<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=1500520490268011&amp;ev=PageView&amp;noscript=1"> Addio a Osamu Suzuki | Il Forum di Quattroruote

Addio a Osamu Suzuki

Quarant'anni al comando. Il dirigente nipponico ha guidato la Suzuki Motor Corporation per oltre 40 anni, finendo per far coincidere la sua figura con quella dell'azienda: entrato alla corte del fondatore Michio nel 1958 dopo averne sposato la nipote Shoko (ed essere stato ufficialmente adottato dalla famiglia, abbandonando il cognome Matsuda), Suzuki è stato protagonista di una brillante carriera che l'ha portato alla nomina di presidente e amministratore delegato nel giugno del 1978. Da quel momento, di fatto, il manager non ha mai lasciato la poltrona più importante (diventando chairman del costruttore, nel 2000), fino al giugno del 2021. Fu solo allora, all'età di 91 anni, che affidò il timone alle mani del figlio Toshihiro, mantenendo tuttavia il ruolo di senior advisor.

Lo slancio sui mercati emergenti. Sotto la sua lunghissima guida, per la quale è stato insignito, insieme al resto della famiglia, del Premio Gianni Mazzocchi nel 2018, la Suzuki è diventata il colosso dell'industria giapponese che conosciamo oggi: è alla lunigimiranza di Osamu che si deve molto del respiro globale che ha attualmente l'azienda. Fu lui a intuire fino in fondo l'importanza di porre le basi per una presenza strategica nei mercati emergenti: fondamentale, in particolare, fu lo sbarco in India, datato 1982.


Il decisivo sbarco in India. La Suzuki di allora era già presente in Thailandia, Indonesia, nelle Filippine e in Pakistan, ma l'accordo con il governo di Nuova Delhi segnò un vero e proprio cambio di passo: associandosi alla Maruti Udyog a controllo statale Osamu rivoluzionò letteralmente il mercato locale, rimpiazzando il vetusto parco circolante dell'epoca con le sue piccole economiche e poco assetate. Ancora oggi, Hamamatsu gode di una posizione di assoluto predominio laggiù, quantificabile all'incirca nel 40% dell'immatricolato nazionale.

Grande fra i grandi: il confronto con GM e VW. Convinto assertore dell'etica del lavoro - ripeteva spesso che avrebbe "preferito morire in battaglia che in pensione" - Osamu ha gestito con tenacia il business di famiglia, abbinando oculatezza e decisionismo anche nelle relazioni con il resto dell'industria. In cui dimostrò di non temere i pesci più grossi. Come a metà degli anni 2000, quando iniziò a esprimere un forte malcontento nei confronti della GM (che aveva in mano il 20% della proprietà), portando al divorzio dagli americani nel 2008. Oppure nel confronto con la Volkswagen: entrati in scena nel 2010 (acquisendo il 19,9%), i tedeschi si trovarono di fronte la fierezza di un capitano d'industria che voleva essere trattato alla pari. E che, ancora una volta, difese l'indipendenza del marchio dalle lusinghe dell'ennesimo gigante straniero.
 
Quarant'anni al comando. Il dirigente nipponico ha guidato la Suzuki Motor Corporation per oltre 40 anni, finendo per far coincidere la sua figura con quella dell'azienda: entrato alla corte del fondatore Michio nel 1958 dopo averne sposato la nipote Shoko (ed essere stato ufficialmente adottato dalla famiglia, abbandonando il cognome Matsuda), Suzuki è stato protagonista di una brillante carriera che l'ha portato alla nomina di presidente e amministratore delegato nel giugno del 1978. Da quel momento, di fatto, il manager non ha mai lasciato la poltrona più importante (diventando chairman del costruttore, nel 2000), fino al giugno del 2021. Fu solo allora, all'età di 91 anni, che affidò il timone alle mani del figlio Toshihiro, mantenendo tuttavia il ruolo di senior advisor.

Lo slancio sui mercati emergenti. Sotto la sua lunghissima guida, per la quale è stato insignito, insieme al resto della famiglia, del Premio Gianni Mazzocchi nel 2018, la Suzuki è diventata il colosso dell'industria giapponese che conosciamo oggi: è alla lunigimiranza di Osamu che si deve molto del respiro globale che ha attualmente l'azienda. Fu lui a intuire fino in fondo l'importanza di porre le basi per una presenza strategica nei mercati emergenti: fondamentale, in particolare, fu lo sbarco in India, datato 1982.


Il decisivo sbarco in India. La Suzuki di allora era già presente in Thailandia, Indonesia, nelle Filippine e in Pakistan, ma l'accordo con il governo di Nuova Delhi segnò un vero e proprio cambio di passo: associandosi alla Maruti Udyog a controllo statale Osamu rivoluzionò letteralmente il mercato locale, rimpiazzando il vetusto parco circolante dell'epoca con le sue piccole economiche e poco assetate. Ancora oggi, Hamamatsu gode di una posizione di assoluto predominio laggiù, quantificabile all'incirca nel 40% dell'immatricolato nazionale.

Grande fra i grandi: il confronto con GM e VW. Convinto assertore dell'etica del lavoro - ripeteva spesso che avrebbe "preferito morire in battaglia che in pensione" - Osamu ha gestito con tenacia il business di famiglia, abbinando oculatezza e decisionismo anche nelle relazioni con il resto dell'industria. In cui dimostrò di non temere i pesci più grossi. Come a metà degli anni 2000, quando iniziò a esprimere un forte malcontento nei confronti della GM (che aveva in mano il 20% della proprietà), portando al divorzio dagli americani nel 2008. Oppure nel confronto con la Volkswagen: entrati in scena nel 2010 (acquisendo il 19,9%), i tedeschi si trovarono di fronte la fierezza di un capitano d'industria che voleva essere trattato alla pari. E che, ancora una volta, difese l'indipendenza del marchio dalle lusinghe dell'ennesimo gigante straniero.
Era uno degli ultimi grandi personaggi del mondo dell'auto mondiale di massa viventi. Si è impegnato e ha lottato per rendere grande la sua azienda di famiglia, massima simpatia per il conflitto con vw
 
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