Uno dei più grandi strateghi della storia moderna di suicidava per volonta d'altri in contrapposizione al delirio d'un pazzo quale Hitler.
La "notte dei lunghi coltelli" fu l'episodiocentrale di quanto accadde nei mesi successivi.
ONORI AL COMANDANTE ROMMEL E ALLA SANA SCUOLA MILITARE PRUSSIANA!
La personalità di Rommel
Rommel non apparteneva all'aristocrazia militare prussiana. Era un ufficiale che proveniva dalla gavetta, e anche per questo godeva della simpatia di Hitler. In condizioni normali avrebbe potuto aspirare al massimo al grado di Colonnello. Ma la partecipazione alle due guerre mondiali dove diede sfoggio delle sue indubbie doti di comando, unita alla militanza nei Freikorps (da cui sarebbe scaturito il partito Nazista), a cavallo tra le due guerre, lo lanciarono in una carriera che lo portò a poco più di cinquant'anni ad ottenere il grado di Feldmaresciallo (il più alto dell'esercito tedesco a quel tempo).
La sua estrazione "popolare" piaceva molto a Goebbels, verso il quale Rommel fu sempre molto disponibile, che ne volle sfruttare l'"immagine vincente" per la sua propaganda. I suoi colleghi generali, provenienti dalle accademie prussiane, non nascondevano l'antipatia, se non il disprezzo, che nutrivano nei suoi confronti.
D'altra parte Rommel non fece mai molto per rendersi simpatico agli occhi degli altri ufficiali superiori. Testardo nelle sue convinzioni, spesso sgarbato, a volte ben oltre i limiti dell'insulto, nei confronti degli altri generali, soprattutto italiani, ma anche della stessa Wehrmacht, era invece adorato dai suoi uomini.
Motivo dell'ammirazione che suscitava tra la truppa era sicuramente il fatto che Rommel, contrariamente agli altri generali, non si limitava a seguire i combattimenti da distanza di sicurezza, ma era sempre presente in prima linea. A bordo del suo panzer, o del "Mammuth" (un centro comando mobile ricavato da un camion blindato inglese catturato in Africa), o in volo sulle linee a bordo di uno Storch da ricognizione, Rommel si muoveva lungo tutta la prima linea impartendo ordini e guidando i suoi uomini in battaglia.
Le sue decisioni in battaglia, spesso improvvise e talvolta ai limiti dell'insubordinazione (avanzare quando gli veniva ordinato di fermarsi), oltre a far infuriare i superiori, resero spesso inutile il lavoro svolto da Ultra (il complesso apparato utilizzato dagli inglesi per la cifra dei messaggi che i tedeschi si trasmettevano con Enigma) per scoprire i piani dei tedeschi.
Vale la pena di citare alcuni episodi della "Campagna d'Africa" che possono aiutare a comprendere il carattere di Rommel. Quando la strada verso Il Cairo e il Canale di Suez sembrava ormai spianata, Mussolini volò in Libia per godersi un trionfo che non arrivò; durante la sua permanenza chiese più volte di incontrare Rommel, ma questi si rifiutò sempre, adducendo come scusa il fatto che fosse "troppo impegnato in prima linea". Rommel trovò però il tempo per recarsi in visita al capezzale di un maggiore italiano (Leopoldo Pardi), che, al comando di un reparto di artiglieria, si era distinto nella difesa del Passo di Halfaya, conquistandosi la stima della "volpe del deserto".
Dopo la battaglia di El Alamein il generale Barbasetti incontrò Rommel alla ridotta Capuzzo e commentò: "È stato molto doloroso il sacrificio del X Corpo d'Armata abbandonato nel deserto" al che Rommel rispose: "È questo forse un rimprovero? Dal Fuhrer non è giunta alcuna parola di disapprovazione". Barbasetti: "Ho risalito l'interminabile colonna dei reparti in ritirata, i camionisti tedeschi si rifiutavano di far salire gli italiani". A queste parole Rommel tacque.
Dopo la presa di Tobruk, il generale sudafricano bianco Klopper, parlando anche a nome dei suoi ufficiali, chiese a Rommel di essere detenuto in un'area separata da quella delle truppe di colore. La risposta di Rommel fu secca: "Per me i soldati sono tutti uguali. I neri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto."
