di Nicolò Minerbi.
Metà anni 80. L'economia tira di brutto. E rispetto all'inizio del decennio i salari sono aumentati. C'è voglia di godersi la vita e il modo migliore è quello di spendere quei soldi lì. Si vede nelle case, che in un niente passano dal centrino della nonna all'interior design. E nell'abbigliamento: donna in carriera cerca giovane rampante scopo scalata sociale. E, siccome per arrivare in vetta bisogna sgomitare parecchio, le imbottiture nelle spalline li trasformano tutti, maschi e femmine, in giocatori di football americano. Attenzione, questa roba qui non c'entra niente con il lusso. È semplicemente benessere che sapeva di esserlo. Per questo il prêt-à-porter milanese sembra ormai haute couture. E non è un caso che, quando il regista Paul Schrader deve vestire il suo" American Gigolo", voli proprio qui e non a Parigi. Da quel momento gli uomini sognano di essere dei Richard Gere e le donne di uscirci insieme. In quest'illusione olografica che dà il total look, assieme a giacche, cravatte e pantaloni, nell'abbinamento ci finisce anche l'automobile. Del resto, lo dice anche la televisione con uno slogan di Lancetti, ormai si "indossano" pure i profumi. Sembrerà strano, ma nonostante il muro di Berlino sia ancora su e il mezzo più veloce per condividere un messaggio rimanga ancora il fax, il mondo ha gli orologi sincronizzati sulla medesima esigenza: lo stile. In Germania, Bruno Sacco veste la nuova piccola della Mercedes (la 190) con elementi d'alta sartoria, mentre al di là dell'Oceano Atlantico, dove l'eleganza è più che altro un'opinione, ci avevano già provato con la Cadillac Seville Gucci. Un'americanata che confonde il kitsch con lo chic. Siamo nel 1985 e in Italia arriva lei. La Y10, l'Autobianchi Y10. QUESTIONE DI STILE Un'auto che profuma di bella vita. Materiali e finiture da ammiraglia in meno di 3,40 metri di lunghezza. Tender ideale per la berlinona lasciata in garage (meglio se la Thema) o un solitario splendente da sfoggiare in società (leggi, l'unica auto di casa). In realtà, la Y10 è la risposta a un'esigenza. Quella di piacere "alla gente che piace". Come dice lo spot che spopola su Canale 5, tra una puntata di "Dallas" e l'altra. Ma che cosa piace, esattamente? Tutto. Il design futuristico, quel suo essere giovane per una generazione di Peter Pan, gli interni eleganti e ben rifiniti. Educati: Alcantara, tessuti pied de poule prima o regimental poi. Tetto apribile, vetri elettrici (anche quelli dietro a compasso). Il suo pubblico? Stessa risposta di prima: tutti. Come aveva previsto chi l'ha fatta e aveva scelto i volti delle pubblicità: Jas Gawronski, Ruud Gullit, Heather Parisi, Michele Placido, Ottavio Missoni, Stefania Sandrelli (tanto per dirne qualcuno). Siamo tutti generazione Y10. Gente LX e 4WD, per andare dove andavano le Panda 4x4, ma sentendosi sulle Range. E poi la Ego, con gli interni Poltrona Frau che manco a casa, e Fila, Missoni…Turbo? Anche, ma meglio se con la livrea Martini delle Delta che vincevano nei rally. Con la Y10 per ben apparire non bisogna più soffrire. Sono anni in cui basta che scintilli un po' e il gioco è fatto: altro che diamanti, “ditelo col cristallo!” (strilla una pubblicità di uno storico produttore). L'evoluzione della specie dimostra che chi ben comincia... Nata Autobianchi, con quella disegnata da Enrico Fumia diventa Lancia. E per adeguarsi alla nomenclatura aggiorna il nome, perde il numero e si tiene la lettera Ultimo modello del marchio milanese, a un certo punto si ritrova l'unico di quello torinese. Riscoprendosi così primadonna, con tutto un brand intorno. Ecco allora che si susseguono serie e designer, manco fosse una one-off. Le linee non sono più quelle avanguardistiche dell'originale, perché con l'avanzare dell'età l'Autobianchi che fu si sente più Lancia. Per questo la somiglianza con le prozie acquisite aumenta di brutto (come nella terza generazione, quella di Mike Robinson, che strizza l'occhio all'Ardea). Alberto Dilillo, con la quarta serie, affronta addirittura una mutazione genetica. Alla storica tre porte ne spuntano altre due. Che il capo del centro stile risolve alla maniera dell'Alfa 156: ci sono, ma non si vedono. Nel frattempo la Lancia entra in FCA e quindi in Stellantis. E la Y sempre dietro, nonostante Marchionne le avesse già dato l'estrema unzione. Perché a un certo punto questa cosa ha creato un problema: tenere la baracca aperta per un solo, dannato modello. Che però ha un difetto congenito: piace (ancora oggi) alla gente che piace.

