotti deriverà da tecnologia italiana, anche in quei segmenti dove si pensava che il flusso di competenze avrebbe seguito il percorso inverso. La Jeep, per esempio, avrà tre modelli di derivazione Fiat: una piccola Suv, un'hatchback midsize (che sostituirà in un colpo solo Patriot e Compass) e l'erede della Liberty. In pratica, le uniche due che rimarranno fedeli alla tradizione saranno Wrangler e Gran Cherokee.
In casa Chrysler, a portare il testimone del passato rimarranno la 300C e la Town & Country (sorella della Voyager); tutti gli altri modelli (nameplate, come si dice in America), dalla nuova piccola del 2013 alla sostituita della Sebring, passando per una crossover e una compact, saranno basati su piattaforme Fiat. La gamma Dodge subirà un ridimensionamento, con la scomparsa di Caliber, Nitro e Viper (però anche qui appare la nuova piccola Fiat, oltre a un non meglio precisato Cuv a sette posti).
Il nome Ram da sempre riservato ai pick-up diventa un marchio a sé stante, a cui contribuirà il reparto veicoli commerciali di Fiat per l'aggiunta di due van che ora non sono previsti. A tutto ciò si aggiunge l'utilizzo di tecnologie tipicamente italiane, come i motori diesel, lo stop & start e il common-rail. A Chrysler rimarrà la responsabilità di un inedito V6 a benzina e la ricerca su ibride ed elettriche. Il tutto s'inizierà non prima della metà del prossimo anno, perché, come ha detto Marchionne, la Chrysler marcia già ora a tutto regime
Senza dubbio, al termine della full immersion, in cui il management ha spiegato a stampa (quasi tutta americana) e analisti (quasi tutti europei) come intende riportare a galla l'azienda fallita in luglio, non c'è stata l'apoteosi riservata a Marchionne quando, a Torino nel 2006, presentò in analogo convegno il piano di recupero della Fiat. Ed è altrettanto probabile che a chi non è uso ai tremendi ritmi di lavoro del gran capo nove ore di meeting praticamente non-stop possono essere una prova fisica non indifferente.
In ogni caso, c'era da aspettarsi un certo qual sconcerto nel pubblico, vista l'ambizione degli obiettivi dichiarati. Ritorno al pareggio già l'anno prossimo; 23 miliardi di investimenti in cinque anni; 25% in meno di consumi medi. Restituzione di tutti i prestiti ricevuti dai governi americano e canadese entro il 2014. Sempre entro quella data, vendite sul mercato mondiale più che raddoppiate, arrivando a 2,8 milioni di unità. Anche il più ottimista degli osservatori fatica a capire come si possano centrare tali risultati, specie partendo da una situazione disastrata come l'attuale (in ottobre le immatricolazioni del Gruppo in Usa hanno fatto registrare un terrificante -30%). Marchionne però è sicuro di sé: l'alleanza con la Fiat farà risparmiare tempo e risorse agli americani, offrendo nel contempo un'ideale complementarietà fra le rispettive gamme.
Ed ecco infine svelato il piano di prodotto, quello su cui si basa tutto il rilancio. In pratica, la Chrysler diventa una Casa Fiat-dipendente, in cui alla fine del ciclo di ristrutturazione il 50% dei prodotti deriverà da tecnologia italiana, anche in quei segmenti dove si pensava che il flusso di competenze avrebbe seguito il percorso inverso. La Jeep, per esempio, avrà tre modelli di derivazione Fiat: una piccola Suv, un'hatchback midsize (che sostituirà in un colpo solo Patriot e Compass) e l'erede della Liberty. In pratica, le uniche due che rimarranno fedeli alla tradizione saranno Wrangler e Gran Cherokee.
In casa Chrysler, a portare il testimone del passato rimarranno la 300C e la Town & Country (sorella della Voyager); tutti gli altri modelli (nameplate, come si dice in America), dalla nuova piccola del 2013 alla sostituita della Sebring, passando per una crossover e una compact, saranno basati su piattaforme Fiat. La gamma Dodge subirà un ridimensionamento, con la scomparsa di Caliber, Nitro e Viper (però anche qui appare la nuova piccola Fiat, oltre a un non meglio precisato Cuv a sette posti).
Il nome Ram da sempre riservato ai pick-up diventa un marchio a sé stante, a cui contribuirà il reparto veicoli commerciali di Fiat per l'aggiunta di due van che ora non sono previsti. A tutto ciò si aggiunge l'utilizzo di tecnologie tipicamente italiane, come i motori diesel, lo stop & start e il common-rail. A Chrysler rimarrà la responsabilità di un inedito V6 a benzina e la ricerca su ibride ed elettriche. Il tutto s'inizierà non prima della metà del prossimo anno, perché, come ha detto Marchionne, la Chrysler marcia già ora a tutto regime