<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=1500520490268011&amp;ev=PageView&amp;noscript=1"> La "Transizione": vantaggi, svantaggi, perplessità, criticità | Page 1569 | Il Forum di Quattroruote

La "Transizione": vantaggi, svantaggi, perplessità, criticità

verranno installati nuovi motori termici su auto che oggi offrono poca scelta?

  • si

    Votes: 6 26,1%
  • si torneranno le sportive o comunque quelle più pepate

    Votes: 2 8,7%
  • no dipende dalle case

    Votes: 3 13,0%
  • no il futuro è elettrico

    Votes: 11 47,8%
  • no i motori costano troppo e saranno sempre gli stessi

    Votes: 8 34,8%

  • Total voters
    23
di Gian Luca Pellegrini

Revocherò il mandato (voluto da Joe Biden, ndr) sulle elettriche e i cittadini americani potranno finalmente comprare l'auto che vogliono». Il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non poteva essere più chiaro, nel proprio discorso d'investitura, sul futuro dell'auto americana. L'intenzione del tycoon è di fare strame di quanto messo in atto dalla precedente amministrazione, come dimostra l'immediata decisione di far uscire gli Usa dagli accordi globali sul clima e ritornare alle fonti fossili come motore dell'economia. Sia chiaro: Trump ha sempre rivendicato un'aperta ostilità al green, quindi non si può dire che tali posizioni siano inaudite. Oggi, però, le sue parole hanno un diverso valore, perché pongono idealmente termine a un lungo periodo in cui il solo avanzare timidi dubbi sulla green economy esponeva al ludibrio e all'emarginazione. Il ritorno di Trump testimonia di come la società americana stia esprimendo un rifiuto collettivo verso una rivoluzione che –essendo di natura essenzialmente speculativa – non sembra aver tenuto conto né delle implicazioni geopolitiche, energetiche e sociali né della domanda di mercato, gettandole basi di un masochistico processo di deindustrializzazione. In attesa di vedere come le decisioni di Trump ridisegneranno il contesto domestico, è legittimo chiedersi come l'eco della restaurazione americana si riverbererà sull'Europa, il cui intento di perseguire un primato nel quadrante della sostenibilità – per quanto legittimo nella sua ambizione politica – appare sempre meno realistico. La traiettoria del full electric deciso per decreto – che del Green Deal è l'applicazione automobilistica – ne è plastica dimostrazione. Il tentativo di forzare la domanda alterando il normale corso dello sviluppo tecnologico va considerato – alla luce delle previsioni e degl'investimenti – fallimentare. Logica vorrebbe che di fronte all'evidenza di un insuccesso così plateale gli obiettivi mutino. Ma quella che stiamo vivendo è una rivoluzione basata su premesse ideologiche: pensare che il principio di realtà ora prevalga è mera illusione. E infatti tocca sentire Olaf Scholz, il premier tedesco, porre come priorità l'istituzione di un fondo pubblico per spingere le declinanti immatricolazioni Bev, ribadendo con una certa faccia di bronzo che «l'elettrico è il futuro». Ora, è comprensibile la volontà del cancelliere di proteggere le Case tedesche dalle multe sulla CO2(la Volkswagen ha messo in bilancio 1,5 miliardi di euro per pagare le sanzioni). Ma non è chi non veda come l'esortazione di Bonn persegua un obiettivo di cortissimo respiro e privo di visione strategica. Anche perché non si capisce bene dove si voglia arrivare. Immaginiamo pure che entrino in vigore nuovi incentivi coordinati da Bruxelles per schiodare la quota Bev dal 15% in cui si è impantanata; e ammettiamo anche che si riesca a spingere la domanda fino al 30%. A che pro? In Europa, Musk verosimilmente userà i soldi dei crediti CO2 per abbassare i listini e spingere fuori mercato la concorrenza che – colmo dei colmi – lo sta finanziando.



