<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=1500520490268011&amp;ev=PageView&amp;noscript=1"> Alfaromeo auto del popolo (prima dell'era Fiat) | Page 7 | Il Forum di Quattroruote

Alfaromeo auto del popolo (prima dell'era Fiat)

Quella degli alfisti è sempre stata una categoria strana, paradossalmente orgogliosa anche dei difetti delle loro vetture e quasi sempre dotata di serie di un odio atavico verso chi preferiva posare le terga su comodi e lussuosi sedili in panno Lancia o su proletari vinilpelle Fiat, per non parlare di chi sceglieva una pepata bavarese (leggi Bmw)!
Essere alfista non voleva solo dire possedere una macchina, ma adottare uno stile di vita scandito dall'indimenticabile e glorioso rumore del Bialbero per eccellenza, facendo propria una guida "mascula" fatta di funambolici controsterzi, fuorigiri e derapate fumanti come nei film polizieschi di quegli anni, dove c'era sempre una Giulia o una 1750 o una Alfetta impegnata in impossibili inseguimenti!
Ma nel 1971 al Salone di Torino accade qualcosa? L'Alfa Romeo presenta sotto ai riflettori una trazione anteriore motorizzata da un piccolo 1200 boxer.
Una tragedia?
Beh, quasi? per gli utenti meno "impegnati" (la maggioranza) sicuramente no, infatti buon per loro se finalmente l'Alfa apre la gamma verso il basso e diventa un po' meno elitaria!
Ma per gli alfisti , sicuramente si tratta di un tradimento.
Infatti, pur se il boxer Alfa perennemente assetato di benzina e olio diverrà di per sé mito; l'Alfasud verrà comunque sempre considerata dai puristi della marca come la "Meno Alfa della Alfa"?
Fino al capolavoro "Arna", naturalmente.
Ma questa è già un'altra era che al momento non ci interessa?

Quindi, nel bene e nel male, nel 1972 arriva il giro di boa: anche alla tradizionalista Alfa Romeo approda la trazione anteriore che ancora oggi fa storcere il naso a più di qualcuno? il modello, pur se perfettibile, è razionale e moderno: quattro porte, interni abbastanza comodi, motore all'altezza del marchio, frenata con quattro dischi (un must unico nella categoria) e tenuta di strada destinata a diventare proverbiale. Tutto questo, pur se unito ad un prezzo non proprio concorrenziale, ne fa sicuramente un modello appetibile per il mercato del tempo ed infatti all'Alfasud arriderà un notevole successo di vendita.
La piccola disegnata da Giugiaro nel 1971 è stata però qualcosa di più di una discussione "morale" e tecnica, fu anche una questione sociale.
Abbiamo già avuto modo di ricordare che gli anni settanta furono anni di forti contestazioni sindacali e la decisione di produrre la nuova piccola Alfa nello stabilimento di Pomigliano d'Arco vicino a Napoli approntato all'uopo dal 1968, creò non poche polemiche per i notevoli problemi di avvio. Senza voler scendere in excursus politico sociali che non ritengo siano il compito di questi nostri "articoletti"; diciamo solo che a qualcuno non piacque l'idea che scomparisse dal marchietto Alfa Romeo la scritta Milano, specie agli operai del nord cassintegrati.

Ma pur tra proteste e contestazioni, l'Alfasud inizia la sua carriera commerciale.
La vettura è dapprima disponibile in una unica versione berlina a quattro porte con motorizzazione 4 cilindri boxer 1186cc per 73cv-SAE (circa 63 con la più realistica misurazione DIN), ma era prevista fin dall'inizio una versione a due porte, che nel 1973 diede vita alla sportiva versione TI.
Contraddistinta esteticamente dal frontale a quattro fari circolari, spoiler anteriore e posteriore e nuovi cerchi; manteneva la medesima motorizzazione 1186 ma con cambio a 5 marce e potenza portata a 68cv-DIN grazie all'adozione di un carburatore doppio corpo e di un rapporto di compressione più elevato.
Gli interni erano caratterizzati sportivamente grazie all'adozione di serie del contagiri e alla presenza della strumentazione supplementare al centro della plancia. Nuovo anche il disegno dei sedili con fascia centrale in tessuto.
E` probabile che questa versione abbia fatto ricredere anche gli ultimi alfisti incalliti, dato che le prestazioni, per l'epoca, erano di tutto rispetto e il canto roco del boxer cominciava ad affascinare sempre di più.
Nel 1975 si punta all'arricchimento della gamma: arriva infatti l'Alfasud Lusso, versione con dotazione di serie significativamente migliorata e alcuni particolari interni modificati per aumentare il livello di confort del modello, aspetto finora forse un po' trascurato. Sempre nello stesso anno, inizia la produzione della poco conosciuta versione Giardinetta, la station wagon a tre porte, più lunga di circa 40 centimetri rispetto alla berlina, con una capacità di carico che poteva arrivare a 1300 litri: come la rispettiva versione berlina 1200, anche questa versione divenne disponibile, dal 1976, nel nuovo allestimento "5m" che chiaramente indicava l'adozione del cambio a cinque velocità di serie.

