Il fascista di Arcore
di Giovanni Maria Bellu (14.06.2009)
La parola è difficile: schismogenesi. La coniò negli anni Trenta l?antropologo Gregory Bateson per descrivere certi rituali dei cannibali della Nuova Guinea. Nel 2002 è stata introdotta nel linguaggio politico per definire una delle principali tecniche di comunicazione di Silvio Berlusconi. Una tecnica antichissima. Ecco come la sintetizza lo psicologo Alessandro Amadori: «Si lancia, possibilmente in modo informale, una strategia di attacco, si ottiene in questo modo una controreazione spropositata, si nega di aver voluto attaccare».
Il controllo dell?informazione è di grande aiuto alla schismogenesi: consente, a posteriori, di edulcorare l?attacco e di enfatizzare la reazione presentandola sempre come «spropositata». E, in più, intimidisce l?avversario che magari tace nel timore di essere bollato come «antiberlusconiano». Di certo gli fa perdere tempo.
Se qui da noi non ci fosse questo dominio della schismogenesi, non avremmo dovuto fare una premessa tanto lunga per dire che Silvio Berlusconi è un fascista. Più precisamente: se è vero che «ogni tempo ha il suo fascismo» (Primo Levi) Berlusconi è, nel nostro tempo e nel nostro paese, la personalità che più di ogni altra assume comportamenti che richiamano gli stilemi del fascismo. A partire dal disprezzo per la libertà di stampa.
Ogni tempo ha il suo fascismo anche perché, tra un fascismo e l?altro, gli uomini liberi tentano di darsi delle leggi che ne ostacolino il ritorno. E perché, tra un fascismo e l?altro, si consolidano dei valori universali.
Oggi solo un pazzo potrebbe proporre il ripristino della censura in Italia, non solo perché la Costituzione la vieta, ma soprattutto perché sarebbe inaccettabile per l?intero mondo civile. È però possibile, quando si controlla l?informazione e si è a capo di un governo, agire per togliere ai giornali ancora liberi l?ossigeno per vivere. Per esempio la pubblicità che, come il nostro premier sa alla perfezione, in Italia ha già una distribuzione totalmente sbilanciata a favore del sistema televisivo e, cioè, delle sue tasche.
È esattamente quanto ieri (poche ore dopo le parole del presidente Napolitano sulla libertà di stampa come «fondamento della democrazia»)ha fatto Silvio Berlusconi parlando ai giovani industriali. Dopo aver descritto come una specie di golpe la collezione di scheletri che conserva nel suo armadio, ha detto (Ansa, ore 14,22): «Bisognerebbe non avere una sinistra e dei media che cantano ogni giorno la canzone del pessimismo. Anche voi dovreste fare di più: non dovreste dare pubblicità a chi si comporta così».
Qualcuno deve avergli fatto notare che l?aveva sparata troppo grossa, ed ecco (Ansa, ora 15,01) la precisazione: «Mi riferivo non alla stampa, ma al leader dell?opposizione». La pezza non solo è quasi peggiore del buco, ma non lo chiude. Il premier ha lanciato un messaggio chiarissimo: le imprese che daranno pubblicità ai giornali che non gli piacciono, non saranno apprezzate dal governo. In una fase di crisi, l?argomento è efficace. E modernamente fascista.