In America, Trump – oltre ad alzare ulteriori barriere commerciali (il prossimo passo sarà cancellare l'area di libero scambio con Messico e Canada) –, per favorire proprio il sodale Musk toglierà gli aiuti alle elettriche che negli ultimi due anni hanno consentito a GM e Ford, pur perdendo denaro, d'infastidire la Tesla: anche se la quota Bev scenderà sotto il già omeopatico 8% attuale, la Casa di Austin tornerà in profittevole solitudine. In Cina, peggio che andar di notte: lì le elettriche straniere non le vogliono manco dipinte. I casi sono due: o si pensa di poter ribaltare gli equilibri sul mercato cinese (intento commendevole, ma onestamente utopico) oppure si è deciso di puntare tutto sul ricambio –con le elettriche, appunto – del parco europeo, massimizzando le logiche di marginalità perseguite negli ultimi cinque anni (nel mentre, i costruttori cinesi attaccheranno il mass market con modelli economici che noi abbiamo smesso di costruire). Se è così, fino al 2035 – quando la gente non avrà alternativa alle Bev – si continuerà a usare la leva degl'incentivi, che di fatto impone ai cittadini di finanziare il calmieramento di prezzi che l'industria stessa ha alzato per guadagnare di più? Sarebbe più giusto, visto che il phase out del 2035 è un dogma, togliere multe e incentivi – due facce della stessa medaglia – e cambiare il modo di calcolare le emissioni, per riportare in gara i motori termici puliti anche nel basso di gamma e allargare il bacino dei clienti (i giapponesi stanno già guardando alle potenzialità commerciali delle kei car). Mentre ai piani alti si decide di non decidere, macchine se ne vendono sempre meno (perché la gente non se le può permettere), il circolante cresce di numero e l'anzianità dei veicoli aumenta: nel solo 2024, in Italia, l'età media – già altissima – ha guadagnato un altro anno. Quindi all'ingiustizia sociale insita in una transizione abborracciata si aggiunge pure il paradosso di un ambiente in crescente sofferenza. Sarebbe ora che qualcuno trovasse il coraggio di dire che l'edificio del Fitfor 55 va ricostruito.
 
Ultima modifica:
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Le gigafactory? il rapporto Draghi? senza la volontà attuativa dei governi nazionali non si attua una beata, per quanto la beata sia stata decisa sempre dagli stessi ma sotto l'egida UE.
In tanti si hanno più opportunità e approcci, ma uniti si vince.
Abbiamo tutto ciò che serve, anche se ci raccontano il contrario sopratutto sul web, per rimetterci in carreggiata e andare dove vogliamo e come vogliamo.
Altrimenti saremo alle mercè delle politiche economiche altrui, sia con l'elettrico sia con il termico, sia green sia pink sia brown.
 
da sempre e alla grande

 
di Gian Luca Pellegrini

Revocherò il mandato (voluto da Joe Biden, ndr) sulle elettriche e i cittadini americani potranno finalmente comprare l'auto che vogliono». Il quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non poteva essere più chiaro, nel proprio discorso d'investitura, sul futuro dell'auto americana. L'intenzione del tycoon è di fare strame di quanto messo in atto dalla precedente amministrazione, come dimostra l'immediata decisione di far uscire gli Usa dagli accordi globali sul clima e ritornare alle fonti fossili come motore dell'economia. Sia chiaro: Trump ha sempre rivendicato un'aperta ostilità al green, quindi non si può dire che tali posizioni siano inaudite. Oggi, però, le sue parole hanno un diverso valore, perché pongono idealmente termine a un lungo periodo in cui il solo avanzare timidi dubbi sulla green economy esponeva al ludibrio e all'emarginazione. Il ritorno di Trump testimonia di come la società americana stia esprimendo un rifiuto collettivo verso una rivoluzione che –essendo di natura essenzialmente speculativa – non sembra aver tenuto conto né delle implicazioni geopolitiche, energetiche e sociali né della domanda di mercato, gettandole basi di un masochistico processo di deindustrializzazione. In attesa di vedere come le decisioni di Trump ridisegneranno il contesto domestico, è legittimo chiedersi come l'eco della restaurazione americana si riverbererà sull'Europa, il cui intento di perseguire un primato nel quadrante della sostenibilità – per quanto legittimo nella sua ambizione politica – appare sempre meno realistico. La traiettoria del full electric deciso per decreto – che del Green Deal è l'applicazione automobilistica – ne è plastica dimostrazione. Il tentativo di forzare la domanda alterando il normale corso dello sviluppo tecnologico va considerato – alla luce delle previsioni e degl'investimenti – fallimentare. Logica vorrebbe che di fronte all'evidenza di un insuccesso così plateale gli obiettivi mutino. Ma quella che stiamo vivendo è una rivoluzione basata su premesse ideologiche: pensare che il principio di realtà ora prevalga è mera illusione. E infatti tocca sentire Olaf Scholz, il premier tedesco, porre come priorità l'istituzione di un fondo pubblico per spingere le declinanti immatricolazioni Bev, ribadendo con una certa faccia di bronzo che «l'elettrico è il futuro». Ora, è comprensibile la volontà del cancelliere di proteggere le Case tedesche dalle multe sulla CO2(la Volkswagen ha messo in bilancio 1,5 miliardi di euro per pagare le sanzioni). Ma non è chi non veda come l'esortazione di Bonn persegua un obiettivo di cortissimo respiro e privo di visione strategica. Anche perché non si capisce bene dove si voglia arrivare. Immaginiamo pure che entrino in vigore nuovi incentivi coordinati da Bruxelles per schiodare la quota Bev dal 15% in cui si è impantanata; e ammettiamo anche che si riesca a spingere la domanda fino al 30%. A che pro? In Europa, Musk verosimilmente userà i soldi dei crediti CO2 per abbassare i listini e spingere fuori mercato la concorrenza che – colmo dei colmi – lo sta finanziando.



