200.000 euro di danni ???
E questi sarebbero o giovani che dovrebbero salvare il pianeta ?
La vedo male male ...
E questi sarebbero o giovani che dovrebbero salvare il pianeta ?
La vedo male male ...
Notizia di oggi :
Nonostante i tentativi dell'Amsa, l'azienda del Comune, di ripulire la vernice con l'acqua, senza successo, è stata fatta una stima economica per i lavori di restauro necessari per riportare il monumento alla colorazione originale. Si prevedono fino a 200mila euro per la pulizia delle superfici intaccate.
E dopo non sarebbero da addebitare a loro ?? è vandalismo gratuito, senza alcuna giustificazione, col quale essere indulgenti è da masochisti : addebitare i costi di ripristino a questi scriteriati non mi pare un'impossibile farneticazione ma una cosa da fare eccome.
E senza che questo vada a sostituire le sanzioni penali del caso.
Perchè a casa?solo la notte a casa a dormire,
Riporto un ottimo pensiero di un giornalista molto obiettivo e premiato, tutt'altro che negazionista e che ho letto oggi su un quotidiano:
"Affermare che ogni disastro dipende dall’uomo ripropone l’idea che siamo diventati Dio. Come scriveva Margaret Mead, chi annuncia l’apocalisse senza alternative è parte della trappola" - Giovanni Orsina, La Stampa 22/05/2023
Il problema è poi avere a che fare con chi ti blocca le opere, che è poi lo stesso che le acclamerebbe...quasi tutti sanno deve, come e quando fare e soprattutto cosa non fare; il problema è il passaggio dalla teoria alla pratica.
Il problema è poi avere a che fare con chi ti blocca le opere, che è poi lo stesso che le acclamerebbe...
Alluvioni, il lavoro non è ancora finito: «Rischiamo altri morti»
Martina Zambon
Veneto, in regione sono stati realizzati bacini per 336 milioni di euro ma ce ne sono altri 17 da fare. Il caso dei veti locali lungo il Piave
Quattordici morti accertati, 36 mila sfollati e danni incalcolabili. L’apocalisse d’acqua che ha devastato la Romagna ha riaperto in Veneto la ferita dell’alluvione del 2010. Da allora, però, il Veneto ha iniziato a difendersi programmando 23 bacini di laminazione (o di espansione, vasche naturali arginate, in terra battuta, che permettono all’acqua di trovare una valvola di sfogo risparmiando i centri abitati). I quattro già funzionanti, Caldogno, Trissino, Montecchia di Crosara e Fontanelle hanno permesso di fronteggiare la tempesta Vaia senza che si trasformasse in un’altra edizione del 2010 grazie a 8,5 milioni di metri cubi «contenuti» e una spesa di 86,5 milioni di euro. Altri due, San Bonifacio e viale Diaz a Vicenza, sono arrivati al collaudo. Tanto che ieri il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha detto: «Non entro nel merito dell’Emilia Romagna, ma se tornassero le condizioni del 2010 abbiamo la certezza che non andrebbe come allora perché nel frattempo abbiamo realizzato un sacco di opere». Per stare tranquilli però, spiegano i tecnici, i 23 bacini devono essere tutti completati. Uno, in particolare, agita il sonno dell’assessore regionale all’Ambiente e alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin: quello del Piave, 35 milioni di metri cubi da «drenare» per evitare una tragedia di proporzioni bibliche. «Non lo dico io - spiega Bottacin - recentemente, l’ingegner Michele Ferri dell’Autorità di Bacino Distrettuale Alpi Orientali, nel corso di un incontro pubblico a San Donà di Piave ha dichiarato, calcoli alla mano, che con una piena come quella del 1966 ci saranno 400.000 persone a rischio, probabili 100 morti annegati, 11 miliardi di euro di danni». Non un’ipotesi sulla ferocia di Giove Pluvio nell’era dei cambiamenti climatici, bensì una stima basata su ciò che già è accaduto 57 anni fa.
