Si sono mosse in tre, ieri, le compagnie petrolifere, per aumentare ancora i prezzi di benzina e gasolio nel nostro Paese. Intanto negli Usa l?amministrazione riferiva di un inatteso incremento delle riserve di petrolio, con questo interrompendo la tendenza al rialzo del prezzo al barile, sceso a 86 dollari. La Shell ha aumentato di 0,5 centesimi il prezzo di benzina e gasolio, la Tamoil ha ritoccato di 1,1 centesimi la prima e di un centesimo il secondo. La Total ha aggiunto 1,3 centesimi su entrambi. L?Agip è rimasta ferma a tre settimane fa, a 1,409 euro al litro sulla benzina e 1,236 euro sul gasolio, in netta controtendenza, come ha rilevato ieri il sito specializzato Staffetta Quotidiana.
Chi ci perde e chi ci guadagna tra queste compagnie? Di sicuro chi paga è l?utente: secondo gli ultimi dati forniti dal portale dell?energia dell?Ue, rilevati un mese fa, l?Italia, tra i 27 Paesi, è seconda solo alla Danimarca per il prezzo di un litro di benzina al netto delle tasse: 0,56 euro (l?8 marzo scorso), contro gli 0,57 danesi. La Germania si ferma a 0,49, la Francia a 0,51, la Gran Bretagna a 0,45 e la Spagna a 0,54. Dunque il problema non sono solo i balzelli, tra cui l?Iva, su cui il governo potrebbe intervenire con la sterilizzazione, affermazione del sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, cui peraltro manca ancora il conforto di una dichiarazione del titolare dell?Economia. L?immobilismo del leader del mercato, l?Agip, e dunque del colosso pubblico Eni, viene letto da qualcuno come una mossa politica dettata dall?azionista, tesa a frenare la corsa al rialzo. Altri, più tecnicamente, ritengono che possa essere una strategia per conquistare ulteriori quote di mercato. Altri ancora, più semplicemente, fanno notare che Agip, in un caso o nell?altro, si dimostra in grado di reggere una tale politica commerciale, trattandosi prima di tutto di un produttore oltre che un distributore, ma anche di un soggetto che può avvantaggiarsi di una rete di self service che fa risparmiare.
Non è dunque impossibile ragionare su come si può contenere il prezzo del carburante. Ad esempio, si può rilevare l?esistenza di accise regionali, oltre quelle statali, che, in Campania, Liguria e Marche, rendono il pieno alla pompa ancora più esoso.
Fonte: Corsera
Chi ci perde e chi ci guadagna tra queste compagnie? Di sicuro chi paga è l?utente: secondo gli ultimi dati forniti dal portale dell?energia dell?Ue, rilevati un mese fa, l?Italia, tra i 27 Paesi, è seconda solo alla Danimarca per il prezzo di un litro di benzina al netto delle tasse: 0,56 euro (l?8 marzo scorso), contro gli 0,57 danesi. La Germania si ferma a 0,49, la Francia a 0,51, la Gran Bretagna a 0,45 e la Spagna a 0,54. Dunque il problema non sono solo i balzelli, tra cui l?Iva, su cui il governo potrebbe intervenire con la sterilizzazione, affermazione del sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, cui peraltro manca ancora il conforto di una dichiarazione del titolare dell?Economia. L?immobilismo del leader del mercato, l?Agip, e dunque del colosso pubblico Eni, viene letto da qualcuno come una mossa politica dettata dall?azionista, tesa a frenare la corsa al rialzo. Altri, più tecnicamente, ritengono che possa essere una strategia per conquistare ulteriori quote di mercato. Altri ancora, più semplicemente, fanno notare che Agip, in un caso o nell?altro, si dimostra in grado di reggere una tale politica commerciale, trattandosi prima di tutto di un produttore oltre che un distributore, ma anche di un soggetto che può avvantaggiarsi di una rete di self service che fa risparmiare.
Non è dunque impossibile ragionare su come si può contenere il prezzo del carburante. Ad esempio, si può rilevare l?esistenza di accise regionali, oltre quelle statali, che, in Campania, Liguria e Marche, rendono il pieno alla pompa ancora più esoso.
Fonte: Corsera