http://www.repubblica.it/economia/2010/06/21/news/pomigliano_nuovo_piano-5013118/?ref=HRER1-1
IL RETROSCENA - Pomigliano, ora il Lingotto pensa ad un piano C
Marchionne pensa di chiudere e ripartire con una nuova società. La newco rileverebbe lo stabilimento e riassumerebbe i 5mila operai ma con il contratto aziendale che ricalca la proposta della Fiat
ROMA - Chiudere Pomigliano per rifondare Pomigliano. Perché c'è un "piano C" che sta prendendo corpo nel quartier generale della Fiat. È un'opzione che supererebbe tutte le sacche di resistenza della Fiom e dei Cobas destinate a riapparire comunque, sotto forma di una persistente microconflittualità, al di là delle dimensioni del sì al referendum di domani. Sarebbe lo strappo definitivo di Sergio Marchionne con l'attuale sistema di relazioni industriali.
Nelle sue linee generali il progetto è già stato buttato giù dai tecnici del Lingotto ed è molto semplice: costituire una nuova società, una newco, sempre controllata da Torino, alla quale sarà la Fiat a conferire le attività produttive di Pomigliano, cioè la fabbricazione della Panda. La Nuova Pomigliano, a quel punto, riassumerebbe, uno per uno, gli oltre cinquemila lavoratori con un nuovo contratto, quello scritto con l'ultimo accordo separato, con i turni di notte, di sabato e domenica; con meno pause, più straordinari e assenteismo ricondotto a livelli fisiologici. Ritmi da ciclo continuo. Ma soprattutto la certezza del rispetto delle nuove regole aziendali. Niente più contratto nazionale, niente più iscrizione della Nuova Pomigliano alla Confindustria. Niente più sindacato, forse. Il prato verde per ricominciare. È lo schema già adottato, per altre ragioni, con l'Alitalia: la bad company e la good company. Una cesura con il passato.
La decisione, come sempre, spetterà a Sergio Marchionne. Di certo è stato l'amministratore delegato italo-canadese a voler scommettere sullo stabilimento campano, anche contro il parere di altri manager della prima linea, come - pare - il tedesco, nato in Brasile, Stefan Ketter, responsabile della produzione, e uno dei componenti del Group executive council (Gec), il più importante organismo esecutivo del gruppo Fiat. Marchionne ha scelto di investire 700 milioni di euro nella vecchia fabbrica nata Alfa Romeo e diventata Fiat. Ha deciso lui di spostare dalla Polonia (Tychy) al Giambattista Vico (così ha voluto ribattezzare lo stabilimento) la produzione della Nuova Panda: 280 mila auto l'anno contro le 35 mila di adesso. E di portare in Polonia la Lancia Ypsilon assemblata ora a Termini Imerese (oltre duemila addetti) che però chiuderà alla fine del 2011. Una strategia che teneva conto del rischio di abbandonare la Sicilia e contestualmente Pomigliano. Un rischio politico, pur essendo ormai la Fiat un'azienda globale, ma soprattutto un rischio sociale per i drammatici effetti che determinerebbe nel Sud.
Ma Sergio Marchionne non pensava di ritrovarsi davanti all'opposizione così radicale della Fiom. Quella che nemmeno la Cgil, con le sue aperture sul referendum, è riuscita a stemperare. Lo sfogo di qualche giorno fa del numero uno del Lingotto contro il sindacato esprimeva rabbia e anche amarezza. E ancora alla vigilia del voto in fabbrica Marchionne vuole la firma di tutti sul piano per rilanciare Pomigliano. Insomma, vuole la firma della Fiom. Perché non è affatto detto che gli basti un plebiscito al referendum. Addirittura un sì all'80% potrebbe non essere sufficiente poiché - è evidente - non ci sarà alcuna garanzia che Pomigliano funzioni "come un orologio svizzero" (Marchionne docet). Se la Fiom non sarà della partita (il referendum puntava a farla rientrare) e minaccia pure il ricorso alle vie giudiziarie, l'efficienza dello stabilimento sarà sempre in bilico. Così traballa lo stesso progetto industriale. Uno scenario cupo che ieri le preoccupazioni espresse dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sul pericolo delocalizzazione, hanno confermato. Ecco perché è nato il "piano C", del quale i sindacati sono informalmente a conoscenza. Ecco perché si sta rimaterializzando pure "il piano B", ossia il mantenimento della produzione della Panda a Tychy, oppure il trasferimento della linea in Serbia. Il "piano B" era uno spauracchio, ora è tra le opzioni possibili. Esattamente come il "piano C" per fondare la Nuova Pomigliano.
(p.s.: nessuno mi filava quando evidenziavo che a Kragujevac stanno costruendo pure il nuovo sito Marelli ...)