Quelle tante opere ancora bloccate dalle proteste
Le opere di laminazione sul Piave, però, sono al palo, bloccate dalla strenua opposizione di ambientalisti e, soprattutto, dei sindaci d’area, quasi tutti leghisti per inciso, pare colpiti dalla sindrome Nimby. A Caldogno aveva protestato persino il parroco. Proprio dai Comuni, capofila Crocetta del Montello, è partita l’impugnazione della delibera che avviava il progetto al Tribunale delle Acque». Sindaci (alcuni, non tutti), comitati e associazioni come Legambiente sostengono che l’area demaniale su cui sorgerebbero le casse di espansione di Ciano del Montello è a elevata biodiversità e non va toccata. «Il Piave è il fiume potenzialmente più pericoloso del Veneto - spiega Bottacin - perché può arrivare fino a 5 mila metri cubi di portata al secondo in caso di piena. Il doppio di ciò a cui abbiamo assistito con Vaia quando il Piave è riuscito a portare, a fatica, 2.600 metri cubi al secondo. Ma nel ‘66 si arrivò fra i 4.800 e i 5.000 metri cubi al secondo. Stiamo partendo con 9 milioni di euro di lavori sul tratto terminale del Piave per pulire e garantire un maggior deflusso delle acque che, però, porta al massimo 3.000 metri cubi al secondo. Gli altri duemila, in caso di piena, bisogna trattenerli per alcune ore da qualche parte altrimenti esonda per forza. Un bacino sul Piave è fondamentale e urgente». Non manca all’appello solo il bacino di laminazione del Piave, si preme su Pra’ dei Gai, un invaso da 24 milioni di metri cubi d’acqua su Livenza e Monticano, fra Portobuffolè, Mansuè e Fontanelle. Il Trevigiano conta anche il cantiere in corso sul Muson fra Riese e Fonte, quasi 10 milioni di metri cubi d’acqua. Così come in viale Diaz, a Vicenza, è partito il conto alla rovescia per il collaudo di un invaso da 1,2 milioni di metri cubi in ritardo di oltre un anno a causa di un ricorso per l’esito della gara d’appalto.
Finanziamenti e complessità burocratica
«Il problema - spiega Bottacin - non sono tanto e solo i finanziamenti che fin qui sono sempre arrivati, pesano soprattutto i no di alcuni territori e una complessità burocratica insostenibile». Dei 23 bacini, 9 sono finiti o in corso di realizzazione, 4 hanno già l’approvazione del progetto e 10 sono alle fasi preliminari. In totale il Veneto ha in cantiere 336 milioni e 850 mila euro di opere, dati aggiornati al 31 marzo ma ne serviranno altri 224 per completare le 23 opere. Sempre senza contare gli altri 500 necessari all’Idrovia Padova-Venezia che, spiega Bottacin, garantirebbe ulteriore sicurezza al Padovano. Il tema è complesso e si intreccia, attaccano gli ambientalisti, con la poco lusinghiera medaglia d’argento nazionale per il consumo di suolo assegnata al Veneto da Ispra. La Regione, però, fa presente che negli ultimi 13 anni su tutti i principali fiumi del Veneto sono state realizzate opere di trattenuta delle acque, dal bacino del Brenta-Bacchiglione, epicentro del disastro del 2010, al canale scolmatore sull’Adige che collega il Trentino col lago di Garda ed è già stato usato durante Vaia; e poi, ancora, interventi sul Tagliamento e sul Livenza. Resta al palo, appunto, il bacino del Piave che può diventare il tallone d’Achille dell’intera regione.
Il problema è poi avere a che fare con chi ti blocca le opere, che è poi lo stesso che le acclamerebbe...
Alluvioni, il lavoro non è ancora finito: «Rischiamo altri morti»
Martina Zambon
Veneto, in regione sono stati realizzati bacini per 336 milioni di euro ma ce ne sono altri 17 da fare. Il caso dei veti locali lungo il Piave
Quattordici morti accertati, 36 mila sfollati e danni incalcolabili. L’apocalisse d’acqua che ha devastato la Romagna ha riaperto in Veneto la ferita dell’alluvione del 2010. Da allora, però, il Veneto ha iniziato a difendersi programmando 23 bacini di laminazione (o di espansione, vasche naturali arginate, in terra battuta, che permettono all’acqua di trovare una valvola di sfogo risparmiando i centri abitati). I quattro già funzionanti, Caldogno, Trissino, Montecchia di Crosara e Fontanelle hanno permesso di fronteggiare la tempesta Vaia senza che si trasformasse in un’altra edizione del 2010 grazie a 8,5 milioni di metri cubi «contenuti» e una spesa di 86,5 milioni di euro. Altri due, San Bonifacio e viale Diaz a Vicenza, sono arrivati al collaudo. Tanto che ieri il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha detto: «Non entro nel merito dell’Emilia Romagna, ma se tornassero le condizioni del 2010 abbiamo la certezza che non andrebbe come allora perché nel frattempo abbiamo realizzato un sacco di opere». Per stare tranquilli però, spiegano i tecnici, i 23 bacini devono essere tutti completati. Uno, in particolare, agita il sonno dell’assessore regionale all’Ambiente e alla Protezione civile, Gianpaolo Bottacin: quello del Piave, 35 milioni di metri cubi da «drenare» per evitare una tragedia di proporzioni bibliche. «Non lo dico io - spiega Bottacin - recentemente, l’ingegner Michele Ferri dell’Autorità di Bacino Distrettuale Alpi Orientali, nel corso di un incontro pubblico a San Donà di Piave ha dichiarato, calcoli alla mano, che con una piena come quella del 1966 ci saranno 400.000 persone a rischio, probabili 100 morti annegati, 11 miliardi di euro di danni». Non un’ipotesi sulla ferocia di Giove Pluvio nell’era dei cambiamenti climatici, bensì una stima basata su ciò che già è accaduto 57 anni fa.