Se il successo non arrise alla Giardinetta anche per colpa del non particolarmente indovinato design, questo fu invece uno dei punti di forza dell'accattivante versione coupè, la Sprint del 1976, ancora una volta opera della felice matita di Giugiaro.
Con questo modello arriva anche un più adeguato motore di 1286 cc per una potenza di 75 cavalli che dal 1977 equipaggerà anche la berlina nel nuovo allestimento Super. Quest'ultima versione, ancora una volta prevede modifiche agli interni: nuovi il volante, il disegno della plancia e i fianchetti delle porte, nonché i sedili bicolore; mentre, esternamente, solo i paraurti con fascia plasticata e pochi altri particolari secondari differenziavano il nuovo modello.
L'allestimento Super era disponibile anche con il vecchio 1200 a cinque marce che equipaggiava la versione base che rimase in listino.
La successiva tappa evolutiva risale al 1978: dapprima con la TI e la Sprint e poi anche con la Super, diventano disponibili due nuove motorizzazioni: si tratta di un 1350cc da 79 cavalli e di un 1490cc da 85cv, propulsori che contribuirono ad innalzare notevolmente le prestazioni della vettura che in questi anni cominciava a patire un po' gli attacchi della concorrenza sempre più agguerrita.
Il 1500 costituì anche l'apice dell'evoluzione del boxer Alfa negli anni settanta, nonché, ovviamente, la punta di diamante della gamma Alfasud, che nel 1979 arrivò a contare nove modelli tra berlina, Giardinetta e coupè Sprint, come si vede dal listino di quell'anno:

Alfasud N 1200 4m 4 porte
Alfasud Super 1200 4 porte
Alfasud Super 1300 4 porte
Alfasud Super 1500 4 porte
Alfasud TI 1300 2 porte
Alfasud TI 1500 2 porte

Alfasud Giardinetta 1300 3 porte

Alfasud Sprint 1300 3 porte
Alfasud Sprint 1500 3 porte

Come avrete certamente notato, la piccola di casa Alfa ha avuto una vita di costante evoluzione senza nessuna particolare rivoluzione rispetto al primo modello. Il primo vero restyling degno di questo nome arriva solo nel 1980, quando viene lanciata sul mercato la nuova Alfasud con un riuscito aggiornamento estetico. Nonostante i lamierati siano gli stessi, la nuova versione presenta innumerevoli modifiche esterne dovute a sovrastrutture plastiche un po' pesanti ma capaci di rammodernare il disegno della vettura che risale a ben otto anni prima.
Le innovazioni riguardano anche gli interni ancora ridisegnati, ma per avere il tanto agognato portellone posteriore bisognerà attendere l'anno successivo: nel 1981, il debutto delle versioni a tre e cinque porte contribuiranno a dare al modello volumi di vendita dignitosi nonostante l'anzianità del progetto si faccia sentire. L'arrivo della pensione, infatti, non tarderà ancora molto: nel 1983 viene presentata l'erede "Alfa 33", un auto con carrozzeria totalmente nuova ma che riprende comunque le vincenti soluzioni meccaniche della progenitrice.
La berlina esce dai listini nel 1984, ma le versioni Sprint, invece, godranno di ottima salute fino al 1989, perdendo il nome Alfasud e adottando motori fino al potente boxer 1700 con 118 cavalli (versione "Quadrifoglio Verde").

Per quanto riguarda gli alfisti, il dapprima vituperato boxer fece loro versare più di qualche lacrima quando dovette lasciare il posto ai moderni Twin Spark 4 cilindri in linea sulle 145-146, l'ultima e definitiva mazzata ad un epoca che solo chi ha guidato Alfa Anni Settanta può capire e rimpiangere: a volte, quando guido la mia moderna station wagon; rimpiango il profumo di olio bruciato e il canto inimitabile di quei quattro cilindri orizzontali ? e pensare che per qualcuno era la "Meno Alfa delle Alfa"!