Nutriva grande sicurezza nell'uso del sistema di decriptazione Enigma. Questa fiducia mal riposta permise alla Gran Bretagna, durante la seconda guerra mondiale, di avere l'assoluta supremazia navale in tutto il Mediterraneo. Infatti, il sistema di decodificazione tedesco era stato decifrato dal matematico inglese Alan Turing. Il fatto che gli inglesi fossero in possesso di importanti informazioni fece sorgere sospetti di inaffidabilità nei confronti dei servizi segreti italiani. Rommel fu convinto di questo fino alla morte e solo recentemente suo figlio Manfred ha dichiarato, in un documentario di History Channel, che suo padre e dunque sia la Germania che l'Inghilterra, dovrebbero chiedere scusa agli italiani per gli infondati sospetti.
Va ricordato infine che Rommel si guadagnò, pur da nemico, un alto grado di rispetto anche da parte di eminenti personalità tra gli Alleati, come il suo rivale Bernard Law Montgomery, George Patton e perfino Winston Churchill. Alla "Volpe del deserto" erano infatti riconosciute lealtà e cavalleria nei confronti degli avversari e della popolazione civile: i suoi Afrika Korps, caso unico nei corpi militari tedeschi della WWII[senza fonte], non furono mai accusati di crimini di guerra, e Rommel non obbedì agli ordini di fucilare i commando nemici catturati o i prigionieri di origine ebraica. Lo stesso Rommel, riferendosi agli scontri in Africa, parlò di Krieg ohne Hass, guerra senza odio.
Il 23 novembre del 1941 a bordo del suo Mammut visitò un ospedale da campo nel quale si affollavano alla rinfusa feriti tedeschi ed inglesi. L'ufficiale che l'accompagnava all'interno dell'ospedale era inglese (e probabilmente l'aveva scambiato per un ufficiale polacco), i feriti tedeschi si comportavano in modo strano, posò quindi lo sguardo sui militari di guardia dell'ospedale: resosi conto che l'ospedale era ancora in mano agli inglesi mormorò ai suoi uomini: «penso che faremmo meglio ad andarcene». Fece così in tempo a saltare sul suo Mammut, dal quale si compiacque di rispondere al saluto militare di un soldato britannico.
SOLDATI Da Caporetto al suicidio nell' ottobre del ' 44: esce una nuova biografia sulla " Volpe del deserto "
Da Caporetto al suicidio nell' ottobre del ' 44: esce una nuova biografia sulla "Volpe del deserto" TITOLO: Rommel, l' ultima infamia del Fuhrer La gloria conquistata sui campi di battaglia non e' in discussione. Eppure un enigma resta insoluto: la natura del suo legame con il nazismo e il suo capo - Cinquantatre' anni di vita: e gli bastarono per diventare forse il piu' grande condottiero del nostro secolo. A cinquantatre' anni, quando Hitler gli ordino' di uccidersi, Erwin Rommel si era coperto di gloria dovunque il suo destino di soldato lo avesse visto combattere. Fu lui il vero vincitore di Caporetto, se quello sfondamento del fronte italiano nel 1918 si puo' identificare in un nome. Fu lui a rompere le nostre linee, a tagliare fuori le nostre difese, a conquistare le posizioni chiave del Kolovrat e del Matajur, a prendere Longarone e a varcare il Piave. Da solo, con una compagnia di alpini del Wurttemberg, con il modesto grado di tenente. Per ricompensa, l' ordine Pour le me' rite, massima decorazione militare tedesca, la nostra medaglia d' oro. Fu lui ad aprire la strada nell' estate del 1940 alle divisioni corazzate del Reich in Francia: il generale che varco' la Mosa, traverso' le Ardenne, supero' la Maginot, prese Rouen, Fe' camp e Cherbourg. Fu lui a bloccare in Africa settentrionale gli inglesi che avevano travolto Graziani ed erano entrati a Bengasi: li ricaccio' fino oltre il confine dell' Egitto, conquisto' la fortezza di Tobruch e sarebbe arrivato al Cairo se gli avessero fornito soldati, carburante, carri armati e protezione aerea. Fu ancora lui a organizzare la difesa contro lo sbarco alleato in Normandia, il solo a intuire dove avrebbero attaccato gli inglesi e gli americani, disperato