L'esercente ha sia il costo del conto che deve avere per ricevere i pagamenti elettronici sia quello delle commissioni.
Era chiaramente una dimostrazione ad absurdum, nessun lavoratore subordinato si lamenterebbe mai della necessità di avere un conto corrente, né di avere un telefono personale (di fatto, per lavoro ti serve quasi sempre uno smartphone), una connessione wifi e un abbonamento mensile per la rete mobile. Nessuno si lamenta dei costi che deve sostenere per vestirsi (molte professioni richiedono un abbigliamento elegante) e così via.
Qui il discorso si è spostato su un altro piano, che nondimeno merita la giusta considerazione: i costi di un'attività libero-professionale o comunque autonoma. Indubbiamente, per un esercente il costo della transizione è significativo, per la semplice ragione che io, se vado a comprare un paio di scarpe da 100 euro, non ho un costo aggiuntivo se pago con la carta mentre l'esercente sì.
Senza entrare nel merito di questioni troppo complesse, quali la pressione fiscale sull'impresa, che ci porterebbero lontano, mi limito ad osservare che il pagamento elettronico, per come la vedo io, è un costo aziendale che nel 2022 non si può non considerare. Come avere il climatizzatore. O il bagno, obbligo di legge nei locali aperti al pubblico. O banalmente la busta di plastica nella quale ripongo la scatola delle scarpe. Per cui, anziché tornare al passato, la moneta cartecea, è bene che un esercente tenga conto di quei costi e adegui il prezzo del bene in vendita. Per tornare all'esempio delle scarpe, se la transazione costa un euro, è giusto che il prodotto costi 101 euro anziché 100