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dexxter
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l?euro con i suoi infiniti carichi di retorica sta per inabissarsi davanti al porto del Pireo. Da ieri la Grecia ha lanciato l?Sos che tutti temevano annunciando alla comunità finanziaria internazionale che non sarà in grado di rifinanziare sul mercato all?attuale tasso di interesse che viaggia verso il 10 per cento i 9 miliardi di euro di titoli di Stato in scadenza entro il prossimo 19 maggio. Il rischio è di fallimento di quel paese. Di più: di fallimento dell?euro, o almeno di quella moneta unica così come fu concepita soprattutto da Romano Prodi e Jacques Chirac.
Molti accusano la Germania di Angela Merkel di avere impedito fin qui il salvataggio della Grecia solo per un piccolo problema interno: le elezioni cantonali in Nord Reno-Westfalia del prossimo 9 maggio. Certo ai cittadini tedeschi non è graditissima l?ipotesi di dovere aprire per l?ennesima volta il portafoglio: il salvagente greco costerà 103 euro a testa. Ma sarebbe miope attribuire la resistenza della Merkel a concedere quei 30 miliardi di aiuti promessi a un puro calcolo elettorale. Innanzitutto perché il no tedesco non è notizia delle ultime ore. Risale a mesi fa, accompagnato da ragioni almeno meritevoli di attenzione. Il governo tedesco non considera un?ipotesi drammatica l?espulsione della Grecia fuori dall?area dell?euro. Sa bene che a quel punto potrebbero aprirsi altri fronti: il Portogallo è a ruota, rischia la Spagna e si dovrebbe riaprire anche il capitolo allargamento affrontando situazioni difficili ad Est. È vero però che la Grecia ha truccato consapevolmente i propri conti pubblici, truffando gli altri paesi dell?euro. Lo ha fatto una classe politica che oggi è ancora al potere e che non sembra offrire garanzie. Questo è accaduto perché i greci hanno cercato di vivere per anni ben al di sopra delle proprie possibilità, adeguandosi a una velocità e a stili di vita non alla loro portata. Secondo la Merkel non è un aiuto né all?Europa né alla moneta unica chiudere un occhio, lanciare il salvagente e aspettare il prossimo tradimento. E non lo è anche per la scarsa credibilità del governo greco attuale. Che è responsabile della crisi e anche negli ultimi mesi non ha fatto bene i conti (ieri ha rivisto al rialzo- 14%- il deficit/pil del 2009). Vero che ha varato a marzo un piano anti-crisi da 4,8 miliardi di euro, con interventi duri soprattutto sugli stipendi pubblici. Ma quella cifra non basta (nessun intervento strutturale) e il piano non sembra essere gestito al meglio. Da due mesi le piazze greche sono piene di manifestanti anti Ue e anti Fmi, il sistema produttivo è paralizzato, la crisi si aggrava e di fronte a un?opinione pubblica recalcitrante il governo di Atene ha preferito attendere. Gli altri paesi dell?euro si sono riuniti, hanno imposto alla Germania a maggioranza il piano di salvataggio, ma la Grecia non ha voluto chiedere subito quegli aiuti messi sul tavolo. Ha atteso il 23 aprile scorso, e dopo pochi giorni ha lanciato il drammatico Sos mentre stava annegando. Anche nell?emergenza quel paese non ha offerto grandi prove di serietà. La resistenza della Merkel non è quindi strumentale a una questione elettorale interna. Le si può contrapporre, come fanno Italia e Francia, una considerazione realistica: «se non fermiamo la crisi greca, rischiamo tutti- buoni e cattivi- l?effetto avuto da Lehman Brothers lasciata fallire su tutti i mercati finanziari». Vero, ed è l?unica ragione reale a favore di quel salvagente. Ma le considerazioni tedesche pesano. Perché può essere altrettanto vero che tamponando ora Atene, ora Lisbona ora Madrid le conseguenze siano identiche. Quel che sta naufragando non è un paese, ma la stessa moneta unica così come fu concepita all?epoca da Prodi (che forzò l?ingresso di Italia, Spagna e paesi minori), e da Chirac. Fiumi di retorica e troppe velocità diverse unite su una pista dove non tutti potevano stare in gara. All?epoca Helmut Kohl insisteva sulla necessità di una doppia partenza. Prodi - che temeva l?esclusione del suo governo- forzò l?avvio comune e anni dopo aggiunse retorica a retorica forzando da presidente Ue l?allargamento. Quegli errori oggi emergono fra i flutti greci, e rischiano di trascinare a fondo tutti.