per non venire creduto e furibondo per non essere messo in condizione di reagire. E purtroppo per Badoglio e per gli autori dell' armistizio dell' 8 settembre, fu sempre lui a liquidare in undici giorni, dall' 8 al 19 di quel mese fatale, l' esercito italiano: 13.000 ufficiali e 402.600 soldati catturati. Nessuna novita' sulla fama di Rommel come grandissimo tattico, comandante da prima linea, sulla sua prodigiosa attitudine alla guerra. Molte, invece, su di lui, sulla sua morale e soprattutto sulla sua figura di generale di Hitler, le novita' contenute nel libro di David Fraser, Rommel, l' ambiguita' di un soldato (Mondadori, pagine 576, lire 36.000). Perche' sono appunto le ambiguita' del personaggio Rommel a consentire oggi di riaprire il dibattito su di lui, al di la' della gloria conquistata sui campi di battaglia. Ambiguo, infatti, il suo rapporto col nazismo e col Fuhrer; ambigua la sua posizione nei confronti dell' Olocausto; ambigua la sua condotta nel tentativo della Resistenza tedesca di eliminare il dittatore il 20 luglio 1944 per mettere fine alla guerra. Fraser, che e' stato un eminente generale inglese e in quanto tale in grado di parlare con particolare competenza di Rommel condottiero, ha lavorato anni non tanto per descrivere le vittorie (e le sconfitte), quanto per rispondere agli interrogativi posti dalle ambiguita' del suo eroe, riuscendovi . se non del tutto . almeno in buona misura. I risultati? Che per anni, dal momento della sua ascesa al potere fino al disastro di El Alamein, Hitler sia stato per Rommel una specie di divinita' , una fede e un mito, resta un fatto indiscutibile. Rommel era sotto le armi al tempo della Repubblica di Weimar e vide con favore, come la maggioranza dei tedeschi, l' ascesa dell' astro nazista. Per lui significava ordine, disciplina, un grande futuro per l' esercito e la Germania. Divenne il comandante della guardia del corpo di Hitler, al suo fianco all' ingresso a Praga e a Varsavia dopo le due aggressioni che avevano scatenato la seconda guerra mondiale, intimo del suo entourage, il preferito fra tutti i generali della Werhmacht. Le violenze delle SS durante l' ascesa dei nazisti al potere? La notte dei lunghi coltelli con l' assassinio di Rohm e dell' intero stato maggiore delle SA (e degli oppositori all' interno del partito)? La notte dei cristalli con la selvaggia distruzione dei beni degli ebrei? Episodi marginali. Rommel non ne fu sconvolto. Dava per ammesso che ogni conquista del potere costa un certo numero di vittime, un prezzo da pagare se il fine e' buono. Il fine di Hitler, per lui, era buono; e poi, secondo Rommel, quelle violenze non era Hitler a ordinarle, dipendevano dallo zelo dei capi del partito. Cosi' per le persecuzioni antiebraiche. Rommel non ignorava cos' era avvenuto in Polonia e in Russia, sapeva delle stragi, delle selvagge razzie di uomini e donne. E' provato che nel Natale del 1943 il sindaco di Stoccarda lo aveva messo al corrente dei campi di sterminio. Ma anche qui, secondo Rommel, Hitler era al di sopra di simili efferatezze (che egli disapprovava), non poteva essere lui a comandarle. Per Rommel, nel momento del fulgore delle vittorie tedesche, Hitler era un capo carismatico che suscitava entusiasmo e ammirazione, che egli venerava per il coraggio e al quale doveva tutta la sua carriera e tutti i suoi molti privilegi. Bisogna aggiungere che, come a gran parte dei tedeschi, anche a lui il problema ebraico e la soluzione voluta dai nazisti non sembrava primario. Il distacco di Rommel da Hitler (che fu per il Feldmaresciallo doloroso e drammatico) comincio' quando si accorse che la guerra era perduta e che il Fuhrer, testardamente, non voleva ammetterlo, imponendo altri inumani sacrifici al popolo tedesco. Ossia dopo El Alamein. A suo titolo d' onore, gli va riconosciuto di non aver nascosto questa sua convinzione, di non aver taciuto per timore di irritare il Signore