Cina, dal figlio unico alla riforma delle pensioni
Troppi vecchi, il sistema previdenziale non regge. L'esperimento comincia a Shanghai
Anche in Cina, come in Italia, le autorità puntano ad alzare l'età pensionabile. E la paventata misura solleva, proprio come dalle nostre parti, un coro di proteste.
Tutto il mondo è paese, si dirà. Le differenze stanno nelle dimensioni del problema - che trattandosi di Cina sono notevoli - e nel fatto che questa misura nasce come conseguenza del più grande progetto di pianificazione demografica che sia mai esistito: la politica del figlio unico.
Siamo a Shanghai, la metropoli degli affari che anticipa le tendenze. Dal 9 ottobre, entra in vigore una riforma del sistema pensionistico in base alla quale i lavoratori uomini potranno scegliere di posticipare il pensionamento a 65 anni e le donne a 60. Finora i cinesi andavano in pensione a 60 anni (i maschi) o a 50-55 (le femmine). Il nuovo sistema flessibile non tocca per ora i dipendenti pubblici, che resteranno legati ai vecchi limiti d'età.
Il punto è che i fondi per le pensioni stanno diventando insufficienti. Si stima che il deficit del sistema previdenziale abbia già raggiunto 200 miliardi di dollari (1.300 miliardi di yuan) e sia destinato ad aumentare in futuro.
Dietro al problema finanziario ce ne è uno più ampio: la Cina sta diventando un Paese di vecchi. E' l'effetto della trentennale politica del figlio unico che, in origine, doveva limitare il numero di bocche da sfamare in un Paese sovrappopolato che cercava faticosamente la propria strada verso lo sviluppo. Lanciata nel 1979, ha di fatto permesso la fuoriuscita da un?economia di sussistenza: senza tale misura, si calcola che i cinesi sarebbero oggi circa 300 milioni in più.
Tuttavia, la jìhuà shēngyù (letteralmente, "pianificazione delle nascite") ha gradualmente ridotto quell?enorme esercito industriale di riserva che permetteva alta intensità di lavoro a basso costo, il modello su cui si è costruito il boom del Dragone. La gente migrava dalle campagne in gran numero e lavorava per bassi salari nelle manifatture. Così la Cina è diventata la "fabbrica del mondo", inondando l'Occidente con le sue merci a buon mercato. Per inciso, va detto che tali merci hanno rivalutato anche i nostri salari reali, mantenendo bassi i prezzi al consumo in tutto il pianeta.
L'altro effetto è stato appunto quello del graduale invecchiamento della popolazione.
Nella stessa Shanghai, un anno fa, le autorità avevano lanciato una campagna per incoraggiare le coppie ?idonee? - cioè quelle con un reddito adeguato - a mettere al mondo un secondo figlio. Si erano accorte che già tre milioni di abitanti dei circa diciannove che vivono nella metropoli sullo Huangpu, hanno più di 60 anni: un 21,6 per cento della popolazione che diventerà il 34 entro il 2020. Un vecchio ogni due giovani, onestamente troppo perché il sistema pensionistico regga.
D'altra parte la gente protesta ed anche alcuni esperti esprimono dubbi. Le obiezioni sono le stesse che ascoltiamo in Italia: se i vecchi restano più a lungo occupati, i giovani fanno maggiore fatica a entrare nel mondo del lavoro. Attualmente, dei circa 110 milioni di impiegati nelle città cinesi - escludendo cioè la popolazione rurale - circa tre milioni vanno in pensione ogni anno. Le statistiche dicono che posticipare il loro ritiro renderebbe trenta volte più difficile trovare lavoro a un nuovo arrivato.
Ma c'è anche chi, nel pieno della vita lavorativa, si lamenta perché dovrà pagare i contributi pensionistici per più anni rispetto a quelli previsti.
Sta di fatto che, in un recente sondaggio online commissionato dal ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, il 92 per cento dei partecipanti ha risposto "no" alla domanda: "Sei favorevole al pensionamento posticipato?"
Sull'altro piatto della bilancia c'è il fatto che, secondo gli esperti, i nuovi limiti d'età porterebbero nelle casse pensionistiche cinesi quattro miliardi di yuan in più ogni anno, a cui si aggiungono risparmi (le pensioni non corrisposte) di sedici miliardi rispetto all'attuale regime. Venti miliardi in tutto.
Va detto infine che il governo punta a veicolare risorse verso le province. L'agenzia Nuova Cina ha reso noto che uno schema previdenziale finanziato dal governo, in vigore dall'agosto del 2009, è stato esteso fino a coprire 130 milioni di "residenti rurali". L'integrazione a spese dello Stato è di soli 55 yuan (8 dollari) al mese, ma rivela comunque un intento: quello di livellare le disparità sociali che rischiano di destabilizzare il sistema politico cinese. Si punta a creare "un sistema di sicurezza sociale che tuteli sia i residenti urbani sia quelli rurali entro il 2020", specifica il ministro delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, Yin Weimin. Non di sole pensioni si parla, ma anche del sistema sanitario.