Metà anni 80. L'economia tira di brutto. E rispetto all'inizio del decennio i salari sono aumentati. C'è voglia di godersi la vita e il modo migliore è quello di spendere quei soldi lì. Si vede nelle case, che in un niente passano dal centrino della nonna all'interior design. E nell'abbigliamento: donna in carriera cerca giovane rampante scopo scalata sociale. E, siccome per arrivare in vetta bisogna sgomitare parecchio, le imbottiture nelle spalline li trasformano tutti, maschi e femmine, in giocatori di football americano. Attenzione, questa roba qui non c'entra niente con il lusso. È semplicemente benessere che sapeva di esserlo. Per questo il prêt-à-porter milanese sembra ormai haute couture. E non è un caso che, quando il regista Paul Schrader deve vestire il suo" American Gigolo", voli proprio qui e non a Parigi. Da quel momento gli uomini sognano di essere dei Richard Gere e le donne di uscirci insieme. In quest'illusione olografica che dà il total look, assieme a giacche, cravatte e pantaloni, nell'abbinamento ci finisce anche l'automobile. Del resto, lo dice anche la televisione con uno slogan di Lancetti, ormai si "indossano" pure i profumi. Sembrerà strano, ma nonostante il muro di Berlino sia ancora su e il mezzo più veloce per condividere un messaggio rimanga ancora il fax, il mondo ha gli orologi sincronizzati sulla medesima esigenza: lo stile. In Germania, Bruno Sacco veste la nuova piccola della Mercedes (la 190) con elementi d'alta sartoria, mentre al di là dell'Oceano Atlantico, dove l'eleganza è più che altro un'opinione, ci avevano già provato con la Cadillac Seville Gucci. Un'americanata che confonde il kitsch con lo chic. Siamo nel 1985 e in Italia arriva lei. La Y10, l'Autobianchi Y10. QUESTIONE DI STILE Un'auto che profuma di bella vita. Materiali e finiture da ammiraglia in meno di 3,40 metri di lunghezza. Tender ideale per la berlinona lasciata in garage (meglio se la Thema) o un solitario splendente da sfoggiare in società (leggi, l'unica auto di casa). In realtà, la Y10 è la risposta a un'esigenza. Quella di piacere "alla gente che piace". Come dice lo spot che spopola su Canale 5, tra una puntata di "Dallas" e l'altra. Ma che cosa piace, esattamente? Tutto. Il design futuristico, quel suo essere giovane per una generazione di Peter Pan, gli interni eleganti e ben rifiniti. Educati: Alcantara, tessuti pied de poule prima o regimental poi. Tetto apribile, vetri elettrici (anche quelli dietro a compasso). Il suo pubblico? Stessa risposta di prima: tutti. Come aveva previsto chi l'ha fatta e aveva scelto i volti delle pubblicità: Jas Gawronski, Ruud Gullit, Heather Parisi, Michele Placido, Ottavio Missoni, Stefania Sandrelli (tanto per dirne qualcuno). Siamo tutti generazione Y10. Gente LX e 4WD, per andare dove andavano le Panda 4x4, ma sentendosi sulle Range. E poi la Ego, con gli interni Poltrona Frau che manco a casa, e Fila, Missoni…Turbo? Anche, ma meglio se con la livrea Martini delle Delta che vincevano nei rally. Con la Y10 per ben apparire non bisogna più soffrire. Sono anni in cui basta che scintilli un po' e il gioco è fatto: altro che diamanti, “ditelo col cristallo!” (strilla una pubblicità di uno storico produttore). L'evoluzione della specie dimostra che chi ben comincia... Nata Autobianchi, con quella disegnata da Enrico Fumia diventa Lancia. E per adeguarsi alla nomenclatura aggiorna il nome, perde il numero e si tiene la lettera Ultimo modello del marchio milanese, a un certo punto si ritrova l'unico di quello torinese. Riscoprendosi così primadonna, con tutto un brand intorno. Ecco allora che si susseguono serie e designer, manco fosse una one-off. Le linee non sono più quelle avanguardistiche dell'originale, perché con l'avanzare dell'età l'Autobianchi che fu si sente più Lancia. Per questo la somiglianza con le prozie acquisite aumenta di brutto (come nella terza generazione, quella di Mike Robinson, che strizza l'occhio all'Ardea). Alberto Dilillo, con la quarta serie, affronta addirittura una mutazione genetica. Alla storica tre porte ne spuntano altre due. Che il capo del centro stile risolve alla maniera dell'Alfa 156: ci sono, ma non si vedono. Nel frattempo la Lancia entra in FCA e quindi in Stellantis. E la Y sempre dietro, nonostante Marchionne le avesse già dato l'estrema unzione. Perché a un certo punto questa cosa ha creato un problema: tenere la baracca aperta per un solo, dannato modello. Che però ha un difetto congenito: piace (ancora oggi) alla gente che piace.