In America, Trump – oltre ad alzare ulteriori barriere commerciali (il prossimo passo sarà cancellare l'area di libero scambio con Messico e Canada) –, per favorire proprio il sodale Musk toglierà gli aiuti alle elettriche che negli ultimi due anni hanno consentito a GM e Ford, pur perdendo denaro, d'infastidire la Tesla: anche se la quota Bev scenderà sotto il già omeopatico 8% attuale, la Casa di Austin tornerà in profittevole solitudine. In Cina, peggio che andar di notte: lì le elettriche straniere non le vogliono manco dipinte. I casi sono due: o si pensa di poter ribaltare gli equilibri sul mercato cinese (intento commendevole, ma onestamente utopico) oppure si è deciso di puntare tutto sul ricambio –con le elettriche, appunto – del parco europeo, massimizzando le logiche di marginalità perseguite negli ultimi cinque anni (nel mentre, i costruttori cinesi attaccheranno il mass market con modelli economici che noi abbiamo smesso di costruire). Se è così, fino al 2035 – quando la gente non avrà alternativa alle Bev – si continuerà a usare la leva degl'incentivi, che di fatto impone ai cittadini di finanziare il calmieramento di prezzi che l'industria stessa ha alzato per guadagnare di più? Sarebbe più giusto, visto che il phase out del 2035 è un dogma, togliere multe e incentivi – due facce della stessa medaglia – e cambiare il modo di calcolare le emissioni, per riportare in gara i motori termici puliti anche nel basso di gamma e allargare il bacino dei clienti (i giapponesi stanno già guardando alle potenzialità commerciali delle kei car). Mentre ai piani alti si decide di non decidere, macchine se ne vendono sempre meno (perché la gente non se le può permettere), il circolante cresce di numero e l'anzianità dei veicoli aumenta: nel solo 2024, in Italia, l'età media – già altissima – ha guadagnato un altro anno. Quindi all'ingiustizia sociale insita in una transizione abborracciata si aggiunge pure il paradosso di un ambiente in crescente sofferenza. Sarebbe ora che qualcuno trovasse il coraggio di dire che l'edificio del Fitfor 55 va ricostruito.
non capisco come le case abbiano alzato i prezzi per guadagnare di più? a me pare che così stiano abbandonando il mercato (come ad esempio FOrd). i prezzi rincarati (sul termico) dipendono dalle quote UE e sull'elettrico dall'effetto comparato di crediti green, mancate vendite sul termico e soprattuto investimenti in produzione e ricerca per produrre le elettriche.
diciamo la soluzione ideale per tesla (per i cinesi per ora ci sono i dazi vediamo se saranno sufficienti)

infine si può considerare anche che oltre agli obiettivi, possono mutare gli strumenti per perseguirli ... ci sono degli strumenti che non avrebbero effetti distorsivi a favore dei produttori esteri, consentirebbero il calo dei prezzi e la ripresa del settore anche in europa ma, per ragioni idelogiche (?) non vi si fa ricorso....
 

:D:D scusa ma cosa dimostrerebbero questi articoli? che in piena crisi degli altri stati l'italia esporta un pochino di corrente... peccato che ne importa a miliardi di euro
capisco ora molte argomentazioni utopistiche e fantasione che sto girano per sto thread...
mancano proprio le conoscenze fondamentali... che l'italia non abbia fonti energetiche è notorio...
magari se continua così spenderemo qualche decina di miliardo in meno ... ma solo perchè gli altri hanno le pezze peggio di noi....bisogna poi vedere quale sia il consumo perchè se importiamo il gas tunisino che costa il quadruplo di quello russo anche se riusciamo a venderne un pò in germagna cmq avremo un costo dell'energia molto più elevato dei competitor industriali (e noi solo industria facciamo in ue)....
 
