Penso questo:
Da un lato c'è un'azienda che punta alla massimizzazione del profitto. Logica condivisibile per una S.p.a.
Dall'altra un popolo di dipendenti e non che vogliono difendere la propria occupazione o l'italianità del prodotto.
Penso che il caso Pomigliano come il caso Mirafiori debbano far riflettere su più punti:
1) I sindacati nel nostro paese hanno sempre e solo insegnato diritti e non doveri ai propri iscritti. Hanno difeso l'indifendibile in molti casi. L'importante è incassare la quota a fine mese
2) Una legislazione a volte troppo sbilanciata a favore del lavoratore.
3) La cultura, soprattutto nella grande impresa, di poter abusare di strumenti, che chiamerei diritti, ottenuti con vere e serie lotte fatte nei decenni passati...leggasi false malattie, gravidanze difficili inesistenti, imboscamenti in fabbrica per non lavorare, pause forse un pò troppo numerose e lunghe
4) Una politica impegnata a vender fumo. Non si offre alle nostre imprese o ad eventuali investitori stranieri una politica industriale, fiscale ed energetica di lungo periodo tale da consentire le relative pianificazioni strategiche. Al max oggi possiamo garantire loro che non saranno intercettati...ma va là...
Qui non è più una questione Nord vs Sud. Una volta si parlava di questione meridionale. Oggi è una questione nazionale. E mentre noi continuiamo l'antico gioco del Sud pezzente e ladro o del Nord razzista e polentone, politica e lobbies varie si mangiano quel poco che rimane e che soprattutto è di tutti noi.
Qui serve una cultura di insieme che sia valida e condivisa da tutti. Io abito vicino allo stabilimento di Pomigliano e conosco tanti operai FIAT che avrebbero scritto loro l'ultimatum fatto da Marchionne e lamentano che poco si può fare contro i fannulloni (vedi i punti di sopra). Anche qui da noi, e questo forse può destare meraviglia in qualcuno dei lettori, c'è la volontà di prendere a calci chi lavora male. E chi lavora male non è solo da noi. Come chi lavora bene non è solo non tra noi.