Scheda tecnica della prima Alfasud berlina 4 porte:

Motore anteriore longitudinale 4 cilindri orizzontali (boxer)
Trazione anteriore
Cilindrata di 1186 cc
Potenza di 63cv-DIN a 6000 giri/minuto
Freni a disco sulle quattro ruote
Dimensioni: lunghezza 389 cm, larghezza 159 cm
Peso: 830 kg
Velocità massima: 150 km/h
Consumo medio dichiarato di 7,6 litri per 100km
Prezzo: Lire 1.420.000 (1972, versione 1200 4 porte)

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Lo studio di una berlina di classe elevata iniziò, in Alfa, nel 1968, contemporaneamente al progetto che diede i natali all'Alfetta. L'anno successivo, infatti, sarebbe cessata definitivamente la produzione della berlina "2600", a sei cilindri in linea, derivata dalla più piccola "2000", di cui conservava il vetusto corpo vettura, che ormai risaliva al decennio precedente. Ben presto, però, l'impostazione del progetto "118" (come era chiamato internamente), mostrò i limiti relativi al suo posizionamento sul mercato. Questa nuova vettura, con un propulsore quattro cilindri di 2,2 litri, quasi si sovrapponeva alla futura Alfetta, inizialmente motorizzata dal solo "1800".
Per i tecnici Alfa, visto il veto posto dalla dirigenza, si ricominciò quasi da zero. Nel 1971 viene ridefinita la meccanica. Il motore era un nuovo V6 di 2,5 litri, mentre il corpo vettura era lungo 476 cm, largo 168 e alto 139, con un passo di 2,60 metri. Le sospensioni riprendevano lo schema dell'Alfetta, al tempo, prossima al debutto: avantreno a quadrilateri deformabili, con elementi elastici a barra di torsione (in luogo della classiche molle elicoidali), e ponte DeDion al posteriore. A differenza della media, sull'ammiraglia non era previsto lo schema "transaxle", evidentemente giudicato poco adatto al "target" cui la berlina s'indirizzava. La scelta del cambio anteriore permise anche conformare al meglio il divano posteriore che, sull'Alfetta non permetteva un'adeguata sistemazione del quinto passeggero, a causa del profilo del pianale. Il design, quindi, venne impostato a partire da questi canoni.
Nel '74 il progetto giunse a compimento. Tuttavia, gli affinamenti necessari e, soprattutto, la titubanza nel far esordire una vettura del genere, realizzata dalla Casa che, forse più di tutte, soffrì del clima socialmente "pesante" di quegli anni, comportò un ulteriore ritardo nella presentazione.
I prototipi definitivi iniziarono a circolare nel biennio ?77/'78 e l'auto esordì nella primavera del 1979, undici anni dopo l'impostazione del progetto. Il nome: ALFA6.

Purtroppo, la vettura si presentava con un'estetica affine alla gamma Alfa Romeo del decennio che s'apprestava a finire. Sarebbe stata ottima, se solo fosse stata presentata con un lustro di anticipo.
Fatte le dovute proporzioni, il rapporto tra i volumi non differiva molto da quello dell'Alfetta prima serie; l'auto era imponente e dotata di una discreta aggressività.
Il frontale, spiovente e dotato di evidenti paraurti ad assorbimento, era adornato da quattro fari tondi, una grande calandra orizzontale e una coppia di indicatori di direzione laterali avvolgenti, posti verticalmente agli angoli del frontale. Il tutto racchiuso in un sottile profilo cromato. Non fosse stato presente il grande scudetto Alfa Romeo, vedendo di fronte un'Alfa6, la si poteva facilmente scambiare per una Fiat 130 (altra grossa ed infelice berlina degli anni '70).
Nella vista laterale era facile riconoscerla come un'Alfa Romeo, ma era altrettanto difficoltoso identificarla come un Alfa6, tanto era forte la somiglianza con l'Alfetta. Seppur sensibilmente più grande, la linea a cuneo, il frontale relativamente basso rispetto alla coda, la forma del giro porta e il design dei particolari ricordavano molto, troppo, la media sportiva del biscione.
Lo specchio di coda, invece, era caratterizzato da grossi gruppi ottici orizzontali.
Esternamente, quindi, l'Alfa6 suscitò più di qualche perplessità.