della guerra. Della necessita' di porre fine ai combattimenti perche' le sorti del conflitto erano segnate, Rommel parlo' francamente piu' volte a Hitler: e il loro ultimo colloquio il 29 giugno 1944, quando gia' gli Alleati avanzavano in Francia, fu gelido. Disse Rommel: "Mein Fuhrer, e' venuto il momento di pensare alla Germania". Si ebbe questa risposta: "Signor Feldmaresciallo, credo che farebbe meglio a lasciare la stanza". Non esiste una sola prova valida per dimostrare che Rommel abbia fatto parte della congiura del 20 luglio. Esiste invece la certezza che si era impegnato per tentare di fare la pace con gli Alleati, a costo di aprire il fronte alla loro avanzata, pur di finirla. Era invece fermamente contrario a qualsiasi coinvolgimento nell' assassinio di Hitler. Lo travolsero le denunce, se mai esistettero, di un paio di congiurati, i quali sotto tortura confessarono che Rommel era al corrente dei loro piani. Questo decise l' ultima infamia di Hitler e del suo indecente scherano, il Feldmaresciallo Keitel. Ossia l' ordine a Rommel di togliersi la vita se non voleva che un pubblico processo smascherasse il suo (inesistente) tradimento e sporcasse per sempre il suo nome. E' noto come fini' : l' arrivo a casa di Rommel dei due sicari Burgdorf e Maisel, il veleno portato da Berlino, Rommel che sceglie la morte al disonore e si uccide il 14 ottobre 1944, l' allucinante cerimonia funebre con von Rundstedt che e' al corrente della verita' e tuttavia pronuncia il pubblico elogio del Feldmaresciallo, "fedele servitore del Fuhrer". Un abisso di infamia. E di infami. Rommel si congedo' con un addio socratico dalla moglie e dal figlio Manfred, allora quattordicenne e oggi sindaco di Stoccarda. Enzo Biagi, dopo la guerra, gli rivolse la domanda che tutti noi gli avremmo fatto: "Non vi siete nemmeno abbracciati?" La risposta fu: "Da noi non si usa". Biagi scrisse di essersi sentito, in quel momento, molto debole.
Bertoldi Silvio
La "notte dei lunghi coltelli" fu l'episodiocentrale di quanto accadde nei mesi successivi.
ONORI AL COMANDANTE ROMMEL E ALLA SANA SCUOLA MILITARE PRUSSIANA!
La personalità di Rommel
Rommel non apparteneva all'aristocrazia militare prussiana. Era un ufficiale che proveniva dalla gavetta, e anche per questo godeva della simpatia di Hitler. In condizioni normali avrebbe potuto aspirare al massimo al grado di Colonnello. Ma la partecipazione alle due guerre mondiali dove diede sfoggio delle sue indubbie doti di comando, unita alla militanza nei Freikorps (da cui sarebbe scaturito il partito Nazista), a cavallo tra le due guerre, lo lanciarono in una carriera che lo portò a poco più di cinquant'anni ad ottenere il grado di Feldmaresciallo (il più alto dell'esercito tedesco a quel tempo).
La sua estrazione "popolare" piaceva molto a Goebbels, verso il quale Rommel fu sempre molto disponibile, che ne volle sfruttare l'"immagine vincente" per la sua propaganda. I suoi colleghi generali, provenienti dalle accademie prussiane, non nascondevano l'antipatia, se non il disprezzo, che nutrivano nei suoi confronti.
D'altra parte Rommel non fece mai molto per rendersi simpatico agli occhi degli altri ufficiali superiori. Testardo nelle sue convinzioni, spesso sgarbato, a volte ben oltre i limiti dell'insulto, nei confronti degli altri generali, soprattutto italiani, ma anche della stessa Wehrmacht, era invece adorato dai suoi uomini.
Motivo dell'ammirazione che suscitava tra la truppa era sicuramente il fatto che Rommel, contrariamente agli altri generali, non si limitava a seguire i combattimenti da distanza di sicurezza, ma era sempre presente in prima linea. A bordo del suo panzer, o del "Mammuth" (un centro comando mobile ricavato da un camion blindato inglese catturato in Africa), o in volo sulle linee a bordo di uno Storch da ricognizione, Rommel si muoveva lungo tutta la prima linea impartendo ordini e guidando i suoi uomini in battaglia.
