Alfa, per l' auto italiana Ford era meglio»
Ma se tornasse indietro, Franco Viezzoli rifarebbe la stessa scelta di allora: «L' offerta Fiat era più vantaggiosa»
Tanti anni dopo, anche Franco Viezzoli arriva alla stessa conclusione del presidente della Fiat (e della Confindustria), Luca Cordero di Montezemolo. «Se guardiamo a quello che sta accadendo ora all' industria italiana dell' auto, certamente sarebbe stato preferibile cedere l' Alfa Romeo alla Ford», ammette. Ma la sua è un' affermazione di principio. Se tornasse indietro, e nel ruolo che aveva allora, rifarebbe esattamente tutto quello che ha fatto: «Dovevo curare gli interessi della Finmeccanica. L' offerta della Fiat era migliore da tutti i punti di vista». E questo probabilmente è vero, anche se l' offerta della Ford non si è mai conosciuta nei dettagli. Soprattutto quelli economici. Quello che però allora nessuno disse, era che comprando l' Alfa Romeo, la Fiat raggiungeva l' obiettivo di far finire nelle sue mani praticamente tutta l' industria nazionale dell' auto: cinque anni prima dell' apertura totale delle frontiere europee, e quando ancora non esisteva l' autorità Antitrust. Era il 1986. Ma il problema dell' Alfa Romeo si era posto già dieci anni prima. Qualche tempo dopo la guerra del Kippur del 1973 i vertici dell' Iri, che controllava l' Alfa attraverso la Finmeccanica, si resero conto che la situazione, già difficile, rischiava di diventare drammatica. Anche perché lo sbarco nel segmento delle vetture più piccole con l' Alfa sud di Pomigliano si stava rivelando un mezzo flop. Giuseppe Petrilli decise allora di tastare il polso alla Fiat. Il presidente dell' Iri si incontrò un giorno del 1975, accompagnato dal direttore generale Leopoldo Medugno e dal direttore centrale Franco Viezzoli, con l' avvocato Gianni Agnelli, suo fratello Umberto e il capo del settore auto della Fiat, l' ex ufficiale di marina Nicola Tufarelli. L' incontro partorì l' idea di creare un gruppo di lavoro, che dopo sei mesi arrivò a questa conclusione: Alfa Romeo e Lancia, che era da poco stata rilevata dalla Fiat, avrebbero sviluppato una piattaforma comune, che avrebbe potuto portare in seguito a una integrazione dei marchi. Ma nemmeno la Fiat se la passava troppo bene. E il nuovo amministratore delegato Cesare Romiti, appena arrivato, si trovò a dover fronteggiare una situazione con altre priorità. E l' accordo Alfa-Lancia finì in un cassetto. Nel frattempo Viezzoli era approdato alla Finmeccanica, riaprendo il dossier Alfa Romeo. Tutti i tentativi di rianimare la casa del Biscione erano andati a vuoto, compresa la fallimentare joint venture con la Nissan caldeggiata dal presidente della società, Ettore Massacesi. Una specie di alleanza contro natura da cui nacque una vettura bruttissima, con un nome (Arna) che suonava come un oltraggio al marketing. Il nuovo presidente dell' Iri Romano Prodi, Viezzoli e l' amministratore delegato della Finmeccanica Fabiano Fabiani presero atto che la situazione era insostenibile. L' Alfa aveva archiviato il 1985 con un buco di 245 miliardi di lire, cifra che corrisponderebbe oggi a 250 milioni di euro. La casa automobilistica milanese perdeva un milione di lire per ogni auto venduta. Nell' autunno del 1985 si riaprì una trattativa con la Fiat. Ma l' incontro fra i vertici dei due gruppo, sul lago d' Orta, vicino a Novara, si chiuse con un nulla di fatto. O meglio, registrò la disponibilità della Fiat a rilevare l' Alfa, ma senza accollarsi la pesante situazione debitoria dell' Alfa. Nemmeno i contatti con la Chrysler avevano dato però risultati. Con la Ford, che aveva avuto da sempre interesse per l' Alfa Romeo («Ogni volta che vedo passare un' Alfa Romeo mi tolgo il cappello», è la celebre frase di Henry Ford) le cose presero invece una piega diversa. In qualche mese il gruppo americano arrivò a definire un' offerta, con un percorso simile a quello definito qualche anno fa negli accordi fra la Fiat e la General Motors. Innanzitutto la Ford avrebbe rilevato una quota di minoranza, riservandosi di aumentarla negli anni successivi fino ad acquisire l' intero capitale. Era però prevista una clausola di «put» da esercitare entro un determinato periodo di tempo. Ma soprattutto la Ford non voleva gestire i problemi sociali e non era interessata all' Alfa sud, che sarebbe rimasta fuori dell' accordo. A quel punto i vertici della Fiat, preoccupati per la possibilità di uno sbarco in Italia di un pericoloso concorrente, già presente in Europa con vetture che stavano erodendo pian piano anche in Italia gli spazi tradizionali della casa torinese, decisero di rilanciare. Ed ebbero la meglio. Il prezzo pagato fu di 1.024,6 miliardi, ma per tutto il gruppo, Alfa sud compresa. La cifra sarebbe stata però pagata in cinque rate, a partire dal 1992. Inoltre la Fiat non si accollò tutti i debiti dell' Alfa, una parte dei quali erano stati già coperti a giugno con una ricapitalizzazione di 408 miliardi di lire. Operazione che costò all' Italia una procedura d' infrazione europea in seguito a cui la Finmeccanica dovette poi restituire quella cifra all' Iri.
