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http://www.repubblica.it/sport/calcio/2010/06/11/news/inchiesta_venerdi_calcio_giovanile-4766062/
L'inferno dei baby calciatori
costretti a truccarsi l'età
Adolescenti spacciati per undicenni. Visite mediche farsa. Il viaggio del Venerdì di Repubblica da Napoli in giù, dove migliaia di piccoli atleti finiscono nella rete di società spregiudicate, disposte a tutto per vincere
di LORENZO TONDO
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L'inferno dei baby calciatori costretti a truccarsi l'età
AGRIGENTO - Quando l'arbitro pronuncia i loro nomi, li senti imprecare a bassa voce. Tremano, tutti in fila, imbellettati, con le scarpe grondanti di grasso e le maglie impregnate di ammorbidente e sudore. La cerimonia della distinta, l'abituale recitazione dell'elenco dei giocatori prima della partita, è il momento più drammatico per i calciatori "truccati". Ragazzi con un nome e una data di nascita fasulli. Quattordicenni spacciati per undicenni. Giocatori clandestini, schierati in campo per non perdere. In Sicilia sono un esercito.
Hanno circa quattordici anni e davanti agli ufficiali della Federazione devono dimostrarne undici. Se il direttore di gara si insospettisse, ad alcuni di loro non resterebbe che attaccare le scarpe al chiodo. Ad altri, cercarsi una bella cassa da morto. I dirigenti glielo ripetono di continuo: "Mi raccomando picciuttazzi, sorridere, non stare mai sotto la luce e radersi sempre, quattro o cinque ore prima della partita". Le prime due regole del "truccato" le ricordano ad Ave Maria. La terza invece spesso non hanno mai avuto bisogno di osservarla. In fondo, quando le scuole calcio li trasformarono in "clandestini", molti di loro avevano appena undici anni.
A quell'età, falsificare i loro cartellini è semplice. I dirigenti scelgono gli adolescenti più bassi, quelli che dimostrano qualche annetto in meno. Sul cartellino del giocatore, grazie ad una raffinata tecnica artigianale, cambiano nome e data di nascita. In questo modo la società può schierare ragazzi di 14 anni di età (categoria giovanissimi) in una squadra di 11enni (categoria esordienti). Armati di forbici, timbri, pinzette e stampanti, passano giornate intere chiusi negli uffici della sede fabbricando calciatori illegali. Il più delle volte lo fanno solo per il gusto di vincere. Ma quando c'è di mezzo la mafia, le cose si complicano. A Napoli la Camorra falsifica i cartellini dei giocatori per vincere facile, scommettendo fior di quattrini sulle partite dei campionati giovanili.
Nella Gomorra del pallone, il più forte "clandestino" si chiamava Alfonso Sclafani e, prima che la guerra di "religione" tra Uomo e Zona imperversasse anche nel calcio giovanile, ricopriva il ruolo di libero in una rinomata società agrigentina. Fino a qualche anno fa il suo nome era sulla bocca di tutti: tecnica, tenacia, atletismo e una straordinaria visione di gioco. Nelle difficili partite in trasferta, o nei tornei nazionali, Alfonso Sclafani, classe 82, diventava Giuseppe Sclafani, nato nel 1985.
"Una volta mi portarono a Firenze a giocare con gli esordienti un prestigioso torneo di calcio nazionale- racconta Alfonso- Avevo 14 anni e venivo dalla mia migliore stagione: campione provinciale con i giovanissimi, titolare nella rappresentativa provinciale. Stravincemmo il torneo. Ed è chiaro che in mezzo ai giocatori più piccoli di età facevo la differenza. Un dirigente dell'Empoli mi regalò un gagliardetto promettendomi di venirmi a trovare in Sicilia. Erano "molto, molto interessati" mi disse".