Le sue decisioni in battaglia, spesso improvvise e talvolta ai limiti dell'insubordinazione (avanzare quando gli veniva ordinato di fermarsi), oltre a far infuriare i superiori, resero spesso inutile il lavoro svolto da Ultra (il complesso apparato utilizzato dagli inglesi per la cifra dei messaggi che i tedeschi si trasmettevano con Enigma) per scoprire i piani dei tedeschi.
Vale la pena di citare alcuni episodi della "Campagna d'Africa" che possono aiutare a comprendere il carattere di Rommel. Quando la strada verso Il Cairo e il Canale di Suez sembrava ormai spianata, Mussolini volò in Libia per godersi un trionfo che non arrivò; durante la sua permanenza chiese più volte di incontrare Rommel, ma questi si rifiutò sempre, adducendo come scusa il fatto che fosse "troppo impegnato in prima linea". Rommel trovò però il tempo per recarsi in visita al capezzale di un maggiore italiano (Leopoldo Pardi), che, al comando di un reparto di artiglieria, si era distinto nella difesa del Passo di Halfaya, conquistandosi la stima della "volpe del deserto".
Dopo la battaglia di El Alamein il generale Barbasetti incontrò Rommel alla ridotta Capuzzo e commentò: "È stato molto doloroso il sacrificio del X Corpo d'Armata abbandonato nel deserto" al che Rommel rispose: "È questo forse un rimprovero? Dal Fuhrer non è giunta alcuna parola di disapprovazione". Barbasetti: "Ho risalito l'interminabile colonna dei reparti in ritirata, i camionisti tedeschi si rifiutavano di far salire gli italiani". A queste parole Rommel tacque.
Dopo la presa di Tobruk, il generale sudafricano bianco Klopper, parlando anche a nome dei suoi ufficiali, chiese a Rommel di essere detenuto in un'area separata da quella delle truppe di colore. La risposta di Rommel fu secca: "Per me i soldati sono tutti uguali. I neri vestono la vostra stessa divisa, hanno combattuto al vostro fianco, e quindi starete rinchiusi nello stesso recinto."
Nutriva grande sicurezza nell'uso del sistema di decriptazione Enigma. Questa fiducia mal riposta permise alla Gran Bretagna, durante la seconda guerra mondiale, di avere l'assoluta supremazia navale in tutto il Mediterraneo. Infatti, il sistema di decodificazione tedesco era stato decifrato dal matematico inglese Alan Turing. Il fatto che gli inglesi fossero in possesso di importanti informazioni fece sorgere sospetti di inaffidabilità nei confronti dei servizi segreti italiani. Rommel fu convinto di questo fino alla morte e solo recentemente suo figlio Manfred ha dichiarato, in un documentario di History Channel, che suo padre e dunque sia la Germania che l'Inghilterra, dovrebbero chiedere scusa agli italiani per gli infondati sospetti.
Va ricordato infine che Rommel si guadagnò, pur da nemico, un alto grado di rispetto anche da parte di eminenti personalità tra gli Alleati, come il suo rivale Bernard Law Montgomery, George Patton e perfino Winston Churchill. Alla "Volpe del deserto" erano infatti riconosciute lealtà e cavalleria nei confronti degli avversari e della popolazione civile: i suoi Afrika Korps, caso unico nei corpi militari tedeschi della WWII[senza fonte], non furono mai accusati di crimini di guerra, e Rommel non obbedì agli ordini di fucilare i commando nemici catturati o i prigionieri di origine ebraica. Lo stesso Rommel, riferendosi agli scontri in Africa, parlò di Krieg ohne Hass, guerra senza odio.
Il 23 novembre del 1941 a bordo del suo Mammut visitò un ospedale da campo nel quale si affollavano alla rinfusa feriti tedeschi ed inglesi. L'ufficiale che l'accompagnava all'interno dell'ospedale era inglese (e probabilmente l'aveva scambiato per un ufficiale polacco), i feriti tedeschi si comportavano in modo strano, posò quindi lo sguardo sui militari di guardia dell'ospedale: resosi conto che l'ospedale era ancora in mano agli inglesi mormorò ai suoi uomini: «penso che faremmo meglio ad andarcene». Fece così in tempo a saltare sul suo Mammut, dal quale si compiacque di rispondere al saluto militare di un soldato britannico.