E' qui che, per la Repubblica Popolare, si gioca una bella fetta di futuro.
http://it.peacereporter.net/articolo/24526/Cina%2C+dal+figlio+unico+alla+riforma+delle+pensioni
Troppi vecchi, il sistema previdenziale non regge. L'esperimento comincia a Shanghai
Anche in Cina, come in Italia, le autorità puntano ad alzare l'età pensionabile. E la paventata misura solleva, proprio come dalle nostre parti, un coro di proteste.
Tutto il mondo è paese, si dirà. Le differenze stanno nelle dimensioni del problema - che trattandosi di Cina sono notevoli - e nel fatto che questa misura nasce come conseguenza del più grande progetto di pianificazione demografica che sia mai esistito: la politica del figlio unico.
Siamo a Shanghai, la metropoli degli affari che anticipa le tendenze. Dal 9 ottobre, entra in vigore una riforma del sistema pensionistico in base alla quale i lavoratori uomini potranno scegliere di posticipare il pensionamento a 65 anni e le donne a 60. Finora i cinesi andavano in pensione a 60 anni (i maschi) o a 50-55 (le femmine). Il nuovo sistema flessibile non tocca per ora i dipendenti pubblici, che resteranno legati ai vecchi limiti d'età.
Il punto è che i fondi per le pensioni stanno diventando insufficienti. Si stima che il deficit del sistema previdenziale abbia già raggiunto 200 miliardi di dollari (1.300 miliardi di yuan) e sia destinato ad aumentare in futuro.
Dietro al problema finanziario ce ne è uno più ampio: la Cina sta diventando un Paese di vecchi. E' l'effetto della trentennale politica del figlio unico che, in origine, doveva limitare il numero di bocche da sfamare in un Paese sovrappopolato che cercava faticosamente la propria strada verso lo sviluppo. Lanciata nel 1979, ha di fatto permesso la fuoriuscita da un?economia di sussistenza: senza tale misura, si calcola che i cinesi sarebbero oggi circa 300 milioni in più.
Tuttavia, la jìhuà shēngyù (letteralmente, "pianificazione delle nascite") ha gradualmente ridotto quell?enorme esercito industriale di riserva che permetteva alta intensità di lavoro a basso costo, il modello su cui si è costruito il boom del Dragone. La gente migrava dalle campagne in gran numero e lavorava per bassi salari nelle manifatture. Così la Cina è diventata la "fabbrica del mondo", inondando l'Occidente con le sue merci a buon mercato. Per inciso, va detto che tali merci hanno rivalutato anche i nostri salari reali, mantenendo bassi i prezzi al consumo in tutto il pianeta.
L'altro effetto è stato appunto quello del graduale invecchiamento della popolazione.
Nella stessa Shanghai, un anno fa, le autorità avevano lanciato una campagna per incoraggiare le coppie ?idonee? - cioè quelle con un reddito adeguato - a mettere al mondo un secondo figlio. Si erano accorte che già tre milioni di abitanti dei circa diciannove che vivono nella metropoli sullo Huangpu, hanno più di 60 anni: un 21,6 per cento della popolazione che diventerà il 34 entro il 2020. Un vecchio ogni due giovani, onestamente troppo perché il sistema pensionistico regga.
D'altra parte la gente protesta ed anche alcuni esperti esprimono dubbi. Le obiezioni sono le stesse che ascoltiamo in Italia: se i vecchi restano più a lungo occupati, i giovani fanno maggiore fatica a entrare nel mondo del lavoro. Attualmente, dei circa 110 milioni di impiegati nelle città cinesi - escludendo cioè la popolazione rurale - circa tre milioni vanno in pensione ogni anno. Le statistiche dicono che posticipare il loro ritiro renderebbe trenta volte più difficile trovare lavoro a un nuovo arrivato.
Ma c'è anche chi, nel pieno della vita lavorativa, si lamenta perché dovrà pagare i contributi pensionistici per più anni rispetto a quelli previsti.
Sta di fatto che, in un recente sondaggio online commissionato dal ministero delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, il 92 per cento dei partecipanti ha risposto "no" alla domanda: "Sei favorevole al pensionamento posticipato?"
Sull'altro piatto della bilancia c'è il fatto che, secondo gli esperti, i nuovi limiti d'età porterebbero nelle casse pensionistiche cinesi quattro miliardi di yuan in più ogni anno, a cui si aggiungono risparmi (le pensioni non corrisposte) di sedici miliardi rispetto all'attuale regime. Venti miliardi in tutto.
Va detto infine che il governo punta a veicolare risorse verso le province. L'agenzia Nuova Cina ha reso noto che uno schema previdenziale finanziato dal governo, in vigore dall'agosto del 2009, è stato esteso fino a coprire 130 milioni di "residenti rurali". L'integrazione a spese dello Stato è di soli 55 yuan (8 dollari) al mese, ma rivela comunque un intento: quello di livellare le disparità sociali che rischiano di destabilizzare il sistema politico cinese. Si punta a creare "un sistema di sicurezza sociale che tuteli sia i residenti urbani sia quelli rurali entro il 2020", specifica il ministro delle Risorse Umane e della Sicurezza Sociale, Yin Weimin. Non di sole pensioni si parla, ma anche del sistema sanitario.
E' qui che, per la Repubblica Popolare, si gioca una bella fetta di futuro.
http://it.peacereporter.net/articolo/24526/Cina%2C+dal+figlio+unico+alla+riforma+delle+pensioni