di Franco Bechis
Molti accusano la Germania di Angela Merkel di avere impedito fin qui il salvataggio della Grecia solo per un piccolo problema interno: le elezioni cantonali in Nord Reno-Westfalia del prossimo 9 maggio. Certo ai cittadini tedeschi non è graditissima l?ipotesi di dovere aprire per l?ennesima volta il portafoglio: il salvagente greco costerà 103 euro a testa. Ma sarebbe miope attribuire la resistenza della Merkel a concedere quei 30 miliardi di aiuti promessi a un puro calcolo elettorale. Innanzitutto perché il no tedesco non è notizia delle ultime ore. Risale a mesi fa, accompagnato da ragioni almeno meritevoli di attenzione. Il governo tedesco non considera un?ipotesi drammatica l?espulsione della Grecia fuori dall?area dell?euro. Sa bene che a quel punto potrebbero aprirsi altri fronti: il Portogallo è a ruota, rischia la Spagna e si dovrebbe riaprire anche il capitolo allargamento affrontando situazioni difficili ad Est. È vero però che la Grecia ha truccato consapevolmente i propri conti pubblici, truffando gli altri paesi dell?euro. Lo ha fatto una classe politica che oggi è ancora al potere e che non sembra offrire garanzie. Questo è accaduto perché i greci hanno cercato di vivere per anni ben al di sopra delle proprie possibilità, adeguandosi a una velocità e a stili di vita non alla loro portata. Secondo la Merkel non è un aiuto né all?Europa né alla moneta unica chiudere un occhio, lanciare il salvagente e aspettare il prossimo tradimento. E non lo è anche per la scarsa credibilità del governo greco attuale. Che è responsabile della crisi e anche negli ultimi mesi non ha fatto bene i conti (ieri ha rivisto al rialzo- 14%- il deficit/pil del 2009). Vero che ha varato a marzo un piano anti-crisi da 4,8 miliardi di euro, con interventi duri soprattutto sugli stipendi pubblici. Ma quella cifra non basta (nessun intervento strutturale) e il piano non sembra essere gestito al meglio. Da due mesi le piazze greche sono piene di manifestanti anti Ue e anti Fmi, il sistema produttivo è paralizzato, la crisi si aggrava e di fronte a un?opinione pubblica recalcitrante il governo di Atene ha preferito attendere. Gli altri paesi dell?euro si sono riuniti, hanno imposto alla Germania a maggioranza il piano di salvataggio, ma la Grecia non ha voluto chiedere subito quegli aiuti messi sul tavolo. Ha atteso il 23 aprile scorso, e dopo pochi giorni ha lanciato il drammatico Sos mentre stava annegando. Anche nell?emergenza quel paese non ha offerto grandi prove di serietà. La resistenza della Merkel non è quindi strumentale a una questione elettorale interna. Le si può contrapporre, come fanno Italia e Francia, una considerazione realistica: «se non fermiamo la crisi greca, rischiamo tutti- buoni e cattivi- l?effetto avuto da Lehman Brothers lasciata fallire su tutti i mercati finanziari». Vero, ed è l?unica ragione reale a favore di quel salvagente. Ma le considerazioni tedesche pesano. Perché può essere altrettanto vero che tamponando ora Atene, ora Lisbona ora Madrid le conseguenze siano identiche. Quel che sta naufragando non è un paese, ma la stessa moneta unica così come fu concepita all?epoca da Prodi (che forzò l?ingresso di Italia, Spagna e paesi minori), e da Chirac. Fiumi di retorica e troppe velocità diverse unite su una pista dove non tutti potevano stare in gara. All?epoca Helmut Kohl insisteva sulla necessità di una doppia partenza. Prodi - che temeva l?esclusione del suo governo- forzò l?avvio comune e anni dopo aggiunse retorica a retorica forzando da presidente Ue l?allargamento. Quegli errori oggi emergono fra i flutti greci, e rischiano di trascinare a fondo tutti.
di Franco Bechis