SOLDATI Da Caporetto al suicidio nell' ottobre del ' 44: esce una nuova biografia sulla " Volpe del deserto "
Da Caporetto al suicidio nell' ottobre del ' 44: esce una nuova biografia sulla "Volpe del deserto" TITOLO: Rommel, l' ultima infamia del Fuhrer La gloria conquistata sui campi di battaglia non e' in discussione. Eppure un enigma resta insoluto: la natura del suo legame con il nazismo e il suo capo - Cinquantatre' anni di vita: e gli bastarono per diventare forse il piu' grande condottiero del nostro secolo. A cinquantatre' anni, quando Hitler gli ordino' di uccidersi, Erwin Rommel si era coperto di gloria dovunque il suo destino di soldato lo avesse visto combattere. Fu lui il vero vincitore di Caporetto, se quello sfondamento del fronte italiano nel 1918 si puo' identificare in un nome. Fu lui a rompere le nostre linee, a tagliare fuori le nostre difese, a conquistare le posizioni chiave del Kolovrat e del Matajur, a prendere Longarone e a varcare il Piave. Da solo, con una compagnia di alpini del Wurttemberg, con il modesto grado di tenente. Per ricompensa, l' ordine Pour le me' rite, massima decorazione militare tedesca, la nostra medaglia d' oro. Fu lui ad aprire la strada nell' estate del 1940 alle divisioni corazzate del Reich in Francia: il generale che varco' la Mosa, traverso' le Ardenne, supero' la Maginot, prese Rouen, Fe' camp e Cherbourg. Fu lui a bloccare in Africa settentrionale gli inglesi che avevano travolto Graziani ed erano entrati a Bengasi: li ricaccio' fino oltre il confine dell' Egitto, conquisto' la fortezza di Tobruch e sarebbe arrivato al Cairo se gli avessero fornito soldati, carburante, carri armati e protezione aerea. Fu ancora lui a organizzare la difesa contro lo sbarco alleato in Normandia, il solo a intuire dove avrebbero attaccato gli inglesi e gli americani, disperato per non venire creduto e furibondo per non essere messo in condizione di reagire. E purtroppo per Badoglio e per gli autori dell' armistizio dell' 8 settembre, fu sempre lui a liquidare in undici giorni, dall' 8 al 19 di quel mese fatale, l' esercito italiano: 13.000 ufficiali e 402.600 soldati catturati. Nessuna novita' sulla fama di Rommel come grandissimo tattico, comandante da prima linea, sulla sua prodigiosa attitudine alla guerra. Molte, invece, su di lui, sulla sua morale e soprattutto sulla sua figura di generale di Hitler, le novita' contenute nel libro di David Fraser, Rommel, l' ambiguita' di un soldato (Mondadori, pagine 576, lire 36.000). Perche' sono appunto le ambiguita' del personaggio Rommel a consentire oggi di riaprire il dibattito su di lui, al di la' della gloria conquistata sui campi di battaglia. Ambiguo, infatti, il suo rapporto col nazismo e col Fuhrer; ambigua la sua posizione nei confronti dell' Olocausto; ambigua la sua condotta nel tentativo della Resistenza tedesca di eliminare il dittatore il 20 luglio 1944 per mettere fine alla guerra. Fraser, che e' stato un eminente generale inglese e in quanto tale in grado di parlare con particolare competenza di Rommel condottiero, ha lavorato anni non tanto per descrivere le vittorie (e le sconfitte), quanto per rispondere agli interrogativi posti dalle ambiguita' del suo eroe, riuscendovi . se non del tutto . almeno in buona misura. I risultati? Che per anni, dal momento della sua ascesa al potere fino al disastro di El Alamein, Hitler sia stato per Rommel una specie di divinita' , una fede e un mito, resta un fatto indiscutibile. Rommel era sotto le armi al tempo della Repubblica di Weimar e vide con favore, come la maggioranza dei tedeschi, l' ascesa dell' astro nazista. Per lui significava ordine, disciplina, un grande futuro per l' esercito e la Germania. Divenne il comandante della guardia del corpo di Hitler, al suo fianco all' ingresso a Praga e a Varsavia dopo le due aggressioni che avevano scatenato la