L'Empoli mantenne la sua promessa e dopo meno di un mese mandò dalla Toscana un talent scout per visionare il giocatore ed accaparrarsi il più presto possibile il suo cartellino. "Quando poi il dirigente scoprì che ero dell'82', andò su tutte le furie. Ricordo ancora le urla che venivano fuori dagli uffici della Scuola Calcio. Fece le valigie e se ne ritornò in Toscana. Loro continuarono a schierarmi in altri tornei. Nel campionato giovanissimi ero Alfonso Sclafani, nei tornei esordienti mi trasformavo in Giuseppe Sclafani. Non avevamo scelta. Eravamo dei ragazzini e loro ne approfittavano". Così il suo nome che, forse, "se non fossi nato in Sicilia"-dice- avrebbe potuto essere sulle pagine della Gazzetta, finì nelle liste dell'ufficio collocamento. Alfonso oggi ha 27 e fa l'idraulico. A volte i clienti lo riconoscono, si ricordano dei suoi goal, delle sue imprese, che Alfonso racconta tra una perdita d'acqua da riparare e uno scarico da sostituire. Alfonso ha dato tutto al calcio. Pessime pagelle, una caviglia a pezzi, ginocchia lacerate, e un'intera adolescenza passata a rincorrere una sfera in un rettangolo di terra e polvere. Dal calcio, vigliacco, non ha ricevuto nulla in cambio. E oggi, l'unico pallone che rincorre è quello stampato in rilievo sulle insegne dei Bar dello Sport.
Domenico Lo Sciuto è un nome di fantasia. Quello vero si può ancora trovare negli almanacchi del calcio. Domenico, che in passato ha giocato in serie C, oggi milita in una squadra del campionato di Eccellenza. A svelare il nome della società non ci pensa nemmeno, perché quello che sta per confessarmi potrebbe compromettere il suo futuro e quello di centinaia di calciatori. Domenico guadagna 50.000 euro netti a stagione: "Sono tanti-dice- ma sono tutti in nero. In 15 anni di carriera professionistica sono sempre stato pagato così". Domenico Lo Sciuto per lo Stato italiano è un disoccupato con tre bocche da sfamare. Un cittadino eleggibile per la Social Card che Domenico usa per "comprarci i pannolini ai picciriddi".
E se Lo Sciuto si ritrova a fine mese in tasca un regalo statale di 100 euro, per il suo club i profitti provenienti dall'evasione fiscale sono incalcolabili, perché Domenico nella sua squadra non è l'unico calciatore "disoccupato". E la sua società, al Sud, non è la sola fuorilegge. "A volte ti fanno firmare un contratto di 13.000 euro a stagione, ma poi te ne danno altri 40.000 in nero. Sono accordi verbali e non vengono quasi mai rispettati. I dirigenti registravano in Lega solo il primo anno di contratto. Se il giocatore rendeva, allora registravano anche il secondo. Altrimenti, ti ritrovavi a fine anno senza squadra".
La Lega Calcio siciliana ha sempre covato qualche sospetto e per bocca di Stefano Saitta, presidente del Comitato palermitano della FIGC - Settore Giovanile e Scolastico, ammette: "Qui da noi il mondo del pallone non è un'isola felice. E' piuttosto lo specchio del degrado sociale. E c'è sempre chi prova a fare il furbetto".
"Furbetti", come quelli che falsificano i certificati medici, secondo l'ex presidente regionale del Settore Giovanile Aldo Violato, "uno dei più gravi mali del calcio giovanile siciliano". Il cosiddetto attestato di "Sana e robusta costituzione" è un requisito necessario al fine di ottenere dalla Lega il cartellino del giocatore, sia esso un professionista o un esordiente. Senza quello non si gioca. Ingaggiando un medico "di comodo", la società organizza delle certificazioni di massa. I controlli vengono fatti per telefono. Un problema spinoso per la Federazione, difficile da monitorare, essendo le responsabilità dei test medici esclusiva competenza dei club.
In Sicilia sono 650 le società di calcio giovanili e dilettantistiche, contro le 2.500 della Lombardia. I calciatori siciliani che militano nelle rose della serie A sono solo 12 contro i 70 giocatori lombardi e i 50 veneti (dati riferibili alla stagione 2008/09). Non c'è traccia invece di sicilianità tra gli azzurri campioni del mondo in Germania e nella rosa in partenza per il Sud Africa. In una regione dove il tasso di disoccupazione giovanile è fermo al 43%, solo uno su 10.000 tesserati ce la fa.
Alfonso Sclafani non ce l'ha fatta. "Conservo ancora quel gagliardetto dell'Empoli- racconta- E' sempre lì, appeso sul capezzale del mio letto". Quando la sera torna a casa stremato dal lavoro, prima di andare a dormire gli lancia un'occhiata: : "Chissà!- si ripete- Se solo non fossi nato in Sicilia...".