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Riporto :
INTERVISTA
Howe: "Dirigenti incapaci
Poi mi vietano i reality"
L'azzurro si ribella dopo il no alla "Tribù". Le facce degli altri sono allegre, le nostre tristi. Ma lo sport non è una caserma. Mi deve guidare chi non sa gestire l'atletica?
Howe: "Dirigenti incapaci Poi mi vietano i reality"
Niente video. L'atletica azzurra, dopo la brutta figura ai mondiali, mette i suoi campioni in punizione. Anche quelli infortunati. Niente tv per Andrew Howe, saltatore azzurro, andato male a Pechino e assente a Berlino. Non potrà andare al reality "La Tribù-Missione India", in onda dal 16 settembre su Canale 5. A dire no, all'ultimo momento, con un divieto improvviso è stato il gruppo sportivo militare dell'Aeronautica, ad accordo già firmato. Howe, 24 anni, nato a Los Angeles, cresciuto a Rieti, doveva essere il personaggio principale insieme a Emanuele Filiberto di Savoia. Il contratto gli garantiva tutte le richieste d'atleta: palestra con panca e bilanciere, fisioterapista, medico, 30 minuti di telefonate gratis con il tecnico ogni due giorni, cibo speciale, dieta, carne magra bovina, due volte a settimana.
Howe, è dispiaciuto?
"Sì. Se potessi campare mangiando la sabbia lo farei, ma non posso. Per me era anche un'opportunità economica, visto che mi hanno dimezzato la borsa di studio. Tra l'altro io mi devo operare al tendine e sarei andato in India convalescente, non perdevo grandi giornate di allenamento. In più avrei dato visibilità all'atletica, visto che a Roma l'ultima volta mi hanno preso per un tennista. Si vede che devono trovare un colpevole alla figuraccia fatta dall'Italia a Berlino, nemmeno una medaglia, al contrario del nuoto. Allora come i bambini puntano il dito sugli altri, scaricano la colpa su di me, infortunato da due anni. Non lo trovo il massimo dell'eleganza. Se sono malato, lo devo a loro, che hanno fatto finta di niente, né si sono degnati di farmi un colpo di telefono".
Che fa: accusa?
"Ho fatto esattamente quello che mi hanno detto di fare, ho accettato i loro programmi, ho seguito i loro consigli. Sono rientrato troppo presto e a Mosca mi sono fatto male. Ora mi colpiscono alle spalle, mi attaccano dopo che ci eravamo messi d'accordo, io non ci sto. Si comportano come maestri di un vecchio collegio: zitti e obbedire. Ma lo sport non è mica una caserma. Avete visto le facce degli altri? Di quelli che vincono? Allegre e divertenti, le nostre sempre tristi e penose. Viviamo nel dramma. E' un problema di approccio mentale, da noi manca la serenità, la leggerezza. Tutti sono sempre pronti a scannarti, così l'atleta ha paura, dell'allenatore, della stampa, della società, di ogni ombra. La frase preferita è: il tizio è irriconoscibile. Oggi sei un dio, domani un somaro".
Dicono che si dovrà dare una regolata.
"Ma se la diano loro, federazione e Coni. Io finora sono stato troppo buono. Avessi fatto di testa mia, mi sarei trasferito in America e avrei gareggiato lì. Anzi, già che ci siamo: perché dovrei farmi gestire da loro, visto che non riescono a gestire l'Italia? Dove sono i loro buoni risultati? Fanno teoria, ma la pratica? Io sono supervisionato da quattro persone: da Claudio Mazzuffo per i salti, dal coordinatore Nicola Selvaggi, da Carmelo La Cava per i pesi, e da mia madre René. Mi hanno imposto di non puntare più sulla velocità. Peccato che ai mondiali l'americano Phillips sia tornato a vincere proprio curando lo sprint. Allora sapete cosa vi dico? Io dall'anno prossimo corro 100 e 200 metri, perché ho voglia e passione di far girare le gambe, e vediamo chi mi ferma. Oh, io da junior facevo 20"28".
Si lamentano che il centro federale di Formia sia deserto.
