<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=1500520490268011&amp;ev=PageView&amp;noscript=1"> Pietro Ichino - NON RIFIUTIAMO L?INNOVAZIONE BUONA PER PAURA DI QUELLA CATTIVA | Il Forum di Quattroruote

Pietro Ichino - NON RIFIUTIAMO L?INNOVAZIONE BUONA PER PAURA DI QUELLA CATTIVA

Editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 6 dicembre 2010

LA RICHIESTA DI MARCHIONNE - UN CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE CHE SOSTITUISCA QUELLO NAZIONALE - NON PUO? ESSERE LIQUIDATA COME UNA ECCENTRICITA?, NE? TANTO MENO COME UN ATTO DI ARROGANZA: ESSA APRE UNA QUESTIONE DI IMPORTANZA DECISIVA PER L?ALLINEAMENTO DEL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO AL MODELLO PREVALENTE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI E PER LA SUA APERTURA AGLI INVESTIMENTI STRANIERI


Caro Direttore, a Torino Marchionne pone apertamente sul tavolo la richiesta che anche nello stabilimento di Mirafiori, come in quello di Pomigliano, il lavoro sia regolato soltanto da un contratto aziendale e non dal contratto collettivo nazionale. Non solo i sindacalisti, ma anche i funzionari di Confindustria, quando non gli danno dell?arrogante, gli danno almeno dell?eccentrico: perché mai non dovrebbe valere anche per la Fiat lo stesso contratto nazionale che vale per tutte le altre aziende metalmeccaniche che operano in Italia?
Marchionne potrebbe risponderci che, sì, in Italia per questo aspetto è lui l?eccentrico, ma nel mondo gli eccentrici siamo noi. E almeno in questo avrebbe ragione. In tutti gli altri numerosi Paesi in cui la Fiat opera, dagli U.S.A. al Brasile, dalla Polonia alla Serbia, è consentito assoggettare le condizioni di lavoro in azienda al solo contratto aziendale e quindi adattarle punto per punto alle esigenze specifiche del singolo piano industriale. Anche in Germania, Paese nel quale il sistema delle relazioni industriali è sempre stato imperniato sulla contrattazione collettiva nazionale di settore, oggi è consentito e largamente praticato che la singola impresa contratti le condizioni di lavoro in casa propria; e in tal caso è soltanto il contratto aziendale ad applicarsi, non quello nazionale.
Cinque anni prima che si aprissero le vertenze di Pomigliano e di Mirafiori ho scritto un libro per mostrare come nell?ottobre 2000, quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, proprio questo nostro sistema di relazioni industriali imperniato sul principio della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale abbia contribuito in modo decisivo a impedire che che quello stesso stabilimento si candidasse per l?insediamento della produzione della Micra coupé da parte della Nissan (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005). Questo non perché la Nissan intendesse pagare retribuzioni inferiori ai minimi previsti dal nostro contratto nazionale dei metalmeccanici: al contrario, il suo piano industriale prevedeva livelli di produttività che avrebbero consentito retribuzioni molto più alte, come già a Sunderland nel nord-Inghilterra. Il problema era che quel piano prevedeva un?organizzazione del lavoro - la c.d. lean production - incompatibile con il sistema di inquadramento professionale previsto dal nostro contratto nazionale; e un sistema di determinazione delle retribuzioni, basato sulla performance review individuale (pur con l?assistenza del sindacalista di fiducia del lavoratore) anch?esso incompatibile con la struttura della retribuzione stabilita dal nostro contratto nazionale. Così stando le cose, o Cgil Cisl e Uil erano tutte e tre d?accordo per la deroga (e non lo erano), oppure la deroga non si poteva pattuire. E infatti la trattativa non venne neppure aperta.
Il punto è che in Italia oggi quasi tutti considerano la ?deroga? al contratto collettivo nazionale come sinonimo di ?peggioramento delle condizioni di lavoro?, ?rincorsa al ribasso?, ?concorrenza tra poveri?, ?dumping sociale?. Ma le cose non stanno così: la deroga al contratto collettivo nazionale può anche consistere in una modifica della disciplina dei tempi di lavoro che consente all?impresa di sfruttare meglio gli impianti e ai lavoratori di guadagnare di più; oppure in una diversa struttura della retribuzione funzionale a un aumento di produttività di cui saranno i lavoratori per primi a beneficiare; e gli esempi di scostamenti dalla disciplina nazionale potenzialmente vantaggiosi anche per i lavoratori potrebbero moltiplicarsi all?infinito.
Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell?innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona; a meno che il vero scopo sia quello di proteggere dalle più dinamiche imprese straniere le imprese nazionali nel loro sonnacchioso tessuto produttivo (questo potrebbe spiegare la tiepida e perplessa accoglienza delle proposte di Marchionne da parte dell?apparato di Confindustria). Se non è questo che vogliamo, abbiamo tutti bisogno di un sindacato ?intelligenza collettiva dei lavoratori? che sia capace di valutare il piano industriale innovativo e l?affidabilità di chi lo propone; e che, se la valutazione è positiva, sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con l?imprenditore su quel piano, negoziandone le modalità di attuazione a 360 gradi.
Dovremmo per questo mandare il contratto collettivo nazionale in soffitta? Niente affatto: esso ben può ? come in Germania ? conservare la funzione di benchmark e di disciplina applicabile per default, laddove manchi una disciplina collettiva negoziata da una coalizione maggioritaria a un livello più prossimo al luogo di lavoro. E chissà che in questo modo, oltre agli investimenti di Marchionne, non riusciamo ad attirare anche quelli di molte altre multinazionali, che finora la vischiosità del nostro sistema di relazioni industriali ha contribuito a tenere alla larga dall?Italia.

Pietro Ichino, un passato da sindacalista e attuale Giuslavorista vicino al centrosinistra. Non certo un sovversivo della pace dei lavoratori alla marpionne.
 
Pietro Ichino, un passato da sindacalista e attuale Giuslavorista vicino al centrosinistra. Non certo un sovversivo della pace dei lavoratori alla marpionne.[/quote]

anche biagi era un giuslavorista vicino alla sinistra.
ma mi pare che quella specie di legge che porta il suo nome non sia stata un bene per i lavoratori che se la sono trovata sul groppone.
di certo non era quello che voleva lui, la legge aveva altri intenti.
ma i padroni hanno sfruttato le maglie concesse per i loro sporchi affari.
e siccome non gli bastano adesso vogliono demolire anche il contratto nazionale.
ma perchè non cominciano con quello degli statali?
 
E tu credi che, qui in ItaGlia, un contratto aziendale possa regolare in maniera onesta il rapporto datore di lavoro - lavoratore, senza sbilanciamenti (ovviamente a favore del primo dei due soggetti) ? Pie illusioni.

Per quanto riguarda l'illustre giusvalorista, quando afferma:

"Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell?innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona"

mi verrebbe da dire - mi si perdoni la volgarità - che son tutti buoni a fare i fr... con il culo degli altri, in considerazione del fatto che il soggetto in questione, che mi risulta essere un giornalista, dubito abbia passato un solo giorno della propria vita in fabbrica.
 
Nevermore80 ha scritto:
E tu credi che, qui in ItaGlia, un contratto aziendale possa regolare in maniera onesta il rapporto datore di lavoro - lavoratore, senza sbilanciamenti (ovviamente a favore del primo dei due soggetti) ? Pie illusioni.

Per quanto riguarda l'illustre giusvalorista, quando afferma:

"Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell?innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona"

mi verrebbe da dire - mi si perdoni la volgarità - che son tutti buoni a fare i fr... con il culo degli altri, in considerazione del fatto che il soggetto in questione, che mi risulta essere un giornalista, dubito abbia passato un solo giorno della propria vita in fabbrica.

:thumbup: :thumbup: :thumbup:

ed anche quello che ha aperto il topic dubito che abbia mai visto una fabbrica dal suo interno.
 
Luigi_82 ha scritto:
Editoriale pubblicato sul Corriere della Sera il 6 dicembre 2010

LA RICHIESTA DI MARCHIONNE - UN CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE CHE SOSTITUISCA QUELLO NAZIONALE - NON PUO? ESSERE LIQUIDATA COME UNA ECCENTRICITA?, NE? TANTO MENO COME UN ATTO DI ARROGANZA: ESSA APRE UNA QUESTIONE DI IMPORTANZA DECISIVA PER L?ALLINEAMENTO DEL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO AL MODELLO PREVALENTE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI E PER LA SUA APERTURA AGLI INVESTIMENTI STRANIERI


Caro Direttore, a Torino Marchionne pone apertamente sul tavolo la richiesta che anche nello stabilimento di Mirafiori, come in quello di Pomigliano, il lavoro sia regolato soltanto da un contratto aziendale e non dal contratto collettivo nazionale. Non solo i sindacalisti, ma anche i funzionari di Confindustria, quando non gli danno dell?arrogante, gli danno almeno dell?eccentrico: perché mai non dovrebbe valere anche per la Fiat lo stesso contratto nazionale che vale per tutte le altre aziende metalmeccaniche che operano in Italia?
Marchionne potrebbe risponderci che, sì, in Italia per questo aspetto è lui l?eccentrico, ma nel mondo gli eccentrici siamo noi. E almeno in questo avrebbe ragione. In tutti gli altri numerosi Paesi in cui la Fiat opera, dagli U.S.A. al Brasile, dalla Polonia alla Serbia, è consentito assoggettare le condizioni di lavoro in azienda al solo contratto aziendale e quindi adattarle punto per punto alle esigenze specifiche del singolo piano industriale. Anche in Germania, Paese nel quale il sistema delle relazioni industriali è sempre stato imperniato sulla contrattazione collettiva nazionale di settore, oggi è consentito e largamente praticato che la singola impresa contratti le condizioni di lavoro in casa propria; e in tal caso è soltanto il contratto aziendale ad applicarsi, non quello nazionale.
Cinque anni prima che si aprissero le vertenze di Pomigliano e di Mirafiori ho scritto un libro per mostrare come nell?ottobre 2000, quando la Fiat annunciò la chiusura dello stabilimento Alfa Romeo di Arese, proprio questo nostro sistema di relazioni industriali imperniato sul principio della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale abbia contribuito in modo decisivo a impedire che che quello stesso stabilimento si candidasse per l?insediamento della produzione della Micra coupé da parte della Nissan (A che cosa serve il sindacato, Mondadori, 2005). Questo non perché la Nissan intendesse pagare retribuzioni inferiori ai minimi previsti dal nostro contratto nazionale dei metalmeccanici: al contrario, il suo piano industriale prevedeva livelli di produttività che avrebbero consentito retribuzioni molto più alte, come già a Sunderland nel nord-Inghilterra. Il problema era che quel piano prevedeva un?organizzazione del lavoro - la c.d. lean production - incompatibile con il sistema di inquadramento professionale previsto dal nostro contratto nazionale; e un sistema di determinazione delle retribuzioni, basato sulla performance review individuale (pur con l?assistenza del sindacalista di fiducia del lavoratore) anch?esso incompatibile con la struttura della retribuzione stabilita dal nostro contratto nazionale. Così stando le cose, o Cgil Cisl e Uil erano tutte e tre d?accordo per la deroga (e non lo erano), oppure la deroga non si poteva pattuire. E infatti la trattativa non venne neppure aperta.
Il punto è che in Italia oggi quasi tutti considerano la ?deroga? al contratto collettivo nazionale come sinonimo di ?peggioramento delle condizioni di lavoro?, ?rincorsa al ribasso?, ?concorrenza tra poveri?, ?dumping sociale?. Ma le cose non stanno così: la deroga al contratto collettivo nazionale può anche consistere in una modifica della disciplina dei tempi di lavoro che consente all?impresa di sfruttare meglio gli impianti e ai lavoratori di guadagnare di più; oppure in una diversa struttura della retribuzione funzionale a un aumento di produttività di cui saranno i lavoratori per primi a beneficiare; e gli esempi di scostamenti dalla disciplina nazionale potenzialmente vantaggiosi anche per i lavoratori potrebbero moltiplicarsi all?infinito.
Certo, è ben possibile che la deroga al contratto nazionale sia destinata, invece, a rivelarsi dannosa per i lavoratori. Ma non si può, per paura dell?innovazione cattiva, sbarrare le porte anche a quella buona; a meno che il vero scopo sia quello di proteggere dalle più dinamiche imprese straniere le imprese nazionali nel loro sonnacchioso tessuto produttivo (questo potrebbe spiegare la tiepida e perplessa accoglienza delle proposte di Marchionne da parte dell?apparato di Confindustria). Se non è questo che vogliamo, abbiamo tutti bisogno di un sindacato ?intelligenza collettiva dei lavoratori? che sia capace di valutare il piano industriale innovativo e l?affidabilità di chi lo propone; e che, se la valutazione è positiva, sappia guidare i lavoratori nella scommessa comune con l?imprenditore su quel piano, negoziandone le modalità di attuazione a 360 gradi.
Dovremmo per questo mandare il contratto collettivo nazionale in soffitta? Niente affatto: esso ben può ? come in Germania ? conservare la funzione di benchmark e di disciplina applicabile per default, laddove manchi una disciplina collettiva negoziata da una coalizione maggioritaria a un livello più prossimo al luogo di lavoro. E chissà che in questo modo, oltre agli investimenti di Marchionne, non riusciamo ad attirare anche quelli di molte altre multinazionali, che finora la vischiosità del nostro sistema di relazioni industriali ha contribuito a tenere alla larga dall?Italia.

Pietro Ichino, un passato da sindacalista e attuale Giuslavorista vicino al centrosinistra. Non certo un sovversivo della pace dei lavoratori alla marpionne.

Sarebbe interessante conoscere il parere del sig. Iachino riguardo questi argomenti.

1) abrogazione delle norme che prevedono che un parlamentare (come egli è) abbia diritto alla pensione dopo 3,5 anni di lavoro.

2) possibilità di libero licenziamento per dipendenti pubblici (lui è anche docente universitario), dato che si dichiara favorevole a quello dei dipendenti privati.

Predica bene costui, ma razzola assai male, come troppo spesso ormai accade nel campo della pseudo-sinistra italiota.

Stabilito che Iachino é:
- Parlamentare
- Docente universitario
- Giornalista del Corriere della Sera
- Coordinatore della redazione della "Rivista italiana di diritto del lavoro"
- nonchè membro del Comitato di direzione della rivista "Giustizia civile"

la prima domanda è: in quale di questi incarichi si concentra il suo assenteismo, dato che non si possono svolgere 5 lavori contemporaneamente?

La seconda domanda è: sarebbe giusto licenziarlo in quanto parlamentare/docente assenteista?

Sinceramente uno che va contro quelli che dovrebbe rappresentare e che l'hanno votato, mantenendo per se stesso tutti i privilegi possibili, mi fa un poco schifo.

PS: mi sembra logico, visto il curriculum, che i due marpionni s'intendano immediatamente.
 

Guide

  • Dossier Auto Usate

    I programmi ufficiali delle case - Come smacherare i trucchi - Che cosa controllare ...
  • Problemi con l'auto

    Avviamento - Climatizzazione - Freni - Frizione - Interni - Luce - Rumori auto - ...
  • Revisione

    La revisione periodica - Costi e sanzioni
  • Patenti Speciali

    Il centro protesi INAIL - Guida - Acquisto - Traposto - Domande frequenti
Back
Alto