Tutt'altra musica la riservava l'interno. Gli occupanti erano immersi in grandi e soffici poltrone. I pannelli porta presentavano un disegno elaborato, in linea con le tendenze del periodo, mentre, il pilota aveva davanti a se una plancia che, nonostante il design anonimo (ricordava sia quella dell'Alfetta 2000 che quella delle Fiat 131 Mirafiori), era realizzata con materiali di qualità e assemblata con cura. Presentava inserti in radica e la porzione inferiore, compreso il tunnel centrale, in tinta chiara rispetto al nero della parte superiore. Di serie, quattro vetri elettrici, chiusura centralizzata, specchio retrovisore regolabile elettricamente. Optional: cambio automatico, climatizzatore, cerchi in lega e interni in pelle. Tra le dotazioni di sicurezza, all'epoca bandiera dell'Alfa Romeo, erano presenti le cinture di sicurezza anteriori e la scocca a deformazione progressiva, da quasi vent'anni patrimonio del costruttore milanese.

Tecnicamente, la vettura era mossa da un nuovo sei cilindri a V di 60° disposto longitudinalmente, cilindrata 2492, alimentato tramite sei carburatori monocorpo Dell'Orto. Le teste cilindri presentavano la disposizione delle valvole inclinate, come nei quattro cilindri bialbero della Casa. Gli alberi a camme, mossi da cinghia dentata, erano posizionati in testa, uno per bancata, e comandavano direttamente le valvole di aspirazione, mentre le valvole di scarico erano aperte attraverso bilancieri. Il propulsore erogava, in questa prima versione, 158 cv ad appena 5600 rpm con un picco di coppia di 22,4 kgm, ottenuto a 4000 rpm. La geometria delle sospensioni, lo sterzo a cremagliera (con servoassistenza di serie) e il differenziale posteriore autobloccante, contribuivano a dare alla grossa Alfa6 le doti tipiche di un'Alfa. La vettura era penalizzata solo in accelerazione, il chilometro era coperto in 30.3", mentre la velocità massima era notevole, prossima ai 200 km/h.

Semmai ci fosse il bisogno di precisarlo, il propulsore dell'Alfa6 è esattamente lo stesso motore che, aggiornato, in versione 2.5, 3.0 e 3.2, spinge ancora le varie 156, GTA e 166. A testimonianza del valido lavoro dell'Ing. Orazio Satta...

La prima serie dell'Alfa6 totalizzo in quattro anni poco più di 6000 esemplari. Di questa versione, furono realizzate a scopo dimostrativo, sette unità in allestimento USA (operazione che non ebbe seguito).

Nel 1983 esordì la seconda serie. Esteticamente, la mano del Centro Stile Bertone ? nella persona di Marcello Gandini ? rinfrescò la linea dell'ammiraglia rendendola, per quanto possibile, adeguata agli anni '80. Ovviamente, le risorse limitate della Casa, non permisero di toccare i lamierati. L'opera degli stilisti interessò, quindi, le sole sovrastrutture in plastica a discapito dell'equilibrio estetico. Dai paraurti scomparvero i rostri, furono montati degli spoiler per migliorarne l'aerodinamica (Cx 0.39), comparvero il retrovisore destro, profili paracolpi in gomma sulle fiancate e, infine un piccolo fregio alla base del montante posteriore. Mascherina cromata, fari rettangolari con tergifari e fendinebbia caratterizzavano il nuovo frontale. Fu ampliata la gamma tramite l'adozione di un motore turbodiesel VM a 5 cilindri e di un altro V6, derivato dal 2.5, con cilindrata ridotta a 1996 cc (anch'esso giunto fino ai giorni nostri, in versione turbo, sulle GTV e sulle ultime 164). Dal canto suo, la 2.5 potè fregiarsi dell'iniezione elettronica, come la medesima unità che, dal '81, equipaggiava le Alfetta GTV6, e venne commercializzata nella sola versione "Quadrifoglio Oro". Quest'allestimento prevedeva una dotazione completissima ed era dotato, tra gli altri gadget, di climatizzatore e sedili a regolazione elettrica.
Gli aggiornamenti, però, servirono a ben poco: la V6 2.0 era penalizzata eccessivamente dalla massa che soffocava gli appena 18 kgm a 4500 rpm, erogati dal propulsore, la cui potenza massima era di 135 cv, mentre la turbodiesel non riuscì ad affermarsi, avendo esordito quando il modello era ormai alla fine. Inoltre, dal 1984/85, l'Alfa 6 aveva patito la sovrapposizione con l'Alfa 90 Quadrifoglio Oro e con l'Alfa 75 Quadrifoglio Verde, sulle quali il motore V6 da due litri e mezzo poteva esprimersi in modo migliore. Della seconda serie, furono realizzati, all'incirca, altri 6000 esemplari, di cui un centinaio dotati di motore 2,5 a carburatori (erano vetture della prima serie aggiornate nell'estetica).