Ma se tornasse indietro, Franco Viezzoli rifarebbe la stessa scelta di allora: «L' offerta Fiat era più vantaggiosa»
Tanti anni dopo, anche Franco Viezzoli arriva alla stessa conclusione del presidente della Fiat (e della Confindustria), Luca Cordero di Montezemolo. «Se guardiamo a quello che sta accadendo ora all' industria italiana dell' auto, certamente sarebbe stato preferibile cedere l' Alfa Romeo alla Ford», ammette. Ma la sua è un' affermazione di principio. Se tornasse indietro, e nel ruolo che aveva allora, rifarebbe esattamente tutto quello che ha fatto: «Dovevo curare gli interessi della Finmeccanica. L' offerta della Fiat era migliore da tutti i punti di vista». E questo probabilmente è vero, anche se l' offerta della Ford non si è mai conosciuta nei dettagli. Soprattutto quelli economici. Quello che però allora nessuno disse, era che comprando l' Alfa Romeo, la Fiat raggiungeva l' obiettivo di far finire nelle sue mani praticamente tutta l' industria nazionale dell' auto: cinque anni prima dell' apertura totale delle frontiere europee, e quando ancora non esisteva l' autorità Antitrust. Era il 1986. Ma il problema dell' Alfa Romeo si era posto già dieci anni prima. Qualche tempo dopo la guerra del Kippur del 1973 i vertici dell' Iri, che controllava l' Alfa attraverso la Finmeccanica, si resero conto che la situazione, già difficile, rischiava di diventare drammatica. Anche perché lo sbarco nel segmento delle vetture più piccole con l' Alfa sud di Pomigliano si stava rivelando un mezzo flop. Giuseppe Petrilli decise allora di tastare il polso alla Fiat. Il presidente dell' Iri si incontrò un giorno del 1975, accompagnato dal direttore generale Leopoldo Medugno e dal direttore centrale Franco Viezzoli, con l' avvocato Gianni Agnelli, suo fratello Umberto e il capo del settore auto della Fiat, l' ex ufficiale di marina Nicola Tufarelli. L' incontro partorì l' idea di creare un gruppo di lavoro, che dopo sei mesi arrivò a questa conclusione: Alfa Romeo e Lancia, che era da poco stata rilevata dalla Fiat, avrebbero sviluppato una piattaforma comune, che avrebbe potuto portare in seguito a una integrazione dei marchi. Ma nemmeno la Fiat se la passava troppo bene. E il nuovo amministratore delegato Cesare Romiti, appena arrivato, si trovò a dover fronteggiare una situazione con altre priorità. E l' accordo Alfa-Lancia finì in un cassetto. Nel frattempo Viezzoli era approdato alla Finmeccanica, riaprendo il dossier Alfa Romeo. Tutti i tentativi di rianimare la casa del Biscione erano andati a vuoto, compresa la fallimentare joint venture con la Nissan caldeggiata dal presidente della società, Ettore Massacesi. Una specie di alleanza contro natura da cui nacque una vettura bruttissima, con un nome (Arna) che suonava come un oltraggio al marketing. Il nuovo presidente dell' Iri Romano Prodi, Viezzoli e l' amministratore delegato della Finmeccanica Fabiano Fabiani presero atto che la situazione era insostenibile. L' Alfa aveva archiviato il 1985 con un buco di 245 miliardi di lire, cifra che corrisponderebbe oggi a 250 milioni di euro. La casa automobilistica milanese perdeva un milione di lire per ogni auto venduta. Nell' autunno del 1985 si riaprì una trattativa con la Fiat. Ma l' incontro fra i vertici dei due gruppo, sul lago d' Orta, vicino a Novara, si chiuse con un nulla di fatto. O meglio, registrò la disponibilità della Fiat a rilevare l' Alfa, ma senza accollarsi la pesante situazione debitoria dell' Alfa. Nemmeno i contatti con la Chrysler avevano dato però risultati. Con la Ford, che aveva avuto da sempre interesse per l' Alfa Romeo («Ogni volta che vedo passare un' Alfa Romeo mi tolgo il cappello», è la celebre frase di Henry Ford) le cose presero invece una piega diversa. In qualche mese il gruppo americano arrivò a definire un' offerta, con un percorso simile a quello definito qualche anno fa negli accordi fra la Fiat e la General Motors. Innanzitutto la Ford avrebbe rilevato una quota di minoranza, riservandosi di aumentarla negli anni successivi fino ad acquisire l' intero capitale. Era però prevista una clausola di «put» da esercitare entro un determinato periodo di tempo. Ma soprattutto la Ford non voleva gestire i problemi sociali e non era interessata all' Alfa sud, che sarebbe rimasta fuori dell' accordo. A quel punto i vertici della Fiat, preoccupati per la possibilità di uno sbarco in Italia di un pericoloso concorrente, già presente in Europa con vetture che stavano erodendo pian piano anche in Italia gli spazi tradizionali della casa torinese, decisero di rilanciare. Ed ebbero la meglio. Il prezzo pagato fu di 1.024,6 miliardi, ma per tutto il gruppo, Alfa sud compresa. La cifra sarebbe stata però pagata in cinque rate, a partire dal 1992. Inoltre la Fiat non si accollò tutti i debiti dell' Alfa, una parte dei quali erano stati già coperti a giugno con una ricapitalizzazione di 408 miliardi di lire. Operazione che costò all' Italia una procedura d' infrazione europea in seguito a cui la Finmeccanica dovette poi restituire quella cifra all' Iri.