"Un atleta ha il diritto di stare dove vive e si allena meglio. E per me non è Formia. Per carità, nessun problema, se devo andarci in ritiro per una settimana. Adoro Formia, ma non è casa mia, né mai lo diventerà".
In più Bolt vuole provare il lungo.
"Lo ammiro, ma è meglio che non ci provi. E' una specialità troppo traumatica, e con la sua velocità d'entrata che sarà di 12 metri al secondo, rischia di mettere male il piede. Ora pare che Bolt non abbia più confini, sui 400 gli accreditano 41". Magari quel tempo ce l'ha nelle gambe, ma non sarà semplice farlo, sempre che ci provi. Quanto al salto in lungo, li lasci a me i 9 metri. Però applaudo i paesi caraibici, sono stati capaci di valorizzare i loro atleti, di farne davvero degli ambasciatori".
E l'Italia invece?
"Li disprezza i suoi atleti. Li usa quando fanno comodo, poi se ne sbarazza. Non mi risulta che Schwazer, io e tanti altri, siamo mai stati usati per campagne di sensibilizzazione, per fare arrivare più giovani all'atletica, nessuno ci ha mai chiesto di andare nelle scuole o di pubblicizzare il nostro sport. Come li porti i giovani in pista, se non sai nemmeno dove trovarli? Ma per l'atletica italiana il grande peccatore sono io, così niente tv e niente guadagno. Io però non faccio il calciatore, non ho il portafoglio gonfio, non ho contratti da 8 milioni di euro a stagione. La differenza tra me e chi mi accusa è che io la fame l'ho fatta per davvero, so cosa si prova, invece loro no. Io me la ricordo ancora mia madre che metteva duemila lire nella Bibbia, era tutto quello che aveva. E lo stress economico non fa bene a uno sportivo".
Deluso?
"Molto. Dai finti buoni che si rivelano veri cattivi. Da chi mi dice che sono come un figlio per lui. Evitasse, ho madre e padre. Io voglio solo tornare a correre, sorridere, e regalarmi qualche soddisfazione. Del fallimento dell'Italia mi dispiace, ma io non c'entro".
26 agosto 2009
INTERVISTA
Howe: "Dirigenti incapaci
Poi mi vietano i reality"
L'azzurro si ribella dopo il no alla "Tribù". Le facce degli altri sono allegre, le nostre tristi. Ma lo sport non è una caserma. Mi deve guidare chi non sa gestire l'atletica?
Howe: "Dirigenti incapaci Poi mi vietano i reality"
Niente video. L'atletica azzurra, dopo la brutta figura ai mondiali, mette i suoi campioni in punizione. Anche quelli infortunati. Niente tv per Andrew Howe, saltatore azzurro, andato male a Pechino e assente a Berlino. Non potrà andare al reality "La Tribù-Missione India", in onda dal 16 settembre su Canale 5. A dire no, all'ultimo momento, con un divieto improvviso è stato il gruppo sportivo militare dell'Aeronautica, ad accordo già firmato. Howe, 24 anni, nato a Los Angeles, cresciuto a Rieti, doveva essere il personaggio principale insieme a Emanuele Filiberto di Savoia. Il contratto gli garantiva tutte le richieste d'atleta: palestra con panca e bilanciere, fisioterapista, medico, 30 minuti di telefonate gratis con il tecnico ogni due giorni, cibo speciale, dieta, carne magra bovina, due volte a settimana.
Howe, è dispiaciuto?
"Sì. Se potessi campare mangiando la sabbia lo farei, ma non posso. Per me era anche un'opportunità economica, visto che mi hanno dimezzato la borsa di studio. Tra l'altro io mi devo operare al tendine e sarei andato in India convalescente, non perdevo grandi giornate di allenamento. In più avrei dato visibilità all'atletica, visto che a Roma l'ultima volta mi hanno preso per un tennista. Si vede che devono trovare un colpevole alla figuraccia fatta dall'Italia a Berlino, nemmeno una medaglia, al contrario del nuoto. Allora come i bambini puntano il dito sugli altri, scaricano la colpa su di me, infortunato da due anni. Non lo trovo il massimo dell'eleganza. Se sono malato, lo devo a loro, che hanno fatto finta di niente, né si sono degnati di farmi un colpo di telefono".
