Iniziamo, e facciamo quindi un lungo passo indietro nel tempo... 1899 precisamente in Germania ove un tal Ferdinand Porsche, capostipite di una dinastia che sarebbe poi diventata assai celebre, allora alle dipendenze della Lohner s'inventò e mise su strada un prototipo ibrido regolarmente funzionante, il Mixte; prototipo che venne poi brevettato nel sistema di propulsione e quindi prodotto in 300 esemplari. Precedentemente erano stati concepiti dei veicoli elettrici come pure dei veicoli a benzina o petrolio, ma il Mixte fu in assoluto la prima auto a unire le due propulsioni, motore a scoppio e motore elettrico. Erano tempi di sperimentazioni, ancora non era ben chiaro se e in quale misura l'automobile sarebbe diventata il mezzo di trasporto di massa che conosciamo, e non era neanche chiaro come si sarebbe dovuto muoverla... In ogni caso Porsche mise la sua firma su un brevettino riguardante un veicolo con motore a ciclo Otto a petrolio che muoveva un generatore; questo a sua volta inviava energia ad un motore elettrico con l'interposizione di un pacco batterie per maggiore affidabilità, in modo da potersi comunque muovere in caso di avaria al motore a scoppio. Ricordiamo che quella era un'epoca in cui i motori venivano costruiti con molti cilindri, non solo per questione di prestazioni ma soprattutto per potersi comunque muovere in caso di avaria ad un pistone, valvola o candela... Porsche depositò un brevetto valido allora solo in Germania, ma comunque sufficiente a fargli avere il palmares del primo veicolo ibrido mai costruito.
In seguito diversi si cimentarono sul tema ibrido sebbene con scarsa fortuna; fino agli anni 20 si videro un discreto numero di prototipi e di realizzazioni, nessuna delle quali però lasciò il segno; le due guerre ebbero una certa responsabilità nell'aver indirizzato la ricerca e la produzione verso il motore a scoppio puro e semplice, e per parecchio di ibrido se ne parlò poco o nulla, comunque con scarsa importanza dal punto di vista tecnico.
Arriviamo quindi sino al finire degli anni 60, alla Power Division dell'americana TRW: l'allora CEO Bob Bromberg, alla guida di un'azienda con forti interessi nel ramo aerospaziale (erano gli anni della corsa allo spazio con ingenti finanziamenti pubblici...), tentando di diversificare le attività di TRW provò a puntare sull'innovazione nel campo automotive... In particolare il CEO era molto interessato a trovare qualcosa di alternativo alla propulsione classica a ciclo Otto o Diesel, in modo da esser pronti sul lungo periodo di fronte all'inasprimento delle normative sulle emissioni e ad eventuali problematiche geopolitiche, che avrebbero potuto rendere meno facile di allora il ricorrere massicciamente al petrolio come base per la mobilità.
Venne quindi formata una squadra di tre ricercatori, Baruch Berman, George Gelb e Neal Richardson, con l'incarico di sondare la possibilità di una trazione esclusivamente elettrica (tema assai caro a Bromberg...); i tre arrivarono ben presto alla conclusione che un motore elettrico ed un generoso pacco batterie non fosse adatto a muovere gli incrociatori da strada statunitensi, troppo limitata la quantità di energia disponibile rispetto a quella immagazzinabile in un serbatoio di benzina.
Lo studio servì comunque a metter nero su bianco quali potessero essere i fabbisogni energetici di un'automobile durante le varie condizioni d'utilizzo, il che diventò prezioso in seguito; scartata l'idea della propulsione elettrica a batterie, il trio della TRW si focalizzò su come migliorare il rendimento del ciclo Otto. Da notare che già alla fine degli anni '60 erano convinti che il petrolio sarebbe un giorno finito e che si doveva trovare qualcosa in modo da economizzare le risorse in attesa di metter in soffitta la propulsione a carburanti fossili... Bene, nell'ottica di ridurre gli sprechi, i tre teorizzarono che il rendimento di un ciclo Otto sarebbe salito non poco se un qualche sistema avesse potuto mantenerlo costantemente nelle migliori condizioni di funzionamento, e per far questo pensarono ad un assembly "termico più elettrico" con un distributore posto fra i due a gestire la coppia inviata alle ruote. Il termico sarebbe rimasto a girare fisso per i cavoli suoi mentre le variazioni di potenza date dalle condizioni del traffico e dalle richieste del conducente sarebbero state gestite dall'elettrico. Questo perchè l'elettrico già allora offriva una flessibilità d'uso notevolmente superiore al ciclo otto, a differenza di quest'ultimo presentava rendimenti sempre elevati a carichi molto diversi fra loro. Così dal foglio bianco nacque l'?Electro-Mechanical Transmission? (EMT).