IL RETROSCENA - Pomigliano, ora il Lingotto pensa ad un piano C
Marchionne pensa di chiudere e ripartire con una nuova società. La newco rileverebbe lo stabilimento e riassumerebbe i 5mila operai ma con il contratto aziendale che ricalca la proposta della Fiat
ROMA - Chiudere Pomigliano per rifondare Pomigliano. Perché c'è un "piano C" che sta prendendo corpo nel quartier generale della Fiat. È un'opzione che supererebbe tutte le sacche di resistenza della Fiom e dei Cobas destinate a riapparire comunque, sotto forma di una persistente microconflittualità, al di là delle dimensioni del sì al referendum di domani. Sarebbe lo strappo definitivo di Sergio Marchionne con l'attuale sistema di relazioni industriali.
Nelle sue linee generali il progetto è già stato buttato giù dai tecnici del Lingotto ed è molto semplice: costituire una nuova società, una newco, sempre controllata da Torino, alla quale sarà la Fiat a conferire le attività produttive di Pomigliano, cioè la fabbricazione della Panda. La Nuova Pomigliano, a quel punto, riassumerebbe, uno per uno, gli oltre cinquemila lavoratori con un nuovo contratto, quello scritto con l'ultimo accordo separato, con i turni di notte, di sabato e domenica; con meno pause, più straordinari e assenteismo ricondotto a livelli fisiologici. Ritmi da ciclo continuo. Ma soprattutto la certezza del rispetto delle nuove regole aziendali. Niente più contratto nazionale, niente più iscrizione della Nuova Pomigliano alla Confindustria. Niente più sindacato, forse. Il prato verde per ricominciare. È lo schema già adottato, per altre ragioni, con l'Alitalia: la bad company e la good company. Una cesura con il passato.
La decisione, come sempre, spetterà a Sergio Marchionne. Di certo è stato l'amministratore delegato italo-canadese a voler scommettere sullo stabilimento campano, anche contro il parere di altri manager della prima linea, come - pare - il tedesco, nato in Brasile, Stefan Ketter, responsabile della produzione, e uno dei componenti del Group executive council (Gec), il più importante organismo esecutivo del gruppo Fiat. Marchionne ha scelto di investire 700 milioni di euro nella vecchia fabbrica nata Alfa Romeo e diventata Fiat. Ha deciso lui di spostare dalla Polonia (Tychy) al Giambattista Vico (così ha voluto ribattezzare lo stabilimento) la produzione della Nuova Panda: 280 mila auto l'anno contro le 35 mila di adesso. E di portare in Polonia la Lancia Ypsilon assemblata ora a Termini Imerese (oltre duemila addetti) che però chiuderà alla fine del 2011. Una strategia che teneva conto del rischio di abbandonare la Sicilia e contestualmente Pomigliano. Un rischio politico, pur essendo ormai la Fiat un'azienda globale, ma soprattutto un rischio sociale per i drammatici effetti che determinerebbe nel Sud.
Ma Sergio Marchionne non pensava di ritrovarsi davanti all'opposizione così radicale della Fiom. Quella che nemmeno la Cgil, con le sue aperture sul referendum, è riuscita a stemperare. Lo sfogo di qualche giorno fa del numero uno del Lingotto contro il sindacato esprimeva rabbia e anche amarezza. E ancora alla vigilia del voto in fabbrica Marchionne vuole la firma di tutti sul piano per rilanciare Pomigliano. Insomma, vuole la firma della Fiom. Perché non è affatto detto che gli basti un plebiscito al referendum. Addirittura un sì all'80% potrebbe non essere sufficiente poiché - è evidente - non ci sarà alcuna garanzia che Pomigliano funzioni "come un orologio svizzero" (Marchionne docet). Se la Fiom non sarà della partita (il referendum puntava a farla rientrare) e minaccia pure il ricorso alle vie giudiziarie, l'efficienza dello stabilimento sarà sempre in bilico. Così traballa lo stesso progetto industriale. Uno scenario cupo che ieri le preoccupazioni espresse dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, sul pericolo delocalizzazione, hanno confermato. Ecco perché è nato il "piano C", del quale i sindacati sono informalmente a conoscenza. Ecco perché si sta rimaterializzando pure "il piano B", ossia il mantenimento della produzione della Panda a Tychy, oppure il trasferimento della linea in Serbia. Il "piano B" era uno spauracchio, ora è tra le opzioni possibili. Esattamente come il "piano C" per fondare la Nuova Pomigliano.
(p.s.: nessuno mi filava quando evidenziavo che a Kragujevac stanno costruendo pure il nuovo sito Marelli ...)