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Non finirò mai di ringrarvi per questo rispolvero di momoria!
Mi ricordo che nel 79 mio padre mia madre io e mia sorella siamo andati in sicilia al mare dalla Brianza con l'alfa sud penso 1.200, ma adesso mi informo meglio !
Lui aveva il bombolone del gas e vedendo le dimensioni dell'auto che se non ho visto male non arrivavano a 4 metri di lunghezza mi domandavo dove avesse caricato le valige :shock:
Una volta era prorpio tutto diverso!!!

Ma poi una domanda, ma era così usuale fare la giardinetta con solo le portiere davanti??????
Oggi sarebbe asurdo, una station 3 porte! :lol:
 
ALFETTA GTV 3.0 V6 ZAGATO

esemplare unico purtroppo mai realizzato nemmeno in serie limitata....l'iva al 38% e la tassazione esagerata per le auto oltre i 2000 cc hanno sempre condizionato le scelte alfa romeo.

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il De Dion dell'Alfetta 158 e 159 campioni del mondo di F1.......fu adottato nelle alfetta e derivate,anche se leggermente differente.

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complimenti civicovich perchè i tuoi post sono stupendi: precisi, c'è passione e completi di numerose informazioni ai più sconosciute, io sono 43enne e anche se piccolo mi ricordo bene tutti questi modelli, mi ricordo ancora che se qualcuno aveva un Alfa tutti si giravano a dire "quello è pieno di soldi" oppure "guà che bella è la nuova Alfa" adesso succede solo con Bmw e Audi, all'epoca quest'ultima praticamente sconosciuta e veramente poco poco sportiva, la Bmw era si sportiva però....l'Alfa aveva un immaginee una guidabilità nettamente superiore ora è l'esatto contrario che peccato davvero, ricordo che il famoso giocatore grande gloria del passato specie del mio amato Cagliari Gigi Riva si aprì una concessionaria Alfa e questo fatto venne visto da molti come qualcosa di grande e prestigioso
 
75turboTP ha scritto:
|Mauro65| ha scritto:
alkiap ha scritto:
|Mauro65| ha scritto:
75turboTP ha scritto:
vecchioAlfista ha scritto:
bellissimo topic
complimenti a tutti ;)
spero veramente che il forum sia definitivamente tornato ad essere il forum alfa....sono giorni che l'Admin non interviene e tutte le discussioni si svolgono nel piu' totale rispetto e razionalita'.....sono felicissimo di non avervi lasciato :p
Io mi auguro che oltre ad essere letto (come lo è), questo 3d venga relazionato ai responsabili della Casa madre.
Cui verrebbe un infarto se leggessero "auto del popolo" come appare nel titolo.
Sinceramente, non può essere editato?
Al di là del fatto che ricorda VW, le Alfa non erano auto del popolo!

l'autore del 3d (75turboTP in questo caso) può sempre editare il titolo di apertura
non posso farlo....non sono io l'autore.....comunque chi ha dato il titolo penso si riferisse al fatto che erano delle supercar che molti potevano comprare a differenza di altre....oppure e' in senso ironico perche' le attuali alfa sono sempre piu' simili alle VW.
credo che si riferisca al fatto che le Alfa siano un mito per tutti insomma un pò come fu lo slogan della 500 "è l'auto di tutti"
 
75turboTP ha scritto:
il De Dion dell'Alfetta 158 e 159 campioni del mondo di F1.......fu adottato nelle alfetta e derivate,anche se leggermente differente.

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Quanto potrà incidere sul prezzo finale di una vettura preparare una meccanica simile,nelle nuove ALFA ROMEO di oggi.
Che meccanica,negli anni 70 l'elettronica muoveva i suoi primi passi.Ricordo i primi orologi al quarzo della TEXAS (con i numeri rossi).
 
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