Com'era pensato questo EMT (diciamo "pensato" perchè a questo stadio del racconto si trattava esclusivamente di uno studio teorico, pur approfondito con simulazioni ai calcolatori di quell'epoca)? L'idea era quella di comandare il motore termico tramite potenziometro (farfalla motorizzata, come sono tutti gli attuali ciclo Otto) associandolo ad un motogeneratore definito torquer (trazione e frenata rigenerativa) con in mezzo un distributore di coppia costituito da un gruppo epicicloidale. La differenza di velocità fra i due dispositivi era ottenuta grazie ad un generatore elettrico (speeder) a coppia costante; le simulazioni mostrarono come il mix ottimale frai vari componenti fosse costituito da un motore termico di circa 1600 centimetri cubici e 100cv, un torquer da 30cv, uno speeder da circa 12-13kw elettrici, il tutto corredato da max 90kg di batterie al piombo. Secondo verifiche eseguite in un secondo tempo, questo complesso avrebbe migliorato di circa il 30% le percorrenze nei cicli EPA allora in vigore.
Su questo lavoro i tre ricercatori scrissero un dettagliato articolo tecnico (G.H. Gelb, N. A. Richardson, T.C. Wang, B. Berman, ?An Electromechanical Transmission for Hybrid Vehicle Powertrains,? SAE paper no. 710235, Jan. 1971), che in seguito venne trasformato nel brevetto US patent nr 3566717; per ottenere quest'ultimo, i tre furono costretti ad approntare un prototipo funzionante a banco: Gelb, Richardson e Berman presero quindi un motore 1.6 da un Maggiolino VW, un generatore sincrono della Westinghouse, un motore elettrico da 27cv della General Electrics ed un gruppo epicicloidale Chrylser, ed assemblarono il tutto. Il prototipo venne testato per un anno su banco dinamometrico costruito per l'occasione e, in seguito, montato sotto al cofano di una Pontiac del '62: gli ispettori dell'agenzia per i brevetti infatti non si accontentarono di osservare il prototipo al banco ma pretesero di vederlo montato su un'auto marciante e, alla fine, il 2 marzo 1971 arrivò la prima versione del fatidico brevetto, poi perfezionato sino all'ultima edizione del 1974. Teniamo a mente quest'ultima data ma soprattutto lo schema tecnico dell'EMT, perchè si tratta di qualcosa che diventerà in seguito molto familiare.
TRW a quel punto provò a proporre l'EMT ai vari costruttori senza però ottenere delle commesse; di base il sistema era sì funzionante ma comunque costoso e, soprattutto, non poteva disporre di una parte elettronica di controllo ed elettrica di potenza affidabile e flessibile. La parte elettrica fu costruita tutta in casa TRW ma non era comunque in grado di gestire in scioltezza i Volt e gli Ampere necessari al funzionamento del motore da 27cv e questo, assieme al fatto che il sistema non migliorava le emissioni a freddo, ne decretò il disinteresse da parte dell'industria automobilistica statunitense. L'EMT cadde nel dimenticatoio, ma qualcosa stava cominciando a muoversi... Oltre a Victor Wouk, che nei primi anni '60 cominciò a lavorare ad un sistema ibrido parallelo poi concretizzato nel 1974 in una Buick con termico rotativo Mazda e parte elettrica a corredo (il Mixte era seriale, mentre l'EMT univa le due proprietà), nei primi anni 90 altri centri ricerca si diedero da fare, fra cui GM che nel 1995 depositò alcuni brevetti su un sistema similare a quello TRW: fatta salva l'idea del motore termico, un motogeneratore, un generatore collegati fra loro e alle ruote con l'interposizione di un giunto epicicloidale, cambiava in buona sostanza l'ordine con cui i vari motori/generatori e ruote venivano interconnessi al solare, al planetario e alla corona del power split epicicloidale.
Continuo nei prossimi giorni.