Ultima modifica:
A me pare di capire che su base annua l'Italia importa più energia di quanta ne esporta.
E che si tratta di casi eccezionali dovuti in Francia a ritardi nel ripristino delle centrali nucleari e in Germania alle condizioni meteo sfavorevoli che fanno si che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia più scarsa del solito.
Poi immagino che in condizioni normali noi importiamo energia invece di produrla tutta da soli perché altri paesi ne hanno in eccesso e probabilmente conviene fare così o ci sono accordo in tal senso.
In ogni caso non credo che si possa parlare di surplus.
 
A me pare di capire che su base annua l'Italia importa più energia di quanta ne esporta.
E che si tratta di casi eccezionali dovuti in Francia a ritardi nel ripristino delle centrali nucleari e in Germania alle condizioni meteo sfavorevoli che fanno si che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia più scarsa del solito.
Poi immagino che in condizioni normali noi importiamo energia invece di produrla tutta da soli perché altri paesi ne hanno in eccesso e probabilmente conviene fare così o ci sono accordo in tal senso.
In ogni caso non credo che si possa parlare di surplus.
si ma non è questione di opinioni...
scusami se alla parola surplus mi viene da ridere....
forse in francia... non nel resto d'europa....
tantomeno in italia...
 
A me pare di capire che su base annua l'Italia importa più energia di quanta ne esporta.
E che si tratta di casi eccezionali dovuti in Francia a ritardi nel ripristino delle centrali nucleari e in Germania alle condizioni meteo sfavorevoli che fanno si che la produzione di energia da fonti rinnovabili sia più scarsa del solito.
Poi immagino che in condizioni normali noi importiamo energia invece di produrla tutta da soli perché altri paesi ne hanno in eccesso e probabilmente conviene fare così o ci sono accordo in tal senso.
In ogni caso non credo che si possa parlare di surplus.
È così, nello stesso articolo postato c'è scritto chiaramente che il 13% dell'energia elettrica che consumiamo su base annua è importata dall'estero, globalmente siamo un paese IMPORTATORE di energia elettrica, non il contrario (purtroppo), siamo ancora molto lontani dall'autonomia energetica.

Che poi in alcune specifiche giornate il bilancio "di tappa" possa essere positivo (ossia esportiamo più energia elettrica di quella che importiamo) non deve però trarre in inganno o far pensare che sia un trend annuale o costante. ;)

Cmq al di là di cifre e import/export come paese dovremmo spingere sempre di più sul raggiungimento dell'indipendenza energetica non solo per una (comunque logica) questione di costi ma anche per smarcarci da decisioni o indirizzi stabiliti da altri paesi da cui dipendiamo per l'acquisto costante di energia elettrica.
 
Io mi sono sempre chiesto se costa di più acquistare dall'estero le materie prime come il gas e produrre energia con le nostre centrali oppure acquistare l'energia finita.
In teoria la sola materia prima dovrebbe costare meno ma coi prezzi che schizzano alle stelle e il fatto che comunque le centrali hanno dei costi di gestione potrebbe non essere così scontato che l'energia auto prodotta costi meno di quella acquistata ad esempio dalla Francia che produce con nucleare.
In ogni caso dipendiamo da altri paesi.
 
È così, nello stesso articolo postato c'è scritto chiaramente che il 13% dell'energia elettrica che consumiamo su base annua è importata dall'estero, globalmente siamo un paese IMPORTATORE di energia elettrica, non il contrario (purtroppo), siamo ancora molto lontani dall'autonomia energetica.



Cmq al di là di cifre e import/export come paese dovremmo spingere sempre di più sul raggiungimento dell'indipendenza energetica non solo per una (comunque logica) questione di costi ma anche per smarcarci da decisioni o indirizzi stabiliti da altri paesi da cui dipendiamo per l'acquisto costante di energia elettrica.
Ma quando lo diventeremo? E come?
 
Perchè l'utilizzatore non dovrà decidere se gli andrà bene o meno decretandone il fallimento o il successo.
Ma dovrà decidere se : adeguarsi, continuare con il termico fin quando ne avrà la possibilità, altrimenti trovare un mezzo alternativo o, nella più cupa delle ipotesi, andarsene a piedi.
Se la metti sul piano o mangi la minestra o salti la finestra, ovviamente hai ragione. Io però analizzavo la situazione presente (non si sa per quanto e con quale evoluzione) in cui c'è ancora la possibilità di scegliere un piatto di bigoli con l'anatra al posto della minestra di verdure....
 
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