Quelle tante opere ancora bloccate dalle proteste
Le opere di laminazione sul Piave, però, sono al palo, bloccate dalla strenua opposizione di ambientalisti e, soprattutto, dei sindaci d’area, quasi tutti leghisti per inciso, pare colpiti dalla sindrome Nimby. A Caldogno aveva protestato persino il parroco. Proprio dai Comuni, capofila Crocetta del Montello, è partita l’impugnazione della delibera che avviava il progetto al Tribunale delle Acque». Sindaci (alcuni, non tutti), comitati e associazioni come Legambiente sostengono che l’area demaniale su cui sorgerebbero le casse di espansione di Ciano del Montello è a elevata biodiversità e non va toccata. «Il Piave è il fiume potenzialmente più pericoloso del Veneto - spiega Bottacin - perché può arrivare fino a 5 mila metri cubi di portata al secondo in caso di piena. Il doppio di ciò a cui abbiamo assistito con Vaia quando il Piave è riuscito a portare, a fatica, 2.600 metri cubi al secondo. Ma nel ‘66 si arrivò fra i 4.800 e i 5.000 metri cubi al secondo. Stiamo partendo con 9 milioni di euro di lavori sul tratto terminale del Piave per pulire e garantire un maggior deflusso delle acque che, però, porta al massimo 3.000 metri cubi al secondo. Gli altri duemila, in caso di piena, bisogna trattenerli per alcune ore da qualche parte altrimenti esonda per forza. Un bacino sul Piave è fondamentale e urgente». Non manca all’appello solo il bacino di laminazione del Piave, si preme su Pra’ dei Gai, un invaso da 24 milioni di metri cubi d’acqua su Livenza e Monticano, fra Portobuffolè, Mansuè e Fontanelle. Il Trevigiano conta anche il cantiere in corso sul Muson fra Riese e Fonte, quasi 10 milioni di metri cubi d’acqua. Così come in viale Diaz, a Vicenza, è partito il conto alla rovescia per il collaudo di un invaso da 1,2 milioni di metri cubi in ritardo di oltre un anno a causa di un ricorso per l’esito della gara d’appalto.
Finanziamenti e complessità burocratica
«Il problema - spiega Bottacin - non sono tanto e solo i finanziamenti che fin qui sono sempre arrivati, pesano soprattutto i no di alcuni territori e una complessità burocratica insostenibile». Dei 23 bacini, 9 sono finiti o in corso di realizzazione, 4 hanno già l’approvazione del progetto e 10 sono alle fasi preliminari. In totale il Veneto ha in cantiere 336 milioni e 850 mila euro di opere, dati aggiornati al 31 marzo ma ne serviranno altri 224 per completare le 23 opere. Sempre senza contare gli altri 500 necessari all’Idrovia Padova-Venezia che, spiega Bottacin, garantirebbe ulteriore sicurezza al Padovano. Il tema è complesso e si intreccia, attaccano gli ambientalisti, con la poco lusinghiera medaglia d’argento nazionale per il consumo di suolo assegnata al Veneto da Ispra. La Regione, però, fa presente che negli ultimi 13 anni su tutti i principali fiumi del Veneto sono state realizzate opere di trattenuta delle acque, dal bacino del Brenta-Bacchiglione, epicentro del disastro del 2010, al canale scolmatore sull’Adige che collega il Trentino col lago di Garda ed è già stato usato durante Vaia; e poi, ancora, interventi sul Tagliamento e sul Livenza. Resta al palo, appunto, il bacino del Piave che può diventare il tallone d’Achille dell’intera regione.
D'altra parte, quella volta che un paese che sorgeva sulle pendici dell'Etna fu travolto dalla lava, un noto critico d'arte noto per essere spesso sopra le righe dichiarò: si può sapere cosa ci faceva lì quel paese? Fu praticamente crocifisso dai media (non che a lui ne fregasse più di tanto...), però aveva ragione.... Se costruisci su una golena, ti può andare bene per decenni, ma la volta che capita non puoi prendertela con il destino cinico e baro se vai sotto acqua.....
E' vero, l'uomo non causa i terremoti o gli alluvioni o altre catastrofi simili.
Si limita a costruire e cementificare (detto da uno che con il cls ci campa) dove non è consigliabile dal buon senso, ed ad utilizzare tecnologie costruttive a volte inadeguate.
Questo con un aggravante ... ormai quasi tutti sanno deve, come e quando fare e soprattutto cosa non fare; il problema è il passaggio dalla teoria alla pratica.
Altrimenti detto....
Disonesta'
??
Mi viene in mente quel ponte che citavi giorni fa....
Quello durato una decina di anni....
zagoguitarhero - 2 giorni fa
quicktake - 2 anni fa
Suby01 - 1 mese fa