Voglio morire in piedi, spero di prendermelo questo virus:
https://www.torinotoday.it/video/no-vax-anna-caruso-morta.html
Accontentata.
Non è umorismo nero, sono molto triste in realtà, perché a certe persone non si riesce a far capire come stanno le cose finché non ci cadono dentro.
Questo signore è soprqvvissuto, ma ... da leggere tutto, compreso e soprattutto l'ultimo paragrafo.
https://ilpiccolo.gelocal.it/triest...-bisogna-avere-paura-di-vaccinarsi-1.41029628
L’ex negazionista triestino: «Il Covid è stato un inferno, non bisogna avere paura di vaccinarsi»
Benedetta Moro
4-6 minuti
Patrik Berzi, 46enne di Gropada, racconta la sua storia: “E a chi mi parla senza mascherina, lo mando a quel paese”.
TRIESTE. “Ero scettico nei confronti del vaccino ed ero convinto che il Covid colpisse solo chi ha patologie gravi. Poi mi sono contagiato e ho capito che non è proprio così. Ho passato l’inferno e ora dico a tutti vaccinatevi. E a chi mi parla senza mascherina, lo mando a quel paese”.
Patrik Berzi, 46 anni, è seduto su una panca nel giardino di casa sua, a Gropada, mentre fa fisioterapia. È costretto a muoversi con le stampelle o sulla sedia a rotelle. La riabilitazione per lui è fondamentale dopo 25 giorni di coma e quattro mesi di allettamento. In ospedale, a Cattinara, era stato ricoverato il 27 marzo. Non ricorda molto bene tutti i passaggi, perché è un po’ sconvolto dai tanti medicinali che deve ancora prendere: morfina, cortisone, antidolorifici in generale, anticoagulanti e analgesici. A ricordare allora i dettagli dell’ospedalizzazione è la sorella Maja, che ha seguito ora dopo ora, da casa, al telefono con i medici, le sorti del fratello.
“È rimasto un mese e mezzo in terapia intensiva, intubato, per una polmonite interstiziale e un’insufficienza respiratoria gravi - afferma Maja -. Poi è stato trasferito in Pneumo Covid. Lo hanno dimesso a luglio”. Ciò che invece Patrik ricorda bene sono i dolori che ha provato e prova tutt’ora. “Non ho mai patito tanto in vita mia - sottolinea -, ho sentito dei dolori atroci: anche muovere un dito mi faceva male, non parliamo di mettersi sul fianco”. Tutto è partito da una febbre, sabato 20 marzo. Il contagio “forse l’ho preso prendendo con le mani non disinfettate un mozzicone di sigaretta un giorno in cui sono andato nell’osteria del paese, Gropada, per bere un bicchiere”. “Erano giornate – dice Patrik - in cui c’era un grande focolaio in Carso”, dove, com’è noto, c’è un’alta concentrazione di residenti che non vuole vaccinarsi. L’idea diffusa è che stare a contatto con la natura, lontani dagli assembramenti cittadini, basta per convincersi che immunizzarsi non è necessario.
A marzo, quando Patrik si era ammalato, il vaccino ancora non c’era. “Ero scettico e pensavo che quando sarebbe stato disponibile il vaccino per la mia fascia d’età, non me lo sarei fatto inoculare”, ammette il 46enne, che gestisce una struttura di affittacamere a Trieste. E del Covid che cosa pensava? “Che fosse una semplice influenza. Il mio convincimento derivava dal fatto che mia nonna di 95 anni in casa di riposo non aveva avuto nulla quando era risultata positiva. Non negavo la malattia, ma pensavo colpisse solo le persone con patologie gravi, invece colpisce anche persone sane e giovani, io sono l’esempio”. E adesso che cosa dice ai suoi amici no vax? “Mando a quel paese anche chi non mette la mascherina”. Patrik alla fine si è vaccinato qualche giorno fa. “Quello che ho passato mi ha fatto capire che cos’è il Covid e non augurerei a nessuno di ammalarsi”. Eppure, con la sua esperienza non riesce a convincere tanti suoi compaesani. Anche dopo che sono morti Igor Devetak, l’imprenditore di 50 anni che aveva deciso di curarsi da solo a casa, e suo suocero, tanti sono rimasti fermi sulle proprie posizioni. “Molte persone no vax sono convinte che io mi sia ammalato così gravemente perché sono stato sfortunato e che è colpa dei medici che mi hanno curato male”, aggiunge Patrik. A nulla sono serviti i racconti della sorella, che dai dottori, che ancora oggi vuole ringraziare, spesso si era sentita dire “che il fratello era stato pronto 15 volte senza esito, che dopo dieci giorni dall’intubazione non vedevano miglioramenti e che quindi Patrik stava diventando un paziente molto difficile, che non rispondeva alle manovre, che la strada era in salita”.
Parole che per tanti entrano in un orecchio ed escono dall’altro. E non serve nemmeno spiegare come sta oggi Patrik, che sul petto ha ancora le bruciature dei defibrillatori utilizzati per gli arresti cardiaci subiti mentre si trovava in coma: “Non ho più sensibilità su gran parte delle mani e delle gambe e a causa delle calcificazioni dovute all’allettamento dovrò mettere delle protesi alle anche. Non posso più guidare, non vado più in bici e nemmeno in moto, mia grande passione, non posso uscire se non in sedia a rotelle e quindi lavoro da casa. Vedo e ricordo poco. Ho una scarsa concentrazione”.