seconda guerra mondiale, intimo del suo entourage, il preferito fra tutti i generali della Werhmacht. Le violenze delle SS durante l' ascesa dei nazisti al potere? La notte dei lunghi coltelli con l' assassinio di Rohm e dell' intero stato maggiore delle SA (e degli oppositori all' interno del partito)? La notte dei cristalli con la selvaggia distruzione dei beni degli ebrei? Episodi marginali. Rommel non ne fu sconvolto. Dava per ammesso che ogni conquista del potere costa un certo numero di vittime, un prezzo da pagare se il fine e' buono. Il fine di Hitler, per lui, era buono; e poi, secondo Rommel, quelle violenze non era Hitler a ordinarle, dipendevano dallo zelo dei capi del partito. Cosi' per le persecuzioni antiebraiche. Rommel non ignorava cos' era avvenuto in Polonia e in Russia, sapeva delle stragi, delle selvagge razzie di uomini e donne. E' provato che nel Natale del 1943 il sindaco di Stoccarda lo aveva messo al corrente dei campi di sterminio. Ma anche qui, secondo Rommel, Hitler era al di sopra di simili efferatezze (che egli disapprovava), non poteva essere lui a comandarle. Per Rommel, nel momento del fulgore delle vittorie tedesche, Hitler era un capo carismatico che suscitava entusiasmo e ammirazione, che egli venerava per il coraggio e al quale doveva tutta la sua carriera e tutti i suoi molti privilegi. Bisogna aggiungere che, come a gran parte dei tedeschi, anche a lui il problema ebraico e la soluzione voluta dai nazisti non sembrava primario. Il distacco di Rommel da Hitler (che fu per il Feldmaresciallo doloroso e drammatico) comincio' quando si accorse che la guerra era perduta e che il Fuhrer, testardamente, non voleva ammetterlo, imponendo altri inumani sacrifici al popolo tedesco. Ossia dopo El Alamein. A suo titolo d' onore, gli va riconosciuto di non aver nascosto questa sua convinzione, di non aver taciuto per timore di irritare il Signore della guerra. Della necessita' di porre fine ai combattimenti perche' le sorti del conflitto erano segnate, Rommel parlo' francamente piu' volte a Hitler: e il loro ultimo colloquio il 29 giugno 1944, quando gia' gli Alleati avanzavano in Francia, fu gelido. Disse Rommel: "Mein Fuhrer, e' venuto il momento di pensare alla Germania". Si ebbe questa risposta: "Signor Feldmaresciallo, credo che farebbe meglio a lasciare la stanza". Non esiste una sola prova valida per dimostrare che Rommel abbia fatto parte della congiura del 20 luglio. Esiste invece la certezza che si era impegnato per tentare di fare la pace con gli Alleati, a costo di aprire il fronte alla loro avanzata, pur di finirla. Era invece fermamente contrario a qualsiasi coinvolgimento nell' assassinio di Hitler. Lo travolsero le denunce, se mai esistettero, di un paio di congiurati, i quali sotto tortura confessarono che Rommel era al corrente dei loro piani. Questo decise l' ultima infamia di Hitler e del suo indecente scherano, il Feldmaresciallo Keitel. Ossia l' ordine a Rommel di togliersi la vita se non voleva che un pubblico processo smascherasse il suo (inesistente) tradimento e sporcasse per sempre il suo nome. E' noto come fini' : l' arrivo a casa di Rommel dei due sicari Burgdorf e Maisel, il veleno portato da Berlino, Rommel che sceglie la morte al disonore e si uccide il 14 ottobre 1944, l' allucinante cerimonia funebre con von Rundstedt che e' al corrente della verita' e tuttavia pronuncia il pubblico elogio del Feldmaresciallo, "fedele servitore del Fuhrer". Un abisso di infamia. E di infami. Rommel si congedo' con un addio socratico dalla moglie e dal figlio Manfred, allora quattordicenne e oggi sindaco di Stoccarda. Enzo Biagi, dopo la guerra, gli rivolse la domanda che tutti noi gli avremmo fatto: "Non vi siete nemmeno abbracciati?" La risposta fu: "Da noi non si usa". Biagi scrisse di essersi sentito, in quel momento, molto debole.
Bertoldi Silvio