Che fa: accusa?
"Ho fatto esattamente quello che mi hanno detto di fare, ho accettato i loro programmi, ho seguito i loro consigli. Sono rientrato troppo presto e a Mosca mi sono fatto male. Ora mi colpiscono alle spalle, mi attaccano dopo che ci eravamo messi d'accordo, io non ci sto. Si comportano come maestri di un vecchio collegio: zitti e obbedire. Ma lo sport non è mica una caserma. Avete visto le facce degli altri? Di quelli che vincono? Allegre e divertenti, le nostre sempre tristi e penose. Viviamo nel dramma. E' un problema di approccio mentale, da noi manca la serenità, la leggerezza. Tutti sono sempre pronti a scannarti, così l'atleta ha paura, dell'allenatore, della stampa, della società, di ogni ombra. La frase preferita è: il tizio è irriconoscibile. Oggi sei un dio, domani un somaro".
Dicono che si dovrà dare una regolata.
"Ma se la diano loro, federazione e Coni. Io finora sono stato troppo buono. Avessi fatto di testa mia, mi sarei trasferito in America e avrei gareggiato lì. Anzi, già che ci siamo: perché dovrei farmi gestire da loro, visto che non riescono a gestire l'Italia? Dove sono i loro buoni risultati? Fanno teoria, ma la pratica? Io sono supervisionato da quattro persone: da Claudio Mazzuffo per i salti, dal coordinatore Nicola Selvaggi, da Carmelo La Cava per i pesi, e da mia madre René. Mi hanno imposto di non puntare più sulla velocità. Peccato che ai mondiali l'americano Phillips sia tornato a vincere proprio curando lo sprint. Allora sapete cosa vi dico? Io dall'anno prossimo corro 100 e 200 metri, perché ho voglia e passione di far girare le gambe, e vediamo chi mi ferma. Oh, io da junior facevo 20"28".
Si lamentano che il centro federale di Formia sia deserto.
"Un atleta ha il diritto di stare dove vive e si allena meglio. E per me non è Formia. Per carità, nessun problema, se devo andarci in ritiro per una settimana. Adoro Formia, ma non è casa mia, né mai lo diventerà".
In più Bolt vuole provare il lungo.
"Lo ammiro, ma è meglio che non ci provi. E' una specialità troppo traumatica, e con la sua velocità d'entrata che sarà di 12 metri al secondo, rischia di mettere male il piede. Ora pare che Bolt non abbia più confini, sui 400 gli accreditano 41". Magari quel tempo ce l'ha nelle gambe, ma non sarà semplice farlo, sempre che ci provi. Quanto al salto in lungo, li lasci a me i 9 metri. Però applaudo i paesi caraibici, sono stati capaci di valorizzare i loro atleti, di farne davvero degli ambasciatori".
E l'Italia invece?
"Li disprezza i suoi atleti. Li usa quando fanno comodo, poi se ne sbarazza. Non mi risulta che Schwazer, io e tanti altri, siamo mai stati usati per campagne di sensibilizzazione, per fare arrivare più giovani all'atletica, nessuno ci ha mai chiesto di andare nelle scuole o di pubblicizzare il nostro sport. Come li porti i giovani in pista, se non sai nemmeno dove trovarli? Ma per l'atletica italiana il grande peccatore sono io, così niente tv e niente guadagno. Io però non faccio il calciatore, non ho il portafoglio gonfio, non ho contratti da 8 milioni di euro a stagione. La differenza tra me e chi mi accusa è che io la fame l'ho fatta per davvero, so cosa si prova, invece loro no. Io me la ricordo ancora mia madre che metteva duemila lire nella Bibbia, era tutto quello che aveva. E lo stress economico non fa bene a uno sportivo".
Deluso?
"Molto. Dai finti buoni che si rivelano veri cattivi. Da chi mi dice che sono come un figlio per lui. Evitasse, ho madre e padre. Io voglio solo tornare a correre, sorridere, e regalarmi qualche soddisfazione. Del fallimento dell'Italia mi dispiace, ma io non c'entro".
26 agosto 2009