Proprietari, ma «precari». I 267 cittadini che hanno comprato un box in via Govone, zona Mac Mahon, aspettano da gennaio 2007 di firmare l?acquisto di fronte a un notaio. Dopo due anni e 3 mesi di ritardo sui lavori, oltre 40 mila euro già pagati e una richiesta d?aumento dei prezzi del cento per cento, possono usare il loro garage. Ma ne hanno preso possesso secondo l?inedito equilibrismo giuridico della cessione «a titolo precario». Altri 23 cittadini, che contestano il rincaro dei prezzi, non hanno neppure ritirato le chiavi. Va anche peggio in piazza Risorgimento: qui altri acquirenti, che si sono rifiutati di cedere ad aumenti di prezzo del loro garage (aumenti giudicati illegittimi dal Comune), sono stati esclusi dalla cooperativa. «E ora andremo in Tribunale», dicono.
Poi c?è piazza XXV Aprile, dove il costo dei box è già salito da 26 a 33 mila euro. Prima ancora dell?inizio dei lavori. La politica dei parcheggi interrati ha disseminato la città di crateri prima, di contenziosi e battaglie legali oggi. I casi di Govone, Risorgimento e XXV Aprile sono tutti legati alla stessa azienda, la Vfv Consultecno della famiglia Villoresi. Una galassia di cooperative raggruppate nel consorzio edilizio «Il Quadrello». E due Spa, tra cui quella che dovrà scavare per costruire 700 posti auto sotto la Darsena. Lì sui Navigli, il cantiere non è neppure partito. E da tre anni l?antico porto di Milano è ridotto a una discarica, in cui gli unici a godersela sono i topi che sguazzano tra fango e immondizia. Le nuove perizie spiegano come è stato impostato l?«affare box»: dal 2001 l?«interesse pubblico» di ridurre il traffico ha dato il via a oltre duecento cantieri per parcheggi sotterranei, un giro d?affari da oltre un miliardo di euro, finito per lo più in mano a 5 grossi gruppi di costruttori. Con un sistema di regole che garantiva sentieri e scorciatoie.
Funzionava così: il Comune metteva a bando un?area, si faceva la gara, se l?aggiudicava quasi sempre la prima azienda ad essersi proposta. A quel punto veniva fissato un prezzo medio a cui vendere i box, i cittadini accorrevano e pagavano, poi spuntavano una miriade di lavori «imprevisti» in corso d?opera e i prezzi salivano del 10, 20, 50 per cento. E anche di più. Con il cambio della giunta, da Albertini a Moratti, e con la città martoriata da lavori infiniti e proteste, è arrivata una stretta sulle regole. Il caso di via Govone è emblematico: a maggio 2004 l?area viene concessa alla società «Il Quadrello», a patto che costruisca il parcheggio in 540 giorni e venda i posti auto a un costo medio di 19.930 euro. I cittadini firmano e pagano. I lavori dovrebbero terminare a novembre 2005, ma il parcheggio viene concluso oltre 2 anni dopo, a dicembre 2007. Ma la vera sorpresa è il prezzo: la richiesta per un box (come riportato dalla perizia «arbitrale» depositata il 30 giugno scorso) sale a 36.238 euro. Perché? L?azienda elenca una serie di improbabili «imprevisti», come l?obbligo di doversi adeguare in corso d?opera alle leggi antincendio (che ovviamente dovevano essere già rispettate nel progetto iniziale).
In più chiede un aumento di quasi 3 milioni di euro (spese da distribuire tra chi ha comprato i box) per i due anni e tre mesi di ritardo. Risponde il Comune (il 3 ottobre scorso): «Si ritiene che l?operatore non possa avanzare richieste di danni a fronte di prolungamenti » dovuti a «una sua carente organizzazione del cantiere». In sintesi: aziende che prima avevano mano libera nell?allungare i lavori e alzare i costi, oggi si trovano di fronte il muro di Palazzo Marino. Che, in Govone, riconosce un prezzo di vendita di 21 mila euro a box (il perito «arbitro» ha infine stabilito il prezzo finale a 24 mila). Risultato: due anni di braccio di ferro e rogiti non ancora firmati. Proteste: «Questo tirare in lungo è una sorta di ricatto». Ma oggi c?è un?incognita peggiore. Perché una delle imprese che stava lavorando in XXV Aprile, la Cega, è in liquidazione dopo aver accumulato oltre 180 protesti in sei mesi. È la stessa che ha costruito il parcheggio di via Govone, con i box che i cittadini hanno pagato senza diventarne proprietari. Gli acquirenti «precari» oggi hanno paura: «Se i nostri box venissero pignorati, perderemmo tutto».
Corsera
Gianni Santucci
Poi c?è piazza XXV Aprile, dove il costo dei box è già salito da 26 a 33 mila euro. Prima ancora dell?inizio dei lavori. La politica dei parcheggi interrati ha disseminato la città di crateri prima, di contenziosi e battaglie legali oggi. I casi di Govone, Risorgimento e XXV Aprile sono tutti legati alla stessa azienda, la Vfv Consultecno della famiglia Villoresi. Una galassia di cooperative raggruppate nel consorzio edilizio «Il Quadrello». E due Spa, tra cui quella che dovrà scavare per costruire 700 posti auto sotto la Darsena. Lì sui Navigli, il cantiere non è neppure partito. E da tre anni l?antico porto di Milano è ridotto a una discarica, in cui gli unici a godersela sono i topi che sguazzano tra fango e immondizia. Le nuove perizie spiegano come è stato impostato l?«affare box»: dal 2001 l?«interesse pubblico» di ridurre il traffico ha dato il via a oltre duecento cantieri per parcheggi sotterranei, un giro d?affari da oltre un miliardo di euro, finito per lo più in mano a 5 grossi gruppi di costruttori. Con un sistema di regole che garantiva sentieri e scorciatoie.
Funzionava così: il Comune metteva a bando un?area, si faceva la gara, se l?aggiudicava quasi sempre la prima azienda ad essersi proposta. A quel punto veniva fissato un prezzo medio a cui vendere i box, i cittadini accorrevano e pagavano, poi spuntavano una miriade di lavori «imprevisti» in corso d?opera e i prezzi salivano del 10, 20, 50 per cento. E anche di più. Con il cambio della giunta, da Albertini a Moratti, e con la città martoriata da lavori infiniti e proteste, è arrivata una stretta sulle regole. Il caso di via Govone è emblematico: a maggio 2004 l?area viene concessa alla società «Il Quadrello», a patto che costruisca il parcheggio in 540 giorni e venda i posti auto a un costo medio di 19.930 euro. I cittadini firmano e pagano. I lavori dovrebbero terminare a novembre 2005, ma il parcheggio viene concluso oltre 2 anni dopo, a dicembre 2007. Ma la vera sorpresa è il prezzo: la richiesta per un box (come riportato dalla perizia «arbitrale» depositata il 30 giugno scorso) sale a 36.238 euro. Perché? L?azienda elenca una serie di improbabili «imprevisti», come l?obbligo di doversi adeguare in corso d?opera alle leggi antincendio (che ovviamente dovevano essere già rispettate nel progetto iniziale).
In più chiede un aumento di quasi 3 milioni di euro (spese da distribuire tra chi ha comprato i box) per i due anni e tre mesi di ritardo. Risponde il Comune (il 3 ottobre scorso): «Si ritiene che l?operatore non possa avanzare richieste di danni a fronte di prolungamenti » dovuti a «una sua carente organizzazione del cantiere». In sintesi: aziende che prima avevano mano libera nell?allungare i lavori e alzare i costi, oggi si trovano di fronte il muro di Palazzo Marino. Che, in Govone, riconosce un prezzo di vendita di 21 mila euro a box (il perito «arbitro» ha infine stabilito il prezzo finale a 24 mila). Risultato: due anni di braccio di ferro e rogiti non ancora firmati. Proteste: «Questo tirare in lungo è una sorta di ricatto». Ma oggi c?è un?incognita peggiore. Perché una delle imprese che stava lavorando in XXV Aprile, la Cega, è in liquidazione dopo aver accumulato oltre 180 protesti in sei mesi. È la stessa che ha costruito il parcheggio di via Govone, con i box che i cittadini hanno pagato senza diventarne proprietari. Gli acquirenti «precari» oggi hanno paura: «Se i nostri box venissero pignorati, perderemmo tutto».
Corsera
Gianni Santucci