Non siamo una giuria e se anche ci esponiamo non causiamo un danno a nessuno
In generale, le nostre parole possono rappresentare una violenza morale, hanno un peso anche quando per esse non siamo perseguibili sul piano giuridico.
a mio avviso ogni sentenza dovrebbe cercare di conciliare tre esigenze apparentemente contrastanti.
La prima esigenza è quella rieducativa nei confronti del colpevole, la seconda protettiva nei confronti della società e la terza quella risarcitoria nei confronti dei parenti delle vittime.
Sulla prima siamo d'accordo, la seconda deve essere transitoria altrimenti la pena perderebbe il valore di riscatto, e la terza non può consistere in una vendetta (immagino tu non ti riferisca al risarcimento in sede civile).
Io non accetto una visione alla Climaco che pone particolare attenzione alla funzione rieducativa del carcere soprattutto se, come temo, si intenda perseguire tale riabilitazione al di fuori del carcere.
Le opere si giudicano dai frutti, se non vogliamo abolire il carcere riformiamolo, quel che mi sta a cuore è che chi esce da lì sia migliore di quando ci è entrato e che questo valga almeno per la maggioranza dei detenuti. Così com'è non serve, quando non sono i reclusi a suicidarsi tocca agli agenti di polizia penitenziaria, non se ne può più.
Sulla bilancia a due piatti della giustizia vorrei porre l'esigenza di recuperare il sospetto omicida da una parte ed il dolore dei famigliari delle vittime che corrono il rischio di trovarselo di fronte a piede libero o di future potenziali vittime delle sue furie alcoliche.
I provvedimenti cautelari sono altra cosa rispetto alla sanzione penale. Se una persona ha pagato il proprio debito è riabilitata socialmente per cui incontrando i familiari delle vittime potranno negarsi il saluto ma non intralciarsi. Eventuali circostanze penalmente rilevanti sarebbero sanzionate a posteriori con l'aggravante della recidiva, altrimenti si rischia la "giuistizia preventiva" che per il nostro Diritto è concettualmente sbagliata. E poi, chi ci dice che in un incontro tra vittima e carnefice i ruoli non possano invertirsi? Dei rischi (calcolati) bisogna correrli, anche io conosco persone che mi odiano ma questo non costituisce reato e non posso aspettare che ne commettano uno per uscire di casa.
Io credo che un omicida possa seguire un percorso di riabilitazione anche in carcere , che lo segua, si ravveda e magari tra 15-20 anni che possa anche tornare alla vita civile, ma ciò dopo che si sia tutelata la società ed assicurata giustizia ai parenti.
La società non sarà mai pienamente tutelata perché bisognerebbe conoscere in anticipo il corso degli eventi, nessuno può garantire la condotta di altri, esiste una libertà personale per la quale i comportamenti non sono esattamente prevedibilli. C'è stato in passato chi, presumendo di agire nell'interesse comune, ha cercato di riconoscere i soggetti pericolosi prima che si dimostrassero tali ma i loro studi (frenologia, fisiognomica etc.) si sono dimostrati antiscientifici. Né si può punire una persona per l'indole rissosa o irosa.
Inoltre, nella stima della pena da infliggere è necessario tener conto del livello di libertà di chi ha agito, delle sue effettive intenzioni in quel momento, del significato anche simbolico degli eventi e di altri dettagli che possono aver determinato gli accadimenti.
Non vedo nulla di inumano nella permanenza di un reo in galera, vedo invece il fallimento della giustizia quando leggo ( troppo spesso per giunta) di una donna uccisa dal suo stalker dopo diverse denunce o, come nel caso in oggetto, di ragazzi uccisi da un collerico recidivo che ha già causato incidenti ed aggressioni ad altri automobilisti e persino alle forze dell'ordine.
Il mio è un discorso di principio: se ha sbagliato pagherà per l'errore commeso e non per quel che è, nessuno si senta migliore, e se c'è qualcuno che avrebbe potuto aiutare e non l'ha fatto, anche se non è imputabile per la legge, si faccia un esame di coscienza. Conosco persone che hanno rovinato la vita di altre con straordinaria abilità nell'eludere ogni giudizio e anche quando una condotta illecita si è sostanziata è stato difficile dimostrarlo* per cui non illudiamoci di stare al sicuro soltanto perché chi ha commesso un delitto è stato allontanato, un po' come si fa con chi ha una malattia mentale, lo si prende e mette via, a chi vuoi che importi? Non si può fare una società aristocratica nella quale a chi sbaglia non viene data una seconda possibilità, una società che non s'impegna per la massima inclusione sta cedendo a un deplorevole efficientismo.
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* Non posso che ricordare la scena-chiave del film "Siamo uomini o caporali" o il ritratto che lo stesso Totò faceva del ragionere Casoria ne "La banda degli onesti"...