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L'Antitrust e i liberisti alle vongole. (Repubblica - Massimo Giannini)
Gli italiani di oggi sembrano i francesi raccontati da De Gaulle mezzo secolo fa: vorrebbero ciascuno un privilegio, perché questo è il loro modo di amare l'uguaglianza. Quindi ha fatto bene il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, a puntare il dito contro tutti coloro che, per difendere ciascuno il proprio privilegio, stanno soffocando e uccidendo il libero mercato.
Le liberalizzazioni si sono fermate. Non solo. Il Parlamento e la maggioranza di centrodestra, invece di sciogliere i lacci e i lacciuoli che imbrigliano l'economia, ne stanno stringendo altri, sempre più asfissianti. Le modifiche alle lenzuolate di Bersani sono un'offesa alla cultura della concorrenza. Nei contratti di assicurazione si reintroducono norme restrittive, e quindi si obbligano gli utenti a sottostare ai ricatti delle compagnie. Nel settore sanitario si infliggono colpi mortali alle para-farmacie, e quindi alla possibilità di comprare una gran quantità di medicinali a prezzi infinitamente più bassi. Nel rapporto con le grandi aziende di servizio si limita il ricorso alla class action, e quindi si priva la categoria collettiva del consumatore di un fondamentale strumento di tutela. Questo sta accadendo, nell'Italia governata dai "liberisti alle vongole".
Il garante del mercato e della concorrenza inchioda il Parlamento alle sue responsabilità. Ma purtroppo anche quella di Catricalà ha tutta l'aria di una "predica inutile". Nessuno lo ascolterà. E soprattutto, nessuno si preoccuperà delle critiche, a tratti un po' troppo ellittiche e generaliste, di quella che dovrebbe essere una "autorità amministrativa indipendente". Prendiamo il capitolo del conflitto di interessi, cui il garante dedica l'ultima parte della sua relazione. È vero che la legge vigente è un pannicello caldo, costruita con il solo obiettivo di non disturbare il manovratore, cioè il presidente del Consiglio in carica. Ed è altrettanto vero che le norme attuali non consegnano all'Authority "armi" per poter disincentivare o impedire, nella dinamica dei rapporti politico-economici, decisioni che alterino il corretto funzionamento del mercato. Ma è altrettanto vero che in molti casi una "censura" ufficiale, anche se non traducibile in un atto formale, avrebbe una sua forza oggettiva.
Un esempio su tutti: l'invito di Berlusconi agli imprenditori a non dare pubblicità ai giornali che a suo dire "remano contro" il governo. Prendiamo atto che Catricalà non può aprire un'istruttoria, su queste aberrazioni del premier. Ma nessuno può impedirgli di stigmatizzarle pubblicamente, se le ritiene lesive della concorrenza. Almeno questo dovrebbe essere permesso, e forse doveroso. Viene in mente lo Stieg Larsson di "Uomini che odiano le donne": l'innocenza non esiste, esistono solo diversi gradi di responsabilità.
Gli italiani di oggi sembrano i francesi raccontati da De Gaulle mezzo secolo fa: vorrebbero ciascuno un privilegio, perché questo è il loro modo di amare l'uguaglianza. Quindi ha fatto bene il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, a puntare il dito contro tutti coloro che, per difendere ciascuno il proprio privilegio, stanno soffocando e uccidendo il libero mercato.
Le liberalizzazioni si sono fermate. Non solo. Il Parlamento e la maggioranza di centrodestra, invece di sciogliere i lacci e i lacciuoli che imbrigliano l'economia, ne stanno stringendo altri, sempre più asfissianti. Le modifiche alle lenzuolate di Bersani sono un'offesa alla cultura della concorrenza. Nei contratti di assicurazione si reintroducono norme restrittive, e quindi si obbligano gli utenti a sottostare ai ricatti delle compagnie. Nel settore sanitario si infliggono colpi mortali alle para-farmacie, e quindi alla possibilità di comprare una gran quantità di medicinali a prezzi infinitamente più bassi. Nel rapporto con le grandi aziende di servizio si limita il ricorso alla class action, e quindi si priva la categoria collettiva del consumatore di un fondamentale strumento di tutela. Questo sta accadendo, nell'Italia governata dai "liberisti alle vongole".
Il garante del mercato e della concorrenza inchioda il Parlamento alle sue responsabilità. Ma purtroppo anche quella di Catricalà ha tutta l'aria di una "predica inutile". Nessuno lo ascolterà. E soprattutto, nessuno si preoccuperà delle critiche, a tratti un po' troppo ellittiche e generaliste, di quella che dovrebbe essere una "autorità amministrativa indipendente". Prendiamo il capitolo del conflitto di interessi, cui il garante dedica l'ultima parte della sua relazione. È vero che la legge vigente è un pannicello caldo, costruita con il solo obiettivo di non disturbare il manovratore, cioè il presidente del Consiglio in carica. Ed è altrettanto vero che le norme attuali non consegnano all'Authority "armi" per poter disincentivare o impedire, nella dinamica dei rapporti politico-economici, decisioni che alterino il corretto funzionamento del mercato. Ma è altrettanto vero che in molti casi una "censura" ufficiale, anche se non traducibile in un atto formale, avrebbe una sua forza oggettiva.
Un esempio su tutti: l'invito di Berlusconi agli imprenditori a non dare pubblicità ai giornali che a suo dire "remano contro" il governo. Prendiamo atto che Catricalà non può aprire un'istruttoria, su queste aberrazioni del premier. Ma nessuno può impedirgli di stigmatizzarle pubblicamente, se le ritiene lesive della concorrenza. Almeno questo dovrebbe essere permesso, e forse doveroso. Viene in mente lo Stieg Larsson di "Uomini che odiano le donne": l'innocenza non esiste, esistono solo